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Dino Betti van der Noot: Où sont les notes d’antan?
ByCosa c'è di strano, si dirà? Parecchio. Dino è sempre stato uomo (nel senso di musicista) prevalentemente di penna (cioè di scrittura), di prove e incisioni rigorosamente in studio, con non pochi patemi nel riunire i suoi uomini su un palco, per le difficoltà di spostamenti, concomitanze di date, ovviamente ingaggi, visto che muovere un'orchestra di venti elementi non costa due lire.
Stavolta no. Stavolta ci sono state quelle opportunità concertistiche e non è cosa di poco conto. Sarà forse per questo che Où sont les notes d'antan?, titolo anche del brano d'apertura e dei due concerti al No'hma, con un chiaro rimando a Villon via Brassens (lì le note erano in realtà nevi, neiges), è gemma fra le gemme, magari infinitesimalmente, ma persino più lucente di tanti precedenti lavori che pure hanno fatto razzia di premi nel corso degli anni, con una sinergia praticamente perfetta fra obbligati e apporti solistici.
La grandezza di un compositore, si sa, a partire dall'amatissimo (da Dino e ovviamente da tutti noi) Ellington, sta in quanto, con la propria scrittura, egli riesce a "condizionare," o meglio a suggestionare, l'approccio dei solisti: da qui nasce quell'alchimia che fa appunto cogliere nell'assolo un proseguimento del tutto naturale del tessuto compositivo, una sua compenetrazione, portando non di rado chi improvvisa là dove magari, da solo, non sarebbe neppure arrivato.
In questo splendido album le situazioni del genere sono costanti, nel momento in cui la scrittura bettiana si muove per chiazze di colore (microtemi, se vogliamo), evitando il tematismo spicciolo (discorsivo, narrativo) proprio del song, con un impatto anche forte, deciso, sferico, marmoreo, a volte, che il solista tende poi a srotolare, a sdipanare a suo piacimento, non potendo però fare a meno di tener conto da dove era partito, dove si era trovato immerso, con che cosa deve convivere, anche in previsione di ciò che verrà dopo. Perché il corpus orchestrale, massiccio o a ranghi più ridotti, finirà comunque per riassorbirlo, reinghiottirlo, rimpallando di continuo i vari elementi in gioco (tutti/solo, solo/solo, ecc.) in un corpus ormai padrone di una cifra stilistica riconoscibilissima, incontestabile, piena di sottigliezze o, per contro, marcata corporeità, ora allusiva e ora solenne, sempre di un rigore stringente tanto quanto screziata, felicemente articolata.
Sarebbe ora magari il caso di entrare nel dettaglio dei cinque brani che compongono il disco ma riterremmo in tal modo di togliere pathos all'ascolto diretto, irrinunciabile. Provvederanno, nel caso, le note di copertina che per una volta Dino Betti ha ritenuto (molto opportunamente) di stendere di persona, non mancando di accompagnare il disco con un ulteriore testo illustrativo in cui parla fra l'altro di "una musica più libera, giocata e partecipativa rispetto agli album precedenti, con molta scioltezza e un po' di humour anche quando ha dei contenuti problematici." Altro da aggiungere?
Track Listing
Où sont les notes d’antan?; That Muddy Mirror; Velvet Is the Sound of Drums – From Afar; The Paths of Wind; Threading the Dark-Eyed Night.
Personnel
Dino Betti van der Noot
composer / conductorGianpiero Lo Bello, Alberto Mandarini, Mario Mariotti, Paolo De Ceglie: trumpet, flugelhorn; Luca Begonia, Stefano Calcagno, Enrico Allavena: trombone; Giancarlo Marchesi: bass trombone; Sandro Cerino: flutes, bass clarinet, alto saxophone; Andrea Ciceri: alto saxophone; Giulio Visibelli: flute, tenor saxophone; Rudi Manzoli: tenor saxophone; Gilberto Tarocco: clarinet, baritone saxophone; Emanuele Parrini: violin; Luca Gusella: vibes; Niccolò Cattaneo: piano; Filippo Rinaldo: keyboards; Vincenzo Zitello: harp; Gianluca Alberti: electric bass; Stefano Bertoli, Tiziano Tononi: drums, percussions; Dino Betti van der Noot: direction.
Album information
Title: Où sont les notes d’antan? | Year Released: 2017 | Record Label: Stradivarius
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Instrument: Composer / conductor
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