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Quando il primo disco? Intervista a Gabriele Evangelista

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Oggi c'è un'offerta quasi infinita di musica quindi finché non mi sentirò veramente pronto non ho voglia diunirmi a questo mare.
Gabriele Evangelista è giovane, è apprezzato come musicista e ha dunque la vita dalla sua parte. Ma non è semplice dover gestire determinate situazioni, soprattutto quando il peso delle aspettative inizia a farsi sentire. Del resto, questo è il conto da pagare per chi come lui possiede talento, sorretto da una grande voglia di imparare, fare esperienze e proporre la propria visione della musica. Lo abbiamo già visto al fianco di grandi musicisti ed è atteso da molti al primo disco a suo nome. Nel frattempo continua a farsi le ossa in progetti interessanti, come nel quintetto Tribe di Enrico Rava e nel recente Replay di Roberto Gatto, e in quelli di prossima pubblicazione: Simone Graziano quintet (con David Binney e Chris Speed) e Riccardo Zegna (con Billy Hart).

All About Jazz Italia: Molti musicisti esperti ti nominano come uno dei migliori giovani in circolazione. Come reagisci a questi elogi?

Gabriele Evangelista: Mi fa molto piacere, mi sento onorato dal fatto che personaggi importanti del jazz - tra i quali alcuni di loro sono dei miei riferimenti - pensino questo di me. Sono complimenti che mi hanno anche fatto direttamente, e questo in pratica si è traformato nel suonare con loro, come per esempio è accaduto con Enrico Rava.

AAJ: Uno di questi è Roberto Gatto. Hai suonato nel suo recente album Replay. Come sei riuscito a entrare in sintonia con un musicista così esperto? È più facile suonare con un tuo pari età?

G.E.: Sono due cose diverse, ma fanno entrambe produrre una bella musica e fare esperienza. Suonare con Gatto o altri musicisti che hanno un'esperienza alle spalle grandissima è molto importante, perché questa esperienza si concretizza nel modo di affrontare la musica, sia nel senso strumentale che strutturale, quindi anche a livello più profondo. È un po' come una lezione in corso d'opera, è bellissimo per questo motivo, perché si impara tanto anche senza l'aiuto delle parole; basta il contatto energetico e artistico che riescono a trasmettere. Quando suono con i miei coetanei si condivide un presente più simile, si hanno più riferimenti in comune, quindi c'è una maggiore intesa sotto questo aspetto. Il vissuto è più o meno lo stesso, anche dal punto di vista didattico. Viviamo la stessa società, c'è un approccio e una sintonia simile, anche se, ovviamente, ognuno mantiene la propria personalità.

AAJ: Inizi a sentire il peso delle aspettative?

G.E.: Sì, sicuramente. Spesso mi viene chiesto quando farò il primo disco a mio nome. È una domanda che mi pongo anch'io. Avverto l'esigenza di fare qualcosa di mio, senza dubbio. Penso però che lo sviluppo dei mezzi mediatici e di condivisione dell'informazione ha portato a un'enorme quantità di dischi, progetti, iniziative discografiche; un'offerta quasi infinita. Quindi finché non mi sentirò veramente pronto non ho voglia di unirmi a questo mare di musica. Vorrei essere veramente certo dei miei mezzi per poter mettere insieme un qualcosa a mio nome. Devo anche crescere in determinati aspetti, per diventere un leader c'è bisogno di tempo, molto di più rispetto al saper crescere dal punto di vista semplicemente strumentale. Accadrà, ma non ora.

AAJ: Credi di avere un suono riconoscibile o stai cercando la tua personalità?

G.E.: Negli ultimi due hanni ho affrontato un tipo di ricerca del suono molto più radicata rispetto a quando ero più piccolo. Inizio a riconoscermi nel mio suono, soprattutto se ho il mio strumento, quello che possiedo. È un mezzo fondamentale; spesso in giro non sempre è facile trasportare il contrabbasso e gli strumenti che trovo sui palchi non sempre mi soddisfano. Non è facile, ma sto lavorando su questo aspetto. Mi piacerebbe "trovarmi" con qualsiasi strumento che mi capita di suonare. Sarà uno step successivo. Con il mio strumento mi riconosco appieno, mentre prima mi sentivo più "vittima" delle influenze degli ascolti.

AAJ: Stai intraprendendo la carriera di musicista in un momento economicamente pessimo. Sei intimorito dalla crisi che attanaglia il mondo dello spettacolo e della società in genere?

