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Musica sulle Bocche - Decima Edizione
ByPer un festival che ha nella Sardegna non solo la sede topografica ma anche, storicamente, l'anima ispiratrice di gran parte della musica proposta, scegliere come tema dell'edizione del decennale il tema "Il mito della Sardegna" era quasi doveroso. Aprire poi, mercoledì 25, con un prologo dedicato alla presentazione dell'edizione completa dei lavori di Fiorenzo Serra, il massimo documentarista sardo, non poteva essere più appropriato: gli spezzoni proiettati sulla facciata della chiesa di S. Lucia hanno mostrato passaggi importanti della Sardegna negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, con l'isola in transizione tra l'arcaico e il moderno, che hanno destato forte emozione, preparando all'ascolto di alcune delle musiche tradizionali isolane proposte nella stessa chiesa i giorni successivi.
Il giovedì 26, dopo il festoso concerto itinerante dei Timbales - percussionisti brasiliani, ma provenienti dalle Langhe, che hanno accompagnato tutti i pomeriggi e le notti della manifestazione - il festival si è aperto proprio con un concerto di musica tradizionale, il canto a cappella dei Cantores di Cuglieri: magia di una musica che affonda le sue radici in un lontanissimo passato.
A seguire, al chiostro del porto, il compositore e virtuoso di chitarra Giovanni Seneca ha prima proposto in solitudine alcune sue belle composizioni, poi - assieme al quintetto d'archi della Sardegna - altri originali, più alcuni brani classici, ma omogenei all'idea guida del concerto (e dell'ultimo CD di Seneca) - quella di "Serenata Mediterranea" - come il "Fandango" di Boccherini (definito dal chitarrista world music ante litteram) e il "Concerto d'Aranjuez" di Rodrigo. Bei suoni, scrittura per archi con reiterazioni alternate a largo uso di pizzicati, cifra melodica con influenze ad ampio spettro e una indubbia originalità di fondo.
Introdotto da Tino Tellini, artefice della vertenza dei cassintegrati dell'Asinara - diventata celebre come "L'isola dei cassintegrati," titolo del suo libro - il concerto serale ha visto di scena il quintetto italo-finlandese "Infinita," messo in piedi dal sassofonista Massimo Carboni e dal pianista Sid Hill e qui, grazie al festival, alla sua prima assoluta. Jazz moderno suonato con perizia e passione, alternando passaggi neobop ad altri più lirici, dal sapore wheeleriano. Molto interessante il pianista, capace di aperture inattese, e ancor più il trombettista compostamente impetuoso Tero Saarti. Bella proprietà di linguaggio per il sassofonista co-leader e menzioni anche per i due sardi alla ritmica, il contrabbassista Paolo Spanu e il batterista Gianni Filindeu Bella formazione, ancorché piuttosto convenzionale.
Dopo le rituali incursioni dei Timbales sulla spiaggia e nel cuore del paese, il secondo giorno ha offerto prima la "lezione" di batteria di U.T. Gandhi ai bambini (felicissimi ed entusiasti), poi (nella chiesa di S. Lucia) il chitarrista sardo Ignazio Cadeddu, che ha proposto un repertorio di trascrizioni e arrangiamenti per sola chitarra di musica originalmente nata per launeddas. Balli dalle strutture circolari e reiterate, di grande suggestione. Accanto, preziose melodie isolane, per un ideale viaggio attraverso la Sardegna, dalla Gallura al Campidano, passando per la Barbagia. Conclusione, splendida, con la ben nota Ave Maria sarda. Intanto, sul traghetto per la Corsica si esibiva il trio Dish, composto da giovani musicisti sardi.
In prima serata, nel chiostro del porto, di scena The Better Way, ossia il duo tra il clarinetto basso di Marco Colonna e la batteria di Ivano Nardi, che hanno proposto una musica radicata nel free e nel jazz politicizzato degli anni Sessanta e Settanta, attraversata da omaggi: a Victor Jara, Massimo Urbani, Billie Holiday, a un musicista afgano giustiziato dai talebani perché colpevole di suonare musica "impura". Grande abilità tecnica e fortissima espressività, accompagnate però da forse eccessive cerebralità e astrattezza, hanno caratterizzato il concerto.
L'appuntamento più importante era per le 22,30 nella centrale piazza Vittorio Emanuele, con il progetto originale del direttore artistico del festival, Enzo Favata: "Os caminhos de Garibaldi na America". Un viaggio descritto in un libro dallo stesso titolo e ripercorso in modo onirico con la musica attraverso citazioni risorgimentali ("Addio mia bella") e dalla tradizione sarda, brani dal gusto latino, passaggi più liberi dal forte impatto. Il tutto, unendo virtuosamente le differenze dei due autori delle musiche: Favata, la cui liricità è spiccata anche alle ance, e Alfonso Santimone, autore degli arrangiamenti e direttore sul palco, che ha conferito al lavoro una maggiore trasgressività, strutturandolo con continue separazioni della formazione a creare situazioni musicali diverse, con tagli e cambi di ritmo e atmosfera. Azzeccata la scelta dei tre ottoni, tra loro così diversi - esplosivo Mauro Ottolini, sofisticato Giancarlo Schiaffini, nervoso e impetuoso Flavio Davanzo alla tromba - eccellente la ritmica, con Danilo Gallo che ha preso anche alcuni efficaci spazi solistici e U.T. Gandhi pronto a cambiare pelle al mutare degli scenari, fino a staccare uno dei "pezzi" del suo set, una grancassa da marching band, quando il gruppo ha concluso il concerto scendendo tra il pubblico per suonare una coda. Bello spettacolo, intenso musicalmente e attraversato da una tensione non solo musicale per un personaggio simbolo dell'idealità etica e politica. Una replica è poi andata in scena come coda del festival lunedì 30, a La Maddalena - così prossima a Caprera, casa di Garibaldi - ma è prevista una tournée mondiale l'anno prossimo, per le celebrazioni sull'Unità d'Italia.
L'appuntamento del sabato con la tradizione sarda era con la cantante Carla Denule, accompagnata all'arpa da Marcella Carboni, alla chitarra da Marcello Peghin e alle ance da Favata, anche se i momenti migliori si sono avuti proprio nei pezzi in solitudine, nei quali meglio si è potuto apprezzare tanto la voce della Denule, quanto la suggestione dei brani popolari.
Il concerto del chiostro del porto, alle 20,30, vedeva di scena un trio di grande interesse: Arild Andersen e Paolo Vinaccia, affiatati collaboratori di lungo corso, con il sassofonista tenore inglese Tommy Smith. Il trio è autore di uno splendido CD per ECM, Live at Belleville. Il concerto si è però basato su materiali diversi e anche le atmosfere erano meno varie: pur rimanendo infatti centrale l'espressività nascente dall'interazione, il materiale tematico lirico, sempre presente, ha ancorato il concerto al jazz nordico più di quanto non avvenisse nella registrazione. E anche Tommy Smith ha forse troppo spesso usato stilemi tipicamente garbarekiani, anche se giocandoli in modo originale e interessante, ad esempio aggiungendo un fraseggio più articolato e veloce. Ciononostante il concerto è stato eccellente, non solo per la straordinaria abilità dei tre musicisti (di Andersen è inutile dire niente, si tratta di uno dei maggiori contrabbassisti viventi, Vinaccia ha impressionato per la coniugazione di sensibilità, colori e potenza, Smith ha mostrato un controllo della dinamica fuori del comune), ma anche perché i tre hanno comunque proposto una originale evoluzione della tradizione jazzistica nordeuropea.
