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Sulla contaminazione: parte prima - Un paio di antidoti contro la velenosità della contaminazione

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All'interno del festival Jazz & Wine of Peace 2008 di Cormòns, per la prima volta gli organizzatori del Circolo Controtempo hanno previsto una tavola rotonda per gli addetti ai lavori.

Il tema di fondo suggerito dal finlandese Markku Salo, coordinatore dell'incontro, era "Ai confini dei generi - L'eredità di una rivoluzione musicale a cavallo degli anni '70". Ognuno dei partecipanti (oltre al sottoscritto, Luca Canini, Guido Festinese, Neri Pollastri, Gigi Sabelli e Giuseppe Vigna) aveva scelto un argomento specifico, da trattare, secondo l'iniziale indicazione di Salo, in "otto minuti svizzeri". In realtà, dopo la prima esposizione sufficientemente completa da parte di Pollastri, le continue interruzioni/sollecitazioni dello stesso coordinatore hanno portato ad un colloquio a ruota libera, a un vivace botta- risposta. Meglio così: molta carne al fuoco, molte domande e, ovviamente, nessuna risposta definitiva, qualche provocazione, convergenze, distinguo, forse malintesi... comunque non sono mancati gli stimoli e gli spunti di riflessione.

Ad un certo punto Salo ha lanciato la palla, ponendo una domanda intrigante: «Secondo voi quand'è che la contaminazione diventa velenosa (nel senso di dannosa, pericolosa)?». La discussione aveva già preso altre direzioni, quando Festinese è tornato sull’argomento dando la seguente risposta: «Ogni volta che la contaminazione si presenta sotto forma di esotismo, inteso come "l'altro" deprivato di ciò che ci può inquietare». Una formulazione che nella sua sintesi è piuttosto nitida e articolata; tuttavia sul momento io ho istintivamente ribattuto: «Allora i temi "turistici" di Carlo Actis Dato rientrano nella contaminazione deteriore!». «No - ha risposto Festinese - perché in quel caso c'è ironia».

Siamo pienamente d'accordo: l'ironia, il sarcasmo, la parodia grottesca sono in grado di salvare/riscattare la contaminazione e l'esotismo dalla velenosità. Da Actis Dato si potrebbe risalire a Tan Tango di Loek Dikker, a "Bavarian Calypso" di Alex von Schlippenbach e a centinaia di altri esempi probanti. Pertanto l'esotismo, che può essere considerato una particolare declinazione della contaminazione, non è di per sé deteriore, può forse costituire una condizione necessaria, ma certo non sufficiente, per inficiare una mescolanza sostanzialmente positiva fra diversi ingredienti.

Riprendo l’argomento, allora rimasto in sospeso, cercando di formulare una mia tardiva risposta alla domanda di Salo. Contaminazione significa corruzione, infezione di un organismo tramite dei virus, alterazione dell'equilibrio fisico, morale, estetico di un sistema con l'introduzione di elementi estranei che funzionano da agenti destabilizzanti. Oggi il termine è molto usato in ambito culturale e artistico per indicare un intreccio, fluido o conflittuale, fra influenze culturali diverse, fra caratteri stilistici apparentemente incompatibili fra loro. Come tale, la contaminazione è un processo inevitabile, vecchio come il mondo, eminentemente positivo e contrario alla staticità della tradizione. L'arte di Correggio non ha forse costituito una riuscitissima fusione fra il "realismo" un po' austero e ombroso di Mantegna e di certi pittori nordici, il sublime e armonioso idealismo di Raffaello e lo sfumato atmosferico di Leonardo? E dalla confluenza di queste matrici non è scaturita, fra il 1520 e il 1534, una delle più straordinarie innovazioni della rappresentazione iconografica, sia sacra che profana?

