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Sulla contaminazione: parte terza - Them or Us?

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Contaminazione e veleno: come ho detto all'incontro di Cormòns, la contaminazione può diventare "velenosa" ogni qual volta svaniscono le "ragioni dell'altro", che implicano conoscenza, rispetto, frequentazione, inevitabilità "storica", ed altri motivi ed attitudini, e dell' "altro" si prende, si assume, si esibisce solo la patina dell' "esotico". L'esotico è velenoso nel momento in cui l'occhio (l'orecchio, il gusto: i sensi, insomma) costruisce un simulacro dell' "altro" soggetto a una sorta di "deprivazione sensoriale": c'è, si avverte esteriormente, ma è un guscio vuoto.

Quest'ultima è una categoria pienamente e biecamente occidentale: la neutralizzazione del potenziale sentito, avvertito come minaccioso dell' "altro", ridotto quindi a pura "decorazione".

Vale per la musica, vale per ogni altro aspetto del vivere, intendendo come vivere il tessuto delle relazioni e delle interazioni che ci legano agli altri. Volenti o nolenti: e l'Occidente "nolente" sta facendo i conti proprio con questo. Anche la critica "jazz", che fatica a comprendere il nuovo concetto di "etnojazz", adagiandosi nella comoda categoria del "c'è sempre stato", da un lato, in quella del "è solo mercato", dall'altro.

Intervistando Davide Ferrari, direttore ed ideatore della Banda di Piazza Caricamento, l'orchestra "multietnica"di Genova, è venuto fuori un piano di discussione davvero interessante. Ovvero, che Ferrari "chiede" ai ragazzi africani, russi, cinesi, ecuadoriani di investire sulla propria identità musicale "etnica" per dimenticarsene. Quindi: mai la "somma" algebrica degli spicchi etnici, ma un flusso, per dirla con Richard Middleton, "articolatorio" degli spezzoni identitari che diventano "altro", un'altra identità che è la Banda con il "suo" suono. Buona contaminazione.

L'antropologo Marco Aime racconta in un suo libro che un ragazzino "arabo" di seconda generazione a domanda su cosa preferisse della cucina, ha risposto: "il cous cous come lo fa mia madre: uno strato di tortellini, uno di cous cous, e così via". Buona contaminazione. Pessima cucina? E perché, se funziona?

Da alcuni anni profili melodici "etnici", timbri, strumenti "passano" nel calderone popular più bieco. Ad esempio il Festival di Sanremo. Questo sì che è esotismo all'amatriciana. Anche se ci racconta, ci svela, ci indica che "sotto" c'è una pressione inevitabile: al momento neutralizzata nell'esotismo.

Ha fatto più danni l'esotismo new age di un paio di Tsunami. Coltri vaporose di tastiere, voci d'angelo, echi infiniti, una spruzzata di kora lì, un cinguettio là, un sentore di shakuhachi. Tutto il mondo ripulito, corretto, anestetizzato e rassicurante. Come il mondo non è. Velenosa contaminazione.

Anni fa intervistai un musicista di un'isola del Pacifico. A domanda, "cosa hai ascoltato, nella tua vita?" lui rispose: "Oh, tutta musica tradizionale. I nostri cori, le percussioni, i Beatles". Buona contaminazione planetaria.

C' è un esotismo della contaminazione "non velenoso"? Sì. Perché ogni volta che un musicista (jazz, ad esempio) accentua il lato ironico, grottesco, sarcastico, umoristico del proprio operare, molto spesso attraverso il "gesto" costruisce una rete di significati "altri" (di svelamento, di ri-costruzione del senso, di de-strutturazione) infinitamente utile. E non è affatto detto che manchi il rispetto per i singoli spezzoni culturali "utilizzati". E' vero il contrario, spesso.

Foto di Fabio Gamba

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