Il concerto conclusivo della giornata, in piazza, ha messo in vetrina le grandi qualità strumentali di Flavio Boltro, alla guida di un quartetto con Giovanni Mazzarino, Marco Micheli e Francesco Sotgiu. La musica proposta, in larga parte di Boltro, è un jazz moderno con ampi spazi per gli assolo. Ed è su questi ultimi che il trombettista è emerso con forza, mostrando una dinamica davvero unica per lo strumento, una vasta gamma di forme espressive sempre controllate con maestria e messe al servizio dei temi. Meno persuasivo il pianista e, in generale, il clima pur cangiante della musica, ma alcune delle cose offerte dal trombettista valevano da sole il concerto.
La lunga domenica, giornata conclusiva della manifestazione, è iniziata all'alba con il concerto sulla spiaggia di Rena Bianca di Marcella Carboni, arpista classica con il "vizio" del jazz (clicca qui per leggere la recensione del disco del Nat Trio, di cui fa parte). Musiche perciò in equilibrio tra classicità e improvvisazione, nel suggestivo scenario delle Bocche di Bonifacio.
Nel pomeriggio, gran finale congiunto degli appuntamenti tradizionali, ospiti i Tamburinos di Gavoi, di quelli itineranti dei Timbales e della "scuola di jazz per i bambini" di Gandhi. Vista la comune cifra percussionistica, i tre appuntamenti si sono incontrati alle scalette di via Angioj, ove si sono "fusi" in una sola cosa, dando vita a un'entusiasmante e coloratissimo assieme percussivo, che U.T. Gandhi a prima condotto e poi festosamente rifornito di vino. Grande cornice di pubblico, estremamente coinvolto dai ritmi, ma anche dall'umore e dal senso di amicizia che attraversavano i musicisti e dalla contagiosa eccitazione dei bambini.
Grande era l'attesa per il concerto del porto, con il trio di Stefano Battaglia, del quale è atteso a breve un lavoro registrato. Questo sia per la qualità del pianista e dei suoi compagni, Salvatore Maiore e Roberto Dani, sia perché Battaglia è musicista complesso e polimorfe, ed era interessante vedere in che modo coniugasse in trio la sua specifica cifra, a
confronto con quanto espresso nel duo con Michele Rabbia, con cui ha pubblicato il suo più recente CD, Pastorale (clicca qui per la recensione di un loro recente concerto). Rispetto a quella formazione, fortemente eterea e ascetica, il trio ha mostrato un maggior contenuto narrativo, scandito da un ben diverso pathos ritmico e dinamico. Ciò scaturiva, ovviamente, anzitutto dalla presenza del contrabbasso di Maiore, il cui apporto (non solo) ritmico garantisce il legame sintattico del discorso narrativo, e dalla diversità rispetto a Rabbia di Dani, capace tanto di muoversi su territori di esplorazione del suono, quanto di offrire una personale interpretazione del più tradizionale ruolo del batterista in un trio jazz. Ma, oltre a questo, diverso è apparso l'approccio di Battaglia alla tastiera: più lirico, meno percussivo, memore delle (ma tutt'altro che dipendente dalle) lezioni del miglior Jarrett e del pianismo europeo, attento al dialogo con i partner.
In tutto questo, tuttavia, permane la stessa originalità, l'analoga ricerca quasi mistica presente nel duo. Svoltosi in pochi, lunghi brani continuamente cangianti in atmosfere, tempi e colori, il concerto è stato tra i migliori dell'ottima rassegna, la cui conclusione (a parte il concerto finale all'alba) si è avuta immediatamente dopo, in piazza Vittorio Emanuele.
L'appuntamento era con l'evoluzione di Voyage en Sardaigne, storico progetto di Favata via via modificatosi e cresciuto con gli anni e qui presentato non solo con nuove composizioni e nuovi protagonisti, ma per l'occasione anche con una schiera di ospiti speciali: quasi tutti i musicisti del progetto su Garibaldi, l'arpista Marcella Carboni, la cantante Carla Denule, tutti lieti di aggiungersi "in corsa," coerenti allo spirito dell'intera rassegna.
