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Mostly Other People Do the Killing: intervista a Moppa Elliott

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La tradizione è fare parte di una discendenza storica. Può significare cose differenti per persone differenti
Hanno un nome tanto lungo quanto originale (anche se spesso viene poi ridotto a acronimo per praticità, MOPDTK).

Compiono nel 2013 i dieci anni di attività.

Sono una delle jazz band più irresistibili, ironiche, citazioniste e contagiose della scena odierna, una vera e propria rivelazione del jazz degli ultimi anni - nonostante i Festival di casa nostra non se ne siano accorti - grazie a un mix ipercinetico di hard-bop e funk, swing e punk, free e musical, dixieland e rock.

Sono i Mostly Other People Do the Killing, quartetto di cui abbiamo parlato già in queste pagine recensendo alcuni dei loro dischi [celebri tra l'altro per le loro copertine, che si ispirano ironicamente a quelle dei grandi classici del jazz, da Ornette Coleman per This Is Our Moosic a Keith Jarrett per Live in Coimbra, passando per Art Blakey, nel caso di Shamokinn!!!...] e che unisce il trombettista Peter Evans [tra i più quotati giovani musicisti di oggi, a fianco di colleghi come Evan Parker e Mary Halvorson], l'originalissima inquietudine sassofonistica di Jon Irabagon e l'anarchica batteria di Kevin Shea [Storm&Stress, Talibam!].

A guidarli è il contrabbassista Moppa Elliott che abbiamo raggiunto in occasione dell'uscita del nuovo disco del quartetto per farci raccontare qualcosa di più su questa avventura musicale.

All About Jazz: Partiamo dal nuovo disco dei Mostly Other People Do the Killing, Slippery Rock, che è un lavoro ispirato dallo smooth jazz, ma conoscendo sia te che la band... mi sa che c'è qualcosa sotto!

Moppa Elliott: Ma no! È davvero ispirato dallo smooth jazz: ho ascoltato una cosa come venti o trenta cosiddetti "classici" di questo stile per capirne esattamente la forma. La trovo molto interessante, per il tipo di sfumature e di ornamenti che la melodia contiene. Lo smooth jazz ha un suo vocabolario unico, riconoscibile al primo istante e devo dire che poche forme musicali ne hanno uno così. Ovviamente, dal momento che non sono minimamente interessato a come lo smooth jazz viene prodotto e arrangiato, la sua versione MOPDTK suona assai differente, ma per quanto sembri strano usiamo il vocabolario, le forme idiomatiche e le armonie che sono alla base di quel tipo di brani.

AAJ: Mi incuriosiscono sempre i titoli delle tue composizioni... che sono spesso legati a località della Pennsylvania...

M.E.: Penso che mettere dei titoli profondi o particolarmente significativi a delle composizioni strumentali sia un po' stupido e in fondo disonesto. Sembrerebbe presupporre che la musica abbia bisogno di un qualcosa di narrativo o verbale per avere un significato e quindi che sia priva di un significato in se stessa, cosa davvero assurda. Così, assurdo per assurdo, ho deciso che tutte le mie composizioni dovessero avere nomi assurdi senza alcun legame con la musica: la Pennsylvania è piena di piccole cittadine con nomi strani, io sono cresciuto da quelle parti e così ho deciso di usare questi nomi come titoli per i miei brani.

AAJ: Ma nel nuovo disco troviamo anche un brano intitolato "Dexter, Wayne and Mobley"!

M.E.: Eheheh, fate una piccola verifica su Google e troverete che Dexter, Wayne e Mobley, sono davvero delle città della Pennsylvania, ma come spunto per il pezzo ho usato una tipica frase di sax tenore che ho sentito usare da tutti e tre.

AAJ: Questo ci porta a chiederti in che modo scrivi per questa formazione.

M.E.: Cerco sempre di scrivere melodie e armonie semplici, di modo che i brani siano facili da smontare e rimontare. Posso affermare che nessuno di noi ha mai - e sottolineo mai - suonato un tema così come è scritto e per questo lascio parecchio spazio all'apporto melodico di ciascuno. Di solito mi piace prendere spunto da particolari cliché o frasi idiomatiche tratte da altri stili o usate da altri musicisti, dal momento che il jazz è una musica così strettamente collegata alla nostra storia.

AAJ: Una delle cose che si dicono della musica dei MOPDTK è che fa un frullato di tutta la tradizione jazz, ma cosa significa il termine tradizione per te?

M.E.: La tradizione è fare parte di una discendenza storica. Può significare cose differenti per persone differenti ed è anche ovviamente un termine molto delicato e politico, ma io sento che facciamo parte della stessa tradizione jazz che va da Louis Armstrong a Dizzy Gillespie a Charles Mingus a Ornette Coleman all'Art Ensemble a John Zorn. Alla fine stiamo solo cercando di fare musica che sia significativa e sincera, divertente e consapevole.

AAJ: Come nasce l'abbinamento di due strumentisti come Jon Irabagon e Peