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Tim Berne & Los Totopos
Serata di grandissimo jazz al Pinocchio di Firenze, con una delle pochissime date italiane di Tim Berne con il suo ultimo progetto, Los Totopos. La formazione, che prende il nome da un piatto messicano, è interamente acustica e risponde all'esigenza del Berne compositore di sperimentare con cura strutture e situazioni nuove. Per questo il gruppo, messo assieme da un anno e mezzo, più che esibirsi mette alla prova in studio quanto il leader sta elaborando. I risultati si vedono e si ascoltano: brani lunghi, strutture complesse, costanti variazioni ritmiche e dinamiche, dettate da una elaborata scrittura che viene anteposta all'improvvisazione - la quale, tuttavia, finisce poi per dominare.
Il gruppo appare idealmente ben diviso tra ritmica e fiati, due coppie che interagiscono tra loro e al proprio interno. La ritmica - i giovanissimi e interessantissimi Matt Mitchell al pianoforte e Ches Smith alla batteria - si produce in tessiture astratte e ricche di dissonanze, a tratti in assenza dei fiati, quasi sempre in piena indipendenza da essi. Questi ultimi partono e chiudono assieme (quasi mai all'unisono) e si alternano negli assolo, giocando sulle differenze timbriche degli strumenti e sul diversissimo carattere improvvisativo dei due musicisti: Noriega, al clarinetto e al clarone, mette in risalto la sonorità del legno producendosi in fraseggi ricchi di note
prolungate, corposi su quelle basse e nervosi su quelle alte; Berne conduce assolo frammemtati, con fraseggi minimali ipnoticamente ripetuti, producendosi lungamente in elucubrazioni sussurrate e poi alzando la dinamica e trascinando con se il gruppo fino ad assieme caotici e catarticamente espressivi. Particolarmente suggestivo e virtuosistico un suo assolo in uno degli ultimi brani: una incessante variazione condotta quasi smontando, riducendo e poi rimontando il temino minimale di partenza, con modalità da cerebrale elucubrazione sonora.
In un contesto così sofisticato, fondamentale la straordinaria intesa dei musicisti, frutto evidentemente del lavoro di gruppo in studio (e non solo: clicca qui per alcune registrazioni fatte alla Jazz Gallery di New York nel gennaio dello scorso anno), che permette ai quattro di effettuare nessuna esitazione tagli improvvisi, scambio di parti, cambi di tempi e atmosfere.
In un quartetto di musicisti eccellenti, una menzione particolare la merita il batterista Ches Smith, efficace nel pennellare di colore con una serie di gong e percussioni ogni spazio diradato e ogni assolo dei fiati. Essenziale.
Foto di repertorio di Claudio Casanova.
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