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Bobo Stenson: tradizione ed innovazione
Si vuole essere fedeli, ma poi si cerca di cogliere la vibrazione nel contesto del pezzo, lavorarci un po', spingerla fino in fondo...
Nonostante la scena jazz europea sia stata vitale e all'avanguardia per decenni, solo negli ultimi anni alcune delle sue star più brillanti hanno ricevuto negli Stati Uniti il riconoscimento che gli viene riservato altrove. L'etichetta tedesca ECM in particolare è stata fautrice di un rinnovato interesse verso artisti in là con gli anni ma ancora attivi e innovativi, tra i quali Enrico Rava e Tomasz Stanko. Prova che l'arte non è statica ma, per i migliori artisti, è un impegno che si dispiega per tutta la vita.
Insieme a Stanko e Rava, il pianista svedese Bobo Stenson è un artista legato alla ECM da lungo tempo la cui notorietà è aumentata negli ultimi anni. Attraverso i suoi lavori con Stanko, con il sassofonista Charles Lloyd, con il suo trio, il suo raffinato e delicato approccio interpretativo ha finalmente avuto l'attenzione che merita. Forse non potrà ambire al cachet di Keith Jarrett ma nel suo ultimo lavoro Goodbye, in compagnia dei suoi vecchi compagni Anders Jormin al basso e Paul Motian alla batteria, ha dimostrato un ugual impeto nell'improvvisazione nonché una capacità di cogliere il cuore delle cose e allo stesso tempo portarlo in luoghi nuovi e inaspettati.
Indice
Periodo formativo
Il legame con la ECM
Rene Rama e l'incontro con Anders Jormin
Charles Lloyd
Tomasz Stanko
Bobo Stenson Trio
Serenity e il coinvolgimento di Manfred Eicher
Goodbye
Interpretazione e pratica
Altri progetti
Discografia selezionata
Periodo formativo
Gli anni di formazione di Stenson non hanno niente di straordinario, benché abbia avuto il vantaggio di crescere in un ambiente pieno di musica. "Sono cresciuto in una famiglia di musicisti", dice Stenson, "dove tutti suonavano. Mio fratello, più grande di sei anni, suonava la batteria. Io ho iniziato a sette anni con pianoforte classico ma sono passato al jazz all'età di dodici anni, probabilmente perché mio fratello portò il jazz in casa. Spesso suonavo, usando il suo giradischi ed accompagnandomi a tipi come Bud Powell, Miles Davis e George Shearing. Poi mi sono ulteriormente specializzato. Sono cresciuto con Miles Davis, Bill Evans, Wynton Kelly, Red Garland e Bobby Timmons. Ho incontrato John Coltrane molto presto e col passare del tempo è diventato il mio idolo".
La migrazione in Europa di artisti americani negli anni cinquanta e sessanta rappresentò per giovani musicisti come Stenson l'occasione per mettersi in luce e acquisire esperienza. "Arrivarono molti americani", spiega Stenson, "così ho potuto suonare con musicisti come Don Cherry, che visse in Svezia per qualche tempo e che ebbi modo di conoscere. Questo succedeva nei primi anni settanta, ma avevo già suonato con Dexter Gordon negli anni sessanta. Molti si stabilivano a Copenhagen ma venivano a suonare anche in Svezia. Altri venivano dalla Norvegia, come George Russell, con il quale successivamente ho lavorato molto". Ritorna all'indice...
Il legame con la ECM
Anche se non si tratta necessariamente della miglior occasione che Stenson abbia avuto, la possibilità di lavorare con il sassofonista Stan Getz è stata sicuramente di buon auspicio. "Suonavo con Getz intorno al 1970 con John Christensen alla batteria e Arild Andersen al basso", dice Stenson, "avevo incontrato Christensen poco tempo prima, ma con Getz ci conoscevamo bene. In seguito ho passato molto tempo in Norvegia, un posto che era molto creativo in quel periodo, e naturalmente continua ad esserlo. Nel mentre Manfred (Eicher, proprietario della ECM, N.d.A.) fu presentato a Jan Garbarek e conobbe inoltre Arild, Jon e Terje Rypdal. Volle registrarci e tutto partì da lì".