Il nucleo centrale del gruppo era composto dalle liriche ance di Favata, dalla narrativa chitarra di Marcello Peghin, dal contrabbasso di Yuri Goloubev, dalla batteria di Carlo Sezzi, da Daniele Di Bonaventura (autore degli arrangiamenti degli archi e direttore sul palco, oltre che impegnato in alcune parti al bandoneon) e dall'orchestra d'archi della Sardegna, diretta da Simone Pittau. Accanto a loro, si sono alternati sul palco i Tenores e Concordu di Orosei e la Denule, mentre gli altri ospiti vi sono stabilmente rimasti, a formare un organico decisamente poderoso, nel quale hanno brillato U.T. Gandhi, impegnato alle percussioni "sarde" (una bottiglia di birra Ichnusa...) e alla grancassa, e Flavio Davanzo alla tromba, che raddoppiava con ottimi risultati la prima voce di Favata. Importante anche l'ingresso dei due tromboni, Schiaffini e Ottolini, che hanno ampliato la tavolozza di colori, mentre Alfonso Santimone screziava con interventi elettronici (importante uno su un assolo di Favata) e nervosi interventi al piano. I brani, tutti richiamanti l'isola e le sue tradizioni, hanno in tal modo preso una foggia assai diversa da come proposti in organico più ristretto e certo anche un maggior afflato rispetto a come previsti originariamente, senza gli ospiti. Particolarmente suggestivi anche scenograficamente i brani con i Tenores e Concordu di Orosei, attorniati da una musica concitata e ricca di colori. Grande spettacolo, che ci si augura di poter ascoltare anche su disco quanto prima.
Il gran finale era tuttavia rimandato all'alba di lunedì 30, quando sulla spiaggia di Rena Bianca si è presentato Egberto Gismonti in data unica europea. Del grande musicista brasiliano c'è poco da dire: ha iniziato alla chitarra, proseguito al pianoforte, concluso con un divertente quadretto a un flauto in plastica autocostruito, mostrando una certa commozione per la impressionante quantità di pubblico presente a quell'ora (le sei del mattino, con i concerti serali terminati dopo le una!) sulla spiaggia per ascoltarlo. In programma composizioni tratte dal suo splendido repertorio, eseguite con la sua impareggiabile maestria, talvolta unendone più di una nella stessa esecuzione. Il tutto, sullo sfondo del mare, delle onde che accompagnavano la musica e della Corsica che appariva progressivamente all'orizzonte al crescere del sole. Con forte emozione per un pubblico che vedeva presenti anche un gran numero di musicisti passati in precedenza sui palchi del festival.
In conclusione, si impone una breve considerazione. Musica sulle Bocche è un festival che ormai si è imposto come uno dei più importanti del paese, certo grazie a programmi al tempo stesso coraggiosi - numerosi progetti originali e non scontati, spazio anche per musicisti poco noti - e "abbordabili" da un pubblico di non specialisti - presenza ampia di lirismo, mix con la musica tradizionale - ma anche grazie a un modo abile di gestire gli spazi - il paese di S. Teresa è interamente coinvolto per quattro giorni - e per l'inserimento di momenti "sociali" come le incursioni dei Timbales tra bagnanti e turisti, le lezioni di batteria ai bambini per strada, i concerti sui traghetti e a Capo Testa (dove si è svolto un incontro tra la tradizione canora sarda e quella corsa). Come era tangibile e come è emerso nelle chiacchierate-aperitivo di Guido Michelone al porto, ciò permette il coinvolgimento di un pubblico più vasto dei soliti appassionati e favorisce una crescita di attenzione verso una musica, il jazz, che da un lato sembra godere di grande popolarità mediatica, ma dall'altro vede diminuire spettatori e possibilità di suonare per chi non sia già sulle pagine dei rotocalchi o in TV. Musica sulle Bocche non è certo l'unico festival capace di andare oltre la mera e asettica "forma-rassegna," ma il suo esempio dovrebbe comunque essere preso in seria considerazione da chi ritenga importante dare maggiore rilievo al jazz in Italia.
[Presso il sito del festival www.musicasullebocche.it è possibile vedere alcuni video sugli eventi della rassegna]
Foto di Ziga Koritnik
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