Se il riferimento si rivolge a culture lontane nel tempo o nello spazio, esotiche secondo l'ottica della cultura predominante, ne risulta l'esotismo, inteso come un gusto evasivo o pregnante, più o meno giustificato, più o meno raffinato, più o meno fantasioso nel rigenerare le forme prelevate. Anche in questo caso si potrebbero citare innumerevoli esempi, risalendo molto indietro nel tempo. Si pensi ai vari arcaismi, alle cineserie, alle rielaborazioni di canoni egizi, pompeiani, arabi e così via, ricorrenti nell'arte occidentale di varie epoche. Si pensi alle turcherie utilizzate da Mozart in alcune sue composizioni (e naturalmente non solo da lui). Si pensi, per rientrare in ambito jazzistico, all'Africa cartolinesca messa in scena da Duke Ellington al Cotton Club, oppure, caso molto diverso in cui l'esotismo si coniuga con l'esoterismo, all'utopica aspirazione di Sun Ra a ricollegarsi ad antiche origini egiziane, quasi come possibilità di rifondare una propria nobiltà culturale.

Penso che siamo tutti d’accordo sul fatto che il jazz è musica meticcia per eccellenza, direi quasi per definizione o per statuto costitutivo. Ciò che distingue i grandi dagli esponenti mediocri è la capacità di creare proposte avanzate, consistenti ed originali rispetto al contesto socio-culturale vigente. Da Buddy Bolden a Zorn o William Parker (e, nella scena europea, da Django a Reijseger), l'operato dei maestri, a livello sia concettuale che tecnico, ne è la dimostrazione lampante. A questo punto però sarebbe il caso di analizzare più attentamente i meccanismi della contaminazione, dell’ibridazione, dell’incrocio fra diverse componenti, per capire in quali condizioni questi processi siano funzionali ad una valida produzione estetica.

Perché la contaminazione sia produttiva e dia buoni frutti, penso che si debbano verificare un paio di condizioni fondamentali. Innanzi tutto la presenza di forti idee generatrici. Tutti gli artisti partono da influenze, stimoli, insegnamenti diversi, anche eccentrici, ma solo se sono supportati da una spiccata personalità, da una visione creativa consapevolmente orientata, riescono a trasfigurare qualsiasi input esterno e a tradurlo in un proprio linguaggio inconfondibile e di evidente spessore.

Quando circa vent'anni fa intervistai Max Roach, gli chiesi fra l'altro quali requisiti fossero indispensabili per diventare un buon musicista; egli mi rispose: «Essere uno strumentista virtuoso e possedere un'ampia conoscenza teorica della musica». A queste due prerogative io aggiungerei che è necessario avere forti contenuti da esprimere, perché di musicisti ineccepibili sotto il profilo tecnico, ma che non hanno nulla da dire, ce ne sono fin troppi in circolazione; di essi non sentiamo alcun bisogno in quanto non ci comunicano la minima emozione. Un’altra citazione pertinente può essere quella di Mauricio Kagel, che sull'incrocio di fonti e codici differenti ha fondato tutto il suo metodo compositivo. In occasione di una masterclass tenuta nel 2004, egli insistette sul fatto che "bisogna partire da un'idea molto concreta per arrivare ad una musica astratta, assoluta". La forza delle idee appunto.

A questa condizione si connette automaticamente la seconda (in pratica sono le due facce della stessa medaglia). Vale a dire, se dal livello delle idee ci caliamo a quello prettamente tecnico-operativo-comunicativo, è indispensabile che il processo di contaminazione conservi un certo distacco nei confronti del materiale utilizzato. Ne deve sortire la totale rigenerazione delle componenti originarie, ognuna delle quali non può rimanere necessariamente uguale a se stessa e quindi immediatamente identificabile, ma deve trasformarsi, perdendo parte dei suoi connotati. In quest’ottica rientrano ovviamente anche le esplicite e stranianti rivisitazioni di composizioni della musica classica da parte di jazzisti quali Caine, Breuker, Westbrook, Trovesi, Rava e tanti altri.

L'interazione fra le varie componenti riplasmate deve tendere a generare qualcosa di radicalmente nuovo e autonomo, che abbia un'identità forte e una precisa ragione d'essere. Se l'operazione contaminatoria è veramente positiva non si ferma alla citazione esotistica, alla superficiale, smaccata esibizione dei modelli riciclati, al collage insulso, insistito e modaiolo di cadenze etniche, alla facile, effettistica comunicazione, ma raggiunge un'autonomia espressiva solida e inedita.

Si potrebbe quindi affermare, quasi per assurdo, che la contaminazione diventa "velenosa" quando i suoi esiti artistici evidenziano palesemente di essere frutto appunto di una contaminazione.

Foto di Fabio Gamba (Farnè) e Claudio Casanova (Breuker)

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