"Feci un album con Terje, Terje Rypdal (ECM, 1971), uno con Garbarek, Terje, Arild e Jon, SART (ECM, 1971), e poi un mio lavoro, Underwear (ECM, 1971) con Arild e Jon. A quei tempi eravamo come una famiglia. Nel 1973 avrei dovuto incidere un altro disco. Mi trovavo al festival di Varsavia con Don Cherry, e c'erano anche Jan, Jon e Palle Danielsson. Una notte ci trovammo ad una jam session e tutto partì da lì. La gente ancora parla di quella serata, fu qualcosa di speciale. Così abbiamo finito per formare il Quartetto di Garbarek e Stenson e, dato che c'era da fare un disco in trio, dissi: "perché non farlo in quartetto?'".
Non si può sottovalutare la risonanza che ebbero Witchi-Tai-To (ECM, 1974) e Dansere (ECM, 1976). Entrambi gli album fecero conoscere i musicisti al pubblico americano, aiutati, in misura non trascurabile, dal fatto che Garbarek, Danielsson e Christensen suonavano anche nel nuovo quartetto di Keith Jarrett che realizzò l'album Belonging per la ECM lo stesso anno di Witchi-Tai-To. Piuttosto, l'ascolto dello stesso trio con due pianisti differenti chiariva le differenze tra Jarrett e Stenson. Jarrett è chiaramente il più virtuoso dei due ma è anche una personalità dominante, cosa che ha i suoi pro e contro. La maggior enfasi posta da Stenson sul gruppo signicava che, mentre quello di Jarrett era un gruppo equilibrato sotto la guida di una personalità musicale dominante, il Quartetto di Garbarek e Stenson costituiva un gruppo paritario.
Il lavoro con i tre scandinavi consentì a Jarrett di superare i confini artificiali tra la tradizione jazzistica americana e l'estetica europea. Il Quartetto di Garbarek e Stenson era portato molto di più verso un approccio europeo, dato che incorporava elementi del folklore e della musica classica ed era influenzato dal relativo isolamento geografico della Scandinavia. "Noi conoscevamo il linguaggio americano", spiega Stenson, "ma non avevamo bisogno di rimanere così vicini alla sua tradizione. Per i musicisti americani è qualcosa di simile alla loro musica popolare, ma noi potevamo aprirci ad altre culture. Eravamo sempre interessati alla musica classica e al folklore, così mettemmo insieme queste cose. In Danimarca, per via di tutti gli americani che arrivarono a Copenhagen, i musicisti erano più addentro alla tradizione americana, ma noi eravamo un po' più periferici. Anche i finlandesi, che sono ancora più isolati, hanno un tipo speciale di musica."
Ritorna all'indice... Rene Rama e l'incontro con Anders Jormin
In seguito allo scioglimento del Quartetto di Garbarek e Stenson, Stenson sembrò sparire dal panorama americano per più di dieci anni, ma in Europa rimase molto attivo. Infatti, contemporaneamente ai suoi progetti ECM, guidava in tandem col multistrumentista svedese Lennart Aberg un gruppo chiamato Rene Rama, durato vent'anni. Stenson e Aberg lavorarono con numerosi bassisti, inclusi Danielsson e Jormin, e batteristi, fra i quali Bernt Berger, Anders Kjellberg e Billy Hart. Mentre la maggior parte dei loro dischi sono sfortunatamente introvabili, due registrazioni, Rene Rama (1973) e Inside-Outside (1979) sono stati accorpati in un unico CD, Rene Rama (Caprice, 2003). È inoltre disponibile un incontro con il trombettista Kenny Wheeler nel disco The Lost Tapes (Amigo, 1997), mentre l'ultima sessione di registrazione di Dona Nostra (ECM, 1994) di Don Cherry, era in realtà un album dei Rene Rama sotto il nome di Cherry. Anche se Rene Rama non esiste più, Stenson continua a collaborare con Aberg, recentemente nella registrazione in duo Bobo Stenson/Lennart Aberg (Amigo, 2003).