G.E.: Vedendola dall'esterno sembra una scelta azzardata. È un periodo storico dove la crisi globale ha sottratto molto al settore artistico. A volte mi chiedo se ci sarà un peggioramento o ci sarà una risalita. Però credo che già il fatto che una persona decida di intraprendere questo tipo di percorso rappresenti la volontà di rischiare, di fare un salto nel vuoto. Nella vita in generale lanciarsi verso un qualcosa di sconosciuto è una scelta coraggiosa, ma anche produttiva per la crescita del proprio essere, che poi si rispecchia nell'arte che si produce o che si cerca di esprimere. Questo rischio è condito da un po' di adrenalina.

AAJ: Il tuo corso di studi si è concluso con la lode e la menzione d'onore ministeriale presso l'Istituto Musicale "P.Mascagni" di Livorno. Il giorno del diploma sentivi di aver raggiunto un traguardo oppure avevi già in mente altri pensieri per il futuro?

G.E.: Dal giorno dopo ho pensato che fosse la fine di una fase e quindi l'inizo di un'altra. Non sapevo bene quali fossero i miei obiettivi, la mia direzione. Avendo studiato in maniera accademica la musica classica non avevo ancora capito cosa volessi approfondire. Il jazz era molto presente nelle mie passioni e suonicchiavo qualcosa. Una grande svolta c'è stata quando ho deciso di frequentare il meraviglioso biennio a Siena che si chiamava In.Ja.M.. Lì ho capito cosa volevo fare da grande.

AAJ: Un percorso artistico breve, ma già pieno di riconoscimenti e consensi. Ti è mai capitato di non sentirti all'altezza della situazione?

G.E.: Spessissimo. In realtà non sono mai stato un primo della classe, anche se sento di avere una certà capacità, un certo talento musicale. Però uno dei miei tanti difetti è che non riesco ad avere un metodo di studio. Ci sono state situazioni dove non mi sono sentito all'altezza, dove gestire l'emotività non è stato facile. Per esempio in palchi condivisi con persone e musicisti che reputo superiori, dove il lato emotivo incide sulla concentrazione e dunque sul suonare. Sto migliorando con l'esperienza e un minimo di sicurezza la sto acquisendo, anche se non è stato facile. È difficile controllare situazioni nuove, anche per paura di essere giudicato. Se ripenso a certe serate mi considero un po' paranoico.

AAJ: A volte però può essere anche solo un'impressione personale.

G.E.: In effetti penso anche che se non fossi all'altezza non sarei lì a suonare in quel momento, in certi contesti. È una fase che sto superando, anche perché a volte credo di non aver suonato troppo bene, mentre a fine concerto ricevo gli elogi da chi ha assistito al concerto e anche dagli altri musicisti. Devo suonare ed esprimermi al meglio senza dover dimostrare niente a nessuno. La gestione dell'emotività è, al di là dell'esperienza, un obiettivo che tutti cercano di ottenere.

AAJ: In un'altra intervista citi Kandinsky: "L'arte è figlia del suo tempo e madre dei propri sentimenti". Credi molto in questo concetto?

G.E.: Sono un grandissimo appassionato di Kandinsky e credo molto in questo concetto. Quando ho letto questa frase sono rimasto illuminato. L'essere esecutore o suonare filologicamente non ha senso se vivi in una certa realtà, e vivi la tua attualità come persona. Quindi se non vivessi l'attualità tutto ciò che ne verrebbe fuori sarebbe falsato. La ricerca del passato fine a se stessa non proviene dalla nostra anima.

AAJ: Hai ventiquattro anni. La maggior parte dei ragazzi della tua età passano il tempo in altri modi. Hai qualche rimpianto a rigurado?

G.E.: In realtà no, mi piace molto come è organizzata - o disorganizzata, dipende dal punto di vista - la mia vita. Riesco a gestire i miei spazi, trovarmi con i vecchi amici di scuola. Mi diverto. Spesso riesco anche a trovare del tempo libero anche quando sono in giro a suonare. Molti miei amici sono anche i musicisti con cui suono. Non faccio una vita troppo sacrificata, anche se vista da fuori può sembrare che sia troppo preso dall'essere musicista e nient'altro. Amo il cinema, la lettaratura e le musiche che non siano necessariamente jazz. Mi piace stare in mezzo alla gente, mi diverto e me la vivo bene la mia post-adolescenza.

Foto di Roberto Cifarelli (la prima), Davide Susa (la seconda e la quarta) e Cees Van de Ven (la terza).

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