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Wadada Leo Smith Golden Quartet
Teatro Metastasio - Prato - 13.02.2012
Unica data italiana al festival Metastasio Jazz di Prato per il Golden Quartet di Wadada Leo Smith, settantenne compositore e trombettista cresciuto nell'AACM e oggi attivo e creativo come non mai.
Il Golden Quartet è un ensemble di grandi individualità, che Wadada dirige alla vecchia maniera, accentrando su di sé l'attenzione dei partner e dettando loro tempi, ispirazioni, spazi di libertà, dividendo il gruppo ora in duetti, ora in trii di volta in volta cangianti nella composizione, ma sempre costruendo una musica globalmente compatta e perfettamente strutturata, come era solito fare Miles, del quale - pur con le debite differenze e i giusti "tradimenti" - Leo Smith sembra essere uno dei più acuti epigoni.
Il concerto si è articolato su due lunghe suite, di circa quaranta minuti ciascuna, oltre a due eccellenti (e più concisi) bis. Musica tanto libera, quanto scritta e/o strutturata, all'interno della quale c'è spazio per atmosfere diverse e espressività per ciascuno dei quattro, eccellenti musicisti. Musica che richiama ora il primo Leo Smith, ricco di astrazione e ascesi - come nel celebre e affascinante Divine Love, del 1978 - ora invece i più attuali passaggi della ricerca contemporanea statunitense - ad esempio quelle viste negli ultimi anni nella rassegna pratese con i gruppi di Steve Lehmann (nel 2011) e Roscoe Mitchell (altro membro della AACM, nel 2010). Quindi, una compartecipazione di suoni evocativi e silenzi da un lato e di improvvise cesure, cambi di tempi e atmosfere, tumultuosi assieme di gruppo dall'altra. Appena velata, qua e là, da qualche eccesso di intellettualismo che ne rallentava il trasporto.
Splendidi i protagonisti, con un Wadada oggi unico nel trarre dalla tromba le più diverse e inusitate sonorità - non già però a fine sterilmente virtuosistico, bensì sempre con precisi intenti espressivi -, un sontuoso John Lindberg, forse tra i massimi interpreti viventi del contrabbasso, fino a un eclettico e sorprendentemente creativo Pheeroan akLaff alla batteria. Forse un po' in soggezione, invece, la pianista Angelica Sanchez, apparsa troppo condizionata dalle imbeccate del leader, ma che quando ha sciolto le briglie ha offerto anch'essa momenti di grande classe.
Difficile, se non impossibile, dare per iscritto un'idea di una musica caleidoscopica e intensa come quella sviluppatasi nelle quasi due ore del concerto. Restano però nella memoria i suoni diversi - ora volutamente "sporchi," ora (specie quando sordinati) incredibilmente eterei - della tromba di Wadada; gli spettacolari assolo di Lindberg, tanto potente, quanto cristallino nel suono, ma particolarmente pregevole all'archetto; alcuni passaggi di gruppo di totale coinvolgimento - come il bellissimo crescendo finale della seconda suite, dal sapore quasi mistico-trascendentale.
Grande concerto, dunque, oltretutto adatto a tutti i palati, perché capace di tenere assieme dentro la stessa trama tradizione e ricerca, libertà e discorso narrativo.
Foto, di repertorio, di Claudio Casanova
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