Promettente come le sue prime collaborazioni, l'incontro con Anders Jormin si trasformò in un sodalizio musicale che ha visto i due collaborare in svariati contesti. "Ho incontrato Anders negli anni ottanta", dice Stenson, "fino a quel momento avevo sempre suonato con Palle, eravamo molto uniti. Poi mi è capitato di conoscere Anders, lo invitai a suonare nel Rene Rama e da quel momento in poi iniziammo a suonare insieme in trio con il batterista Rune Carlsson. Ho anche suonato in diversi progetti personali di Anders come Nordic Light (Dragon, 1984) e Eight Pieces (Dragon, 1988). Poi con Charles Lloyd e Palle, il quale però non poteva continuare per cui suggerii Anders, che restò con noi per un po'".
Ritorna all'indice... Charles Lloyd
Stenson iniziò a suonare con Lloyd nel 1988 - l'inizio di una collaborazione durata undici anni - e, insieme a Danielsson e Christensen, partecipò al primo album di Lloyd, Fish Out of Water (ECM, 1990), che rappresenta anche l'inizio della collaborazione, che continua fino ad oggi, tra Lloyd e la ECM. La fama di Lloyd era quella di essere alquanto criptico nella direzione musicale - leggendarie le sue espressioni, come "Dammi un po' di St. Petesburg" o "Portami in India!". Stenson, il pragmatico, diceva: " prima di tutto, non bisogna prenderle così seriamente! Bisogna conoscere il suo linguaggio, quello che intende con quel tipo di istruzioni, e poi comportarsi di conseguenza".
Ma capire il linguaggio di Lloyd - non solo verbale - è qualcosa a cui si arriva dopo anni di pratica al suo fianco, quel il tipo di fiducia musicale che deriva dal regolare lavoro assieme. "Ho passato undici anni con Lloyd", racconta Stenson, "abbiamo iniziato nel 1988 e ho lavorato con lui fino a poco prima del disco che fece con John Abercrombie, Voice in the Night (ECM, 1999). Abbiamo registrato quattro album con Anders, Notes from Big Sur (ECM, 1992), The Call (ECM, 1993), All My Relations (ECM, 1995) and Canto (ECM, 1997), e abbiamo suonato con molti batteristi: Ralph Peterson, Billy Hart, Ralph Penland, Auden Kleive, Billy Higgins. Sono stato io a portare Billy Hart nella band. Lo incontrai anni fa in Svezia, era ospite dei Rene Rama e lo coinvolsi in un progetto per grande orchestra. Ci piacque suonare assieme, così quando Charles stava provando alcuni batteristi, gli dissi: "Perché non prendi Billy Hart, potrebbe essere l'uomo giusto per te!', e lui mi diede ascolto. Avevamo un buon rapporto".
"Negli ultimi anni Charles è stato più incline alla tradizione americana", continua Stenson, "credo che volesse ritornare al sound che aveva con Gabor Szabo quando prese Abercrombie - era un sound diverso. A ogni modo, Charles è stato molto importante per me e devo ammettere che ha significato molto che qualcuno avesse questa fiducia nei miei confronti. Mi portò con sé in America e la gente chiedeva: "Perché hai preso questo tizio scandinavo?'. Ma lui prendeva le mie difese e, naturalmente, quelle di Anders. Ci siamo incontrati l'estate scorsa a Montreal e si è parlato di fare qualcosa assieme di nuovo".
Ritorna all'indice... Tomasz Stanko
Nel 1993 Stenson e Jormin iniziarono a collaborare con Tomasz Stanko, contribuendo a riportare il trombettista all'etichetta ECM. "Avevo conosciuto Stanko anni prima", dice Stenson. "Ci chiese - a me e ad Anders - di andare in Polonia per fare un disco insieme a lui e al batterista Tony Oxley, che poi diventò Bosonossa and Other Ballads (GOWI, 1993). Fu la prima cosa che facemmo assieme. Un lavoro molto fresco, divertente, e così continuammo".
"Successivamente, mi trovavo in studio con Manfred", continua Stenson, "forse con Charles o qualcun altro e Manfred mi chiedeva sempre cosa stessi facendo. Gli parlai di questo gruppo con Stanko e lui mi disse: "Wow, sarebbe bello tornare in contatto con Tomasz'. Fu molto interessato a quello che avevamo fatto, così dissi a Tomasz di mettersi in contatto con Manfred, cosa che fece, e iniziò per lui qualcosa di nuovo".
Stenson lavorò con Stanko dal 1995 al 1997, negli album Matka Joanna (ECM, 1995), Leosia (ECM, 1997) e Litania (ECM, 1997). Il senso di libertà di Stanko era completamente diverso da quello di Lloyd, ma faceva comunque appello alla dote di Stenson di essere un musicista intuitivo dotato di un orecchio sensibile e di apertura mentale, benché tendenzialmente propenso alla modestia. "Cosa posso dire? Sono aperto a molte cose", spiega Stenson. "Ho sempre suonato molti tipi di musica diversi con persone differenti. Per me non è qualcosa di straordinario. Se capisci il linguaggio, puoi partire da lì e continuare. Le melodie di Stanko erano molto dettagliate, ma allo stesso tempo erano di natura aperta, mai del tutto armonizzate, così era possibile avere un approccio aperto con queste melodie. È questo che gli piace: che si suoni la melodia e poi andare oltre, in piena libertà . Io e Anders siamo un po' più nella tradizione: vogliamo avere un certo tipo di struttura o di organizzazione. Ed è quello che facemmo, mantenendo comunque un atteggiamento di apertura. Stanko scrive delle melodie molto speciali".
Quello che fa la differenza in musicisti come Stenson è la capacità di avere una prospettiva musicale sempre fresca, notte dopo notte, pezzo dopo pezzo. "Non so come", afferma Stenson, "ma cerco sempre di concepirlo come un qualcosa di nuovo. Non si può evitare di ritornare sulle cose già fatte, ma voglio sempre creare e comporre qualcosa di nuovo sul momento. Molto ha a che fare con quello che ti circonda, quelli con cui suoni e come suonano, che tipo di piano haiâ?¦.cose di ogni tipo insomma. Spesso sono piccole cose a condurci a un diverso approccio all'ascolto, verso sé stessi e verso la musica".
Ritorna all'indice... Bobo Stenson Trio
Con il rientro in grande stile alla ECM, non sorprende che Stenson abbia ripreso a realizzare registrazioni col il suo trio. Mentre il trio con Jormin e Carlsson risaliva alla metà degli anni ottanta, con l'uscita di Very Early per l'etichetta Dragon nel 1987 (ripubblicato nel 1997 con dei bonus aggiuntivi), al tempo in cui il trio registrò Reflections (ECM, 1996) nel 1993, Jon Christensen tornò a sedere dietro alla batteria. "Jon iniziò a suonare con noi nei primi anni novanta", dice Stenson. "Mi sono sempre piaciuti i batteristi. Io stesso ho una batteria, non suono molto bene, ma mi piace da matti suonarla. Si, mi piacciono molto i batteristi, possono arrivare ad essere l'elemento più importante nel gruppo, ne regolano l'andamento, gli danno un certo colore. Mi piacciono le diverse idee che possono venire da un battito piazzato in momenti inaspettati . Christensen è eccezionale, può cambiare il tempo in modi che non ti aspetteresti mai. Ha scioltezza, elasticità , benché sia in grado di suonare anche in modo più marcato . Negli anni settanta a volte swingava come un pazzo, c'era da non crederci!".
"The Enlightener", pezzo di apertura del cd Reflections, è un perfetto esempio di come Stenson e il suo trio si muovano sulla linea che sta tra forma e libertà . Inizia con una bellissima melodia ma subito si apre in un ostinato dove il trio si spinge oltre il tema. "Penso che possa andare in entrambi i modi", dice Stenson. "Se prende una direzione libera, bene, si segue quella. Se si rimane in un ritmo più definito, si fa quello. È bello suonare con uno come Christensen, dato che è un batterista in grado di procedere nelle due direzioni".
Reflections, e l'album seguente War Orphans (ECM, 1998), sono stati due lavori che mostravano un impressionante livello di telepatia fra Stenson, Jormin e Christensen, su un repertorio che includeva composizioni originali di Stenson e Jormin, così come materiale tratto da Ellington, Gershwin, Ornette Coleman e Silvio Rodriguez (uno dei compositori preferiti di Jormin, che nei suoi progetti personali continua a proporre interpretazioni dei sui brani). Ma Serenity (ECM, 2000), un disco doppio che è stata l'ultima registrazione di Christensen con il gruppo, ha raggiunto livelli ancora più alti, con l'inclusione di interpretazioni aperte all'improvvisazione di pezzi classici di Charles Ives, Hanns Eisler e Alban Berg, che ben si accompagnano a rivisitazioni di Wayne Shorter, oltre che a brani di Stenson e Jormin.
Ritorna all'indice... Serenity e il coinvolgimento di Manfred Eicher
L'album era particolare per diverse ragioni, non ultimo il luogo dove fu registrato. Diversamente da Reflections e War Orphans, che erano stati registrati a Oslo al Rainbow Studio di Jan Erik Kongshaug (luogo di registrazione di molti "classici" album ECM), la session di Serenity fu realizzata al HageGarden Music Center di Brunskog, in Svezia. "Fu una registrazione veramente speciale", spiega Stenson, "era un posto molto particolare immerso nella campagna svedese. Stavamo tutti là, in un luogo meraviglioso con un pianoforte eccezionale. C'era chi cucinava per noi, dormivamo in belle camere, potevamo fare delle camminate nella natura e il pianoforte era sempre lì a pochi metri di distanza. Passammo un bel periodo tutti assieme. Inoltre registravamo in una grande sala, senza pannelli separatori. Era una bella atmosfera, non avevamo bisogno di cuffie, bastava l'acustica della sala".
Serenity è anche un esempio di quanto Eicher potesse essere partecipe alla sessione di registrazione. I due pezzi improvvisati More Cymbals e Extra Low sono in effetti una sorprendente collaborazione tra Eicher, Jormin e Stenson. "Ad un certo punto Manfred si mise dietro alla batteria e disse "fai partire il nastro', e noi ci mettemmo a ridere. Fu divertente. Abbiamo dato ad un pezzo il titolo More Cymbals per via di una sua tipica espressione che ripeteva da anni".
"È molto partecipe per tutto il tempo", continua Stenson. "Vuole essere coinvolto nel progetto, farne effettivamente parte. Spesso arriva con ottime idee. A volte si possono avere dei dubbi nel lavoro in studio, bisogna registrare un pezzo e si provano diverse versioni, e lui era in grado di sbloccare la situazione con idee creative. A volte, non sempre naturalmente, entrava nel merito anche degli arrangiamenti. Vuole essere partecipe e riesce veramente a percepire quando i musicisti sono a loro agio e iniziano a creare. È un ottimo produttore, uno che vuole veramente fare qualcosa, contrariamente a qualche produttore che si limita a sedersi e a leggere. Manfred si interessa anche del mixaggio".
"È anche molto attento alla sequenza dei brani", conclude Stenson. "Questo aspetto è diventato per lui sempre più importante. Credo che sia una cosa che ha a che fare con l'aspetto commerciale dell'industria discografica: negli ultimi anni c'è la necessità di tenere desto l'interesse del pubblico, attirarlo con qualcosa che lo spinga a continuare l'ascolto. Inoltre, guarda all'album come a un qualcosa di più che una collezione di pezzi singoli".
