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Steve Lehman Attraverso lo Specchio di Braxton

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Steve Lehman Trio + Mark Turner
The Music of Anthony Braxton
Pi Recordings
2025

L'apertura di pensiero e l'impulso esplorativo di Anthony Braxton hanno stimolato non solo la folta schiera dei musicisti da lui direttamente coinvolti, come nel caso di Steve Lehman. Tra i grandi artisti che per propria iniziativa hanno scelto di confrontarsi con lui, ci piace ricordare Max Roach, del quale riportiamo le parole, in occasione delle registrazioni e dei concerti in duo a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta: "Per me, da un punto di vista creativo, Braxton è più vicino a Charlie Parker di tanti musicisti che oggi lo imitano. Penso che Braxton renda esplicito lo spirito di Parker. Per questo, suonare con Anthony o con Cecil Taylor è per me eccitante e stimolante allo stesso modo di quanto lo sia stato accanto a Parker o a Bud Powell."

Altri musicisti, non suoi collaboratori, hanno esplorato a proprio modo la miniera di Braxton, sono stati stimolati dalle sue inesauribili spinte generative. Ne troviamo un esempio significativo ed eccentrico nell'operazione del pianista britannico Pat Thomas, che con la sua formazione The Locals ha pubblicato nel 2020 un CD, intitolato appunto Play the Music of Anthony Braxton, dove si riproduceva un concerto dato nel 2006 al festival Konfrontationen di Nickelsdorf, in cui alcune composizioni del musicista chicagoano erano immerse in una cornice free-funk, perfettamente funzionante.

L'esempio di Thomas ci è tornato alla mente ascoltando questo nuovo lavoro di Lehman, non tanto per un'affinità nell'approccio e nei risultati, bensì per la concomitanza del periodo davvero fecondo da cui sono tratti i materiali musicali, prevalentemente gli anni Settanta. Addirittura due brani, "40b" e "23b," sono presenti in entrambi i lavori. Coincidenze. Risulta interessante, per chi ascolta, metterli a confronto, naturalmente con il contestuale ascolto delle versioni originali, presenti in New York, Fall 1974 e in tante pubblicazioni successive di Braxton. Si può ricavarne ancora una volta la cognizione di quanto la musica del chicagoano sia plastica, flessibile, adatta a scavalcare le categorie interpretative e di stile, mantenendo intatta la propria forza. Non è certo una novità.

Ora Lehman, dapprima allievo di Braxton, poi a lungo suo collaboratore, a cavallo tra la seconda metà degli anni Novanta e il primo decennio del nuovo secolo, sforna un lavoro eccellente. Il musicista ha partecipato in particolare all'attività scaturita dalla Tri-Centric Foundation, con la teorizzazione e realizzazione del poderoso programma di Ghost Trance Music. Ricordiamo la sua presenza con Braxton al Teatro Camploy di Verona nel 1999, nello straordinario concerto di un ensemble ricco di strumenti ad ancia, di cui erano parte tra l'altro James Fei, Seth Misterka, Jackson Moore, poi la chitarra di Kevin O'Neill e la batteria di Kevin Norton.

Tra i musicisti succitati, Lehman è quello che oggi riceve più attenzione, evidenziando fin dai primi anni del Duemila una personalità sfaccettata, sempre più saldamente collocata ai vertici della scena contemporanea per la qualità del proprio percorso e la varietà dei lavori discografici. Nel caso di questo CD, che riporta un concerto svoltosi all'ETA di Los Angeles, il nucleo dell'organico è il rodato trio con Matt Brewer al contrabbasso e Damion Reid alla batteria. In attività dal 2009, nel 2012 la formazione ha pubblicato l'album Dialect Fluorescent e nel 2019 ha registrato The People I Love, sempre per l'etichetta Pi Recordings, con l'integrazione significativa di Craig Taborn al pianoforte.

In questo caso, l'aggiunta di riguardo è quella del sax tenore di Mark Turner, che nell'abbinamento all'alto del leader fa scattare una profonda empatia, avvertibile già dagli unisoni che aprono il CD: una miscela dinamica, i cui umori timbrici sono però ben definiti e riconoscibili. Si tratta di un accostamento a contrasto: nelle complesse acrobazie di "34a" i due strumenti si muovono in scioltezza, assecondati dalla sincronia dei due ritmi in un incastro che respira ed allo stesso tempo è implacabile nella precisione. A queste concordanze si affianca, nel corso degli interventi solistici, la serie molteplice di sfumature e di antitesi, sul piano del fraseggio e delle trame, del pensiero narrativo. Lo strumento di Lehman è quanto mai tagliente e brusco, proteso verso i registri più alti, sovente sulla scia dell'altro suo mentore, Jackie McLean.

Il tenore di Turner si pone su un altro versante, quello della morbidezza di movimento, delle sfumature a mezza tinta, dell'astrazione spesso sottintesa e allusiva. Il passaggio e il dosaggio costante tra i due differenti stili di astrazione, che però dialogano in simbiosi, è uno dei motivi più avvincenti in questo lavoro. Valorizza un aspetto sostanziale della musica di Braxton: la ricerca di una dialettica aperta, mutevole, che si sviluppi su piani diversi di stile e pensiero, tra scrittura e improvvisazione.

Nel programma, spicca il fulminante "23b+23g," dove Turner esprime uno dei suoi momenti di improvvisazione più alti, stimolando la successiva reattività di Lehman in un crescendo travolgente. La sezione conclusiva "23g" mette ancora in risalto la perizia dei due ritmi nel muoversi in sorprendente agilità: una macchina oliata e armonizzata, fatta funzionare da Lehman più con i propri criteri di salda compattezza che secondo la confidenza di precisione e sbandamento propria di Braxton.

Tre brani in repertorio non sono del chicagoano: tra i due scaturiti dalla penna dello stesso Lehman, segnaliamo la penetrante vena agrodolce che innerva "Unbroken and Unspoken," con il contributo eccellente del contrabbasso di Brewer e ancora uno stellare Turner. Il celebre "Trinkle Trinkle" di Monk chiude come bis il concerto di Los Angeles e scaturisce quasi spontaneamente dell'intreccio giocoso dei due fiati, dapprima con brevi cenni sfilacciati e maliziosi, poi in tutta la sua forza spericolata.

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