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Pepito - Il Principe del Jazz di Marco Molendini

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Pepito—Il Principe del Jazz
Marco Molendini
223 pagine
ISBN: # 978-88-3389-371-6
Minimum Fax
2022

«Una notte Walter Chiari me incrocia, me vede pallido come un cadavere e me fa: "Principe, vai a dormire e rimboccati la lapide." Se so' messi tutti a ride».

Il principe in questione è Pepito Pignatelli e l'aneddoto è uno dei tanti riportati da Marco Molendini nella sua avvincente biografia dedicata al fondatore del Music Inn e al leggendario protagonista delle notti romane del jazz, dagli anni della Dolce Vita in poi.

Un mondo musicale che Molendini ha vissuto in prima persona accanto a Pignatelli e come critico musicale del Messaggero. Nessuno meglio di lui poteva rievocare la vita avventurosa del principe romano, come parte di un affresco che tratteggia la Roma degli anni migliori e si amplia alla vicende del jazz nella capitale e in Italia.

Il pregio del volume è in questa ricca e multiforme narrazione. Imperdibile per ogni appassionato di jazz ma irresistibile anche per il grande pubblico, per la gustosa aneddotica che ricorda i jazzmen italiani e stranieri nel variopinto universo di attori famosi e comparse, nobili decaduti, libertini, starlet e personaggi delle notti brave di via Veneto e di Trastevere.

Scomparso più di 40 anni fa, Pepito Pignatelli era tra i nobili più titolati d'Italia, un principe il cui ramo familiare risaliva al 1637, quando Giovanna D'Aragona Tagliavia y Cortes discendente del grande conquistatore spagnolo, sposò Ettore Pignatelli, duca di Monteleone. Tra i suoi avi c'erano un papa, un santo e persino un arcivescovo citato da Dante nella Divina Commedia.

Economicamente decaduto anche per colpa del padre, Pepito non si curava del cahier nobiliare e visse una febbrile passione per il jazz come appassionato e occasionale—anche se valente-batterista.

È entrato nella storia del jazz come infaticabile impresario di storici locali: il Mario's Bar (primo jazz club italiano), il Blue Note e il Music Inn, gestito e portato alla celebrità con mille sacrifici. Quest'ultimo locale ha ospitato centinaia di protagonisti internazionali (da Bill Evans a Charles Mingus, da Chet Baker a Dexter Gordon, da Ornette Coleman a Steve Lacy) ma è stato cenacolo di un'intera generazione di giovani jazzmen romani, primi tra tutti Enrico Pieranunzi, Roberto Gatto, Fabrizio Sferra, Rita e Carla Marcotulli.

In uno sviluppo fluido e scorrevole c'è ampio spazio per significativi ritratti privati: Umberto Cesari, Gato Barbieri, Dexter Gordon, Massimo Urbanii, Charles Mingus e Chet Baker. Traspare in ogni pagina l'affetto per Pepito, senza censure per quell'indole iconoclasta e autodistruttiva che l'ha portato alla morte come i grandi del be-bop che aveva tanto amato.

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