Ritorna all'indice... Goodbye
In seguito alla fuoriuscita di Christensen, il trio partì per una tournee in America inizialmente con Billy Hart alla batteria, poi sostituito da Paul Motian fino a quando alcuni problemi di salute gli impediranno di continuare a spostarsi in tournee. Mentre Christensen e Motian sono entrambi dei coloristi, dei tessitori, spesso inclini al suggerimento piuttosto che all'affermazione decisa, Motian fra i due è allo stesso tempo il più morbido e il più diretto. "Naturalmente Paul è un batterista che viene effettivamente dalla tradizione", dice Stenson, "ha suonato con Bill Evans, ha una sua storia. È più addentro alla tradizione ed è americano, va da sé che ci siano chiaramente delle differenze. Così, quando suoniamo un pezzo con un tempo più marcato, come Race Face di Ornette Coleman, lui suona in un modo più schietto. Inoltre, come Christensen, non deve fare molto. Può fare le più piccole e inaspettate cose".
L'ultimo album di Stenson, Goodbye (ECM, 2005), vede la presenza di Motian, benché il trio adesso abbia un nuovo batterista, Jon Falt, con cui suonare in tour. "Il "nuovo' Jon, è un giovane di grande apertura mentale", spiega Stenson. "È molto addentro a tutto, è giovane e vuole provare parecchie cose, ma è anche molto sciolto e riesce a tirar fuori cose interessanti quando vuole essere incisivo".
Goodbye si presenta con caratteristiche diverse dal solito, con Stenson che fornisce un solo contributo al set dei brani, il breve Queer Street. Per quanto riguarda il materiale originale, l'accento si sposta verso Jormin, che si occupa anche degli arrangiamenti dei pezzi dei compositori Ariel Ramirez, Vladimir Vysotsky e Henry Purcell, oltre a un paio di pezzi di Motian, alla title track del compositore/arrangiatore Gordon Jenkins, al pezzo di Tony Williams There Comes a Time e una rivisitazione di Race Face di Ornette Coleman. Ma forse il più sorprendente è il brano che apre l'album, Send in the Clowns di Stephen Sondheim. Anche se il pezzo è stato riproposto così tante volte da diventare quasi un cliché, nelle mani di Stenson, Jormin e Motian suona in modo più profondo: un poema ornato, sentimentale senza essere melenso; drammatico in modo sottinteso, senza arrivare ai toni del melodramma.
L'attrazione di Stenson verso questo brano è semplice. "Lo suonavo molto tempo fa con il trombonista Eje Thelin", dice Stenson, "un ottimo musicista. È stato nel mio repertorio a lungo, ed era parecchio che non lo suonavo. Un giorno, all'improvviso, mi sono messo a suonarlo in studio per farlo sentire agli altri. A Paul piacque molto e disse: "perché non lo suoniamo?'. E così facemmo una o due versioni, senza un vero arrangiamento, in maniera molto aperta. È successo spesso, prendiamo spunti da ambiti diversi. Non importa da dove provengano, per noi è più importante quello che ne facciamo. Io non sono un grande compositore, non mi siedo ogni giorno per cercare di scrivere qualcosa, al contrario di Anders che invece è più incline a questa disciplina".
Ritorna all'indice... Interpretazione e pratica
Stenson ha ben chiara la chiave interpretativa, a prescindere che la fonte sia jazz, classica o altro ancora. "Bisogna cercare di essere vicini all'originale, senza stravolgerlo troppo", spiega Stenson, "si vuole essere fedeli, ma poi si cerca di cogliere la vibrazione del contesto del pezzo, lavorarci un po', spingerla fino in fondo. Rimanere nello stesso tipo di umore più o meno, ma allargarsi a partire da li. Sentiamo ogni tipo di musica. Per noi non c'è niente di strano nell'utilizzare delle composizioni classiche".
