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Biennale Musica 2025 a Venezia

Biennale Musica 2025 a Venezia

Courtesy Andrea Avezzù

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Biennale Musica 2025
Varie sedi
Venezia
11—25 ottobre 2025

Si è scritto fin troppo sulla Biennale Musica 2025. Si sono contrapposti pareri pro e contro, alcuni di evidente tenore fazioso. Soprattutto, si è cercato di sottolineare il dirottamento delle scelte programmatiche rispetto alle impostazioni del passato, cosa che ha comportato una sensibile diminuzione dell'età media degli ascoltatori, rendendo più informali le modalità di fruizione. A ben vedere inoltre, in questa edizione ancor più che in altre del recente passato, è risultata chiara la volontà di documentare il ruolo sostenuto dal genere femminile nell'ambito dell'attuale ricerca compositiva e performativa.

È certo che la nuova direttrice artistica—la trentacinquenne Caterina Barbieri, bolognese d'origine, ma residente a Berlino da anni e internazionale per formazione e attività—è riuscita ad agitare non poco le acque della storica manifestazione lagunare, cercando di scardinare la concezione abituale che per "musica contemporanea" sia da intendersi una disciplina ad esclusivo appannaggio dell'ambito colto e accademico. La Stella Dentro, il titolo da lei scelto per questa 69ˆ edizione del Festival Internazionale di Musica Contemporanea, "si propone di esplorare il tema della musica cosmica," intesa come espressione comunitaria e rituale, che trascende gli stili e i generi codificati per attingere dalle varie culture ed esperienze passate e presenti di ogni parte del mondo. Ecco allora proposte di varia natura: dal minimalismo drone all'afro-futurismo, dalle sponde più trasversali dell'attuale musica elettronica alla musica antica, dalla techno alle risonanze di un recente neo-misticismo estatico... Tutto questo può riallacciarsi a un residuo di contenuti New Age?

Per quanto mi riguarda, ho potuto elaborare un'impressione parziale di questa edizione del festival, in quanto per una serie di ragioni la mia breve permanenza a Venezia si è limitata solo a tre giornate, dal 22 al 24 ottobre, e di queste riferisco.

Al Teatro Piccolo Arsenale, l'unico spazio dotato di poltrone fra quelli da me frequentati, si è ascoltato il bolognese FontanaMIX Ensemble, attivo da decenni su varie aree della musica contemporanea. Questa, assieme a poche altre da me seguite, è stata probabilmente una delle performance più "tradizionali," nel senso che ha confermato una netta distinzione fra la figura del compositore e quella dell'interprete. La parte centrale del programma si concentrava su tre composizioni scritte da Giacinto Scelsi fra il 1963 e il 1973: se in "Mantram," per contrabbasso solo con archetto, è stato intrapreso lo svolgimento intimo e vacillante di una linea melodica ampia e riflessiva, dalla naturale parabola narrativa, "Pranam II," eseguito da un nonetto, ha visto una struttura relativamente più avventurosa, ma sempre secondo un'enunciazione sospesa e vaga. Nel successivo "Quartetto n. 3," i cui cinque movimenti portano le significative denominazioni "dolcissimo, drammatico, con trasparenza, con tristezza, catarsi," i quattro archi hanno affrontato un percorso più complesso, passando da situazioni più inquiete, a tratti quasi tumultuose, per approdare alla finale sintesi purificatoria.

Se nelle tre composizioni descritte il mondo musicale di Giacinto Scelsi si presenta unitario e originalissimo, caratterizzato da una perenne malinconia che a tratti rasenta la disperazione, del tutto appropriata si è dimostrata la scelta di ricorrere a due recenti composizioni, che hanno aperto e chiuso il concerto, a firma del quarantunenne Vahid Hosseini, non a caso diplomatosi al Conservatorio di Bologna, oltre ad aver affrontato altri corsi di perfezionamento. Nel suggestivo "Mur," che si ricollega ai canti funebri della regione di Zagros, due voci femminili, inizialmente impercettibili e provenienti da fuori scena, in un flebile crescendo hanno raggiunto il centro del palcoscenico, dove si sono fronteggiate con un'emissione più sostenuta e corrusca dall'intonazione ondivaga. Nell'inedita versione di "Le sensibilità delle tenebre," le due cantanti si sono integrate con l'intero ensemble: deambulando lentamente ai lati della platea hanno emanato sotterranee increspature vocali, mentre la nervosa massa strumentale, animata da crescendo, sussulti e glissando, ha raggiunto effetti di sicuro impatto.

Sotto la direzione di Francesco La Licata, l'esibizione del FontanaMIX Ensemble ha cercato di concatenare i cinque brani in un flusso continuo e omogeneo, nonostante le sporadiche e timide interruzioni del pubblico per applaudire. Immersa nella penombra della messa in scena, la loro interpretazione di questo mirato repertorio si è sempre mantenuta compassata, austera, concentrata, senza indulgere a quei gesti plateali, di comportamento o sonori, pro captatio benevolentiae che capita di ascoltare di frequente negli ultimi anni.

Poco dopo, sempre all'Arsenale, spostandosi nell'ampia e spartana Sala d'Armi G, LSD Centre, si sono incontrate due esperienze della più stretta attualità, entrambe in prima assoluta. All'interno della sezione Biennale College Musica la giovane Francesca Fabrizi ha eseguito il suo "Pareti di carta," lavoro elettroacustico che nasce dall'intreccio di vari mezzi e fonti sonore. Si legge sul catalogo: ..."La casa della memoria trema come un suono fugace. In questa fragile composizione, la risonanza diventa sia un metodo di rievocazione che una misura di ciò che fugge via." Varie componenti ritmiche, tutte lente e su metriche diverse, si sono sovrapposte, prevaricandosi a vicenda e creando un tessuto traslucido e madreperlaceo, dalla funzione allegorica. Il tema casalingo veniva restituito da alcuni espedienti: le sonorità che mimavano lo sfregamento di un dito umido sul bordo dei bicchieri di cristallo—mentre contestualmente nell'oscurità della sala su due servizi di calici, a destra e sinistra del palco, veniva concentrata la spietata luce bianca dei faretti—oppure il debole e continuo trillo del telefono percepibile verso la fine dell'esecuzione. A parte questi riferimenti allusivi e descrittivi, il flusso sonoro si è dipanato con una certa uniformità ipnotica e qualche deviazione timbrica, minuta ed eccentrica, fino al moderato crescendo conclusivo, spentosi abbastanza repentinamente.

Subito dopo è salito sul palco il percussionista, sperimentatore e docente Enrico Malatesta alle prese con l'esecuzione di "Solo VI," per percussioni e dispositivi di riproduzione audio, dell'ineffabile compositore tedesco Jakob Ullmann. Ancor più che nel precedente ascolto, in questo caso la staticità dell'andamento dinamico, lo spettro sonoro refrattario a bassissimo volume ed anche la lunga durata del brano hanno messo a dura prova sia il controllo dell'interprete (come lui stesso ha chiarito nell'introdurre il concerto), impegnato per lo più nell'imperterrito sfregamento verticale con un archetto su poche aste di un enorme vibrafono, sia la resistenza degli spettatori che tuttavia, a parte non poche defezioni durante l'esibizione, hanno persistito immobili in un silenzio di tomba. Senza dubbio, questi ultimi due concerti del 22 ottobre, pur diversi fra loro, hanno materializzato un'atmosfera introversa, soffocante, un po' dark e tutt'altro che luminosa, acuita anche dalla sobria ambientazione immersa nell'ombra perenne.

Questo tipo di situazione ambientale, favorita da una stagnante nebbia fumogena, come pure l'imperturbabile fissità dinamica del flusso sonoro, la prevalente staticità dell'impianto armonico e l'assenza di esplicite linee melodiche si sono replicate la sera successiva nell'ampio e spoglio spazio del Teatro alle Tese, dove un omaggio alla compositrice svedese Catherine Christer Hennix (1948—2023), le è stato tributato dal Kamigaku Ensemble, formazione da lei stessa fondata. In questo caso però l'intensità sonora, di per sé non frastornante, in alcuni momenti ha raggiunto livelli fisici tali da consigliare l'uso dei tappi per le orecchie, che venivano distribuiti all'ingresso. Le sonorità di due trombe e di due shö, strumento a fiato ad ancia libera della tradizione giapponese, erano filtrate da una preponderante componente elettronica e da un'avvolgente diffusione multifonica nello spazio. Per oltre due ore micro-variazioni armoniche e lunghe emissioni con la tecnica della respirazione circolare hanno creato una massa sonora densa e persistente, che ha alternato ondate di graduali crescendo e relative distensioni. Ne è sortita una situazione rituale e mistica, che il credo musicale della Hennix ha assunto probabilmente fin dagli anni della sua formazione, passando dall'ascolto di John Coltrane in concerto negli anni Sessanta alla frequentazione di La Monte Young e soprattutto al fondamentale apprendistato al fianco di Pandit Prân Nath.

Sempre su tempi lenti e visioni introspettive, ma sulla ricerca di un più ampio spettro armonico, alla Sala d'Armi G si è basata la performance della giovane compositrice-interprete londinese Lucy Railton nell'esecuzione di "Blue Veil" per violoncello solo. Un istantaneo e accurato approfondimento della perfezione del suono acustico e un'austera, sofisticata tessitura di armonici, di inflessioni pigre e accorate, di sospensioni e ripensamenti, hanno generato una parabola narrativa relativamente increspata.

La trentacinquenne svedese Ellen Arkbro, una delle due trombettiste del Kamigaku Ensemble citato in precedenza, è l'autrice di "Nightsong" per tre viole da gamba basse, lavoro commissionato dalla Biennale. Si è trattato, come nella performance della Railton, di una musica totalmente acustica, in cui severi impasti armonici, dalle reminescenze antiche, sono stati reiterati in una serie di lente sequenze fino a spegnersi nell'estenuato accordo finale.

Dell'ancor più giovane britannica Jasmine Morris, che sta completando i suoi studi a New York, all'interno di Biennale College Musica si è ascoltata la prima assoluta di "So-õn," opera elettroacustica per quartetto d'archi. A parte le circoscritte, sommesse ma sostenute e ben percepibili movenze sonore dei quattro interpreti, collocati a distanza fra loro su tre lati della lunga sala rettangolare, il contesto elettronico, elaborato attraverso tecniche sperimentali, ha fornito un bordone per lo più omogeneo, talvolta scosso da una ruvidezza appena accennata.

Di segno totalmente opposto (finalmente) all'ascetismo esausto che ha accomunato molte delle esperienze fin qui raccontate si è rivelata la performance "Resonant Vessel," per organo a canne realizzato a mano, acqua, oscillatore e voce, del giapponese FUJI|||||||||||TA. Una fontana allestita al centro del Teatro alle Tese, con il suo trespolo di tubi e canne, inondata da intensi fasci di luce, già di per sé fungeva da elemento teatral-scenografico di una certa efficacia, ma soprattutto la gestualità del performer nel gestire i flussi d'acqua e i suoi gorgoglii tramite un lavoro indefesso all'apparato elettronico dalla sua postazione ha dato un'impronta decisa al lavoro. Partendo da un naturale e riposante sgocciolio, poi subito deformato e amplificato, ha fatto seguito un viaggio attraverso sonorità concrete e squassanti ad alto volume, aggregate da diverse cadenze ritmiche continuamente variate e intrecciate fra loro. Dopo che la stessa voce dell'autore è entrata in campo opportunamente distorta, il ritorno allo sgocciolio della fontana ha siglato la fine della performance.

Ha poi fatto seguito l'apparizione di SUNN O))), il duo di chitarristi (Stephen O'Malley e Greg Anderson) attivo da oltre due decenni ed esponente di un radicale drone-metal. Davanti ad un fondale nero in controluce e avvolti da una fitta cortina di fumo, i due strumentisti erano praticamente invisibili, mentre il suono delle loro chitarre amplificate all'inverosimile produceva un muro di suono sovrastante, greve e respingente, basato su vibranti risonanze e su una successione di riff, semplici ma non distinguibili se non a una certa distanza. In questa occasione, in cui più che mai è emersa la variazione della composizione del pubblico, per età e tipologia sociale, si è reso davvero indispensabile l'uso di tappi per le orecchie.

Non si può fare a meno di segnalare infine le due interessanti installazioni visibili a giorni alterni, a ciclo continuo dalle 10 alle 18, alla Sala delle Armi E.

Di Meredith Monk, apprezzata vincitrice del Leone d'oro 2025, è stato proposto "Songs of Ascension Shrine," in cui su tre schermi affiancati veniva proiettata una performance da lei ideata nel 2023 ed eseguita alla testa dei suoi più fidi collaboratori. Se l'assemblaggio musicale, pur godibilissimo, poteva rivelarsi un po' frammentario, suggestive erano le riprese delle movenze dei cantanti-danzatori e degli strumentisti, che si spostavano lentamente dal basso verso l'alto e viceversa lungo la doppia scala elicoidale all'interno della cilindrica Ann Hamilton Tower in California.

Maxime Denuc, francese di nascita ma residente a Bruxelles, ha invece realizzato "Elevations" valendosi della collaborazione di esperti partner. Tre organi affiancati, appoggiati a terra e controllati via MIDI dal computer, intrecciavano serie di tipiche sonorità organistiche, dalle inflessioni vagamente sfrangiate. L'approccio estetico, che univa la solennità della musica sacra, la contemporanea sensibilità elettronica e altro ancora, ha raggiunto esiti di un'armoniosa e sorprendente unitarietà atemporale.

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