Forse sorprenderà i suoi ammiratori sapere che Stenson raramente lavora sull'improvvisazione quando è a casa. "Mi dedico alla musica classica; è sempre stato così", spiega Stenson. "È quello che suono quando sono a casa. Suono ben poco del repertorio jazz. Naturalmente a volte capita di provare qualcosa che voglio fare, un brano che ho intenzione di proporre. Ma non mi dedico molto a questo genere, faccio per lo più altri tipi di musica. Magari qualcosa che sento alla radio o che mi capita di leggere, o ritorno al repertorio classico. Bach è sempre stato importante, lo considero quasi una forma di meditazione, significa molto per me. Ma suono un po' di tutto, da Brahms a Beethoven. Mi ricordo l'incontro con Teddy Wilson negli anni sessanta, una persona meravigliosa. Al tempo non ci si aspettava che un jazzista nero conoscesse bene il repertorio di musica classica, ma lui iniziò proprio chiedendomi: "Suoni Mozart?', qualcosa a cui era veramente interessato".
Ritorna all'indice... Altri progetti
Oltre al suo trio, Stenson ha partecipato negli ultimi due anni a un progetto con il batterista norvegese Thomas Stronen. Il primo lavoro del Parish, nome del quartetto di Stronen, fu realizzato per l'etichetta olandese Challenge nel 2003 con il titolo Rica. Il secondo album, Parish (ECM), realizzato nel 2005 in Europa vede la presenza del bassista Mats Eilertsen e il sassofonista/clarinettista Fredrik Ljungkvist.
Stenson è inoltre presente nel nuovo album del trio svedese Plunge. "Mi invitarono a suonare con loro", dice Stenson, "un trio con sassofonista baritono/soprano molto bravo, basso e batteria. Sono stato l'insegnante del sassofonista per un periodo, così è capitato che mi invitassero a fare qualcosa assieme. Abbiamo registrato e poi è stato pubblicato. È un disco molto interessante, quasi completamente improvvisato, registrato in una sala concerti con un bel suono live. Io di solito non ascolto i miei dischi ma questo lo trovo molto interessante, quasi classico".
Ritorna all'indice... Discografia selezionata
Bobo Stenson, Goodbye (ECM, 2005)
Thomas Strà¸nen, Parish (ECM, 2005)
Plunge, Plunge with Bobo Stenson (Kopasetic, 2005)
Bobo Stenson/Lennart à.berg, Bobo Stenson/Lennart à.berg (Amigo, 2003)
Rene Rama, Rene Rama (Caprice, 1973/1979, reissued 2003)
Bobo Stenson, :rarum: Selected Recordings Vol. 8 (ECM, 2002)
Bobo Stenson Trio, Serenity (ECM, 2000)
Bobo Stenson, Solo Piano (La Sensazione, 2000)
Bobo Stenson Trio, War Orphans (ECM, 1997)
Bobo Stenson Trio, Very Early (Dragon, 1987, reissued 1997)
Tomasz Stanko, Litania (ECM, 1997)
Tomasz Stanko, Leosia (ECM, 1997)
Charles Lloyd, Canto (ECM, 1997)
Rene Rama with Kenny Wheeler, The Lost Tapes (Amigo, 1997)
Bobo Stenson, Reflections (ECM, 1996)
Tomasz Stanko Quartet, Matka Joanna (ECM, 1995)
Charles Lloyd, All My Relations (ECM, 1995)
Don Cherry, Dona Nostra (ECM, 1994)
Charles Lloyd, The Call (ECM, 1993)
Charles Lloyd, Notes From Big Sur (ECM, 1992)
Charles Lloyd, Fish Out of Water (ECM, 1990)
Anders Jormin, Eight Pieces (Dragon, 1988)
Anders Jormin, Nordic Light (Dragon, 1984)
Jan Garbarek/Bobo Stenson Quartet, Dansere (ECM, 1976)
Jan Garbarek/Bobo Stenson Quartet, Witchi-Tai-To (ECM, 1974)
Bobo Stenson, Underwear (ECM, 1971)
Jan Garbarek, SART (ECM, 1971)
Terje Rypdal, Terje Rypdal (ECM, 1971)
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Traduzione di Stefano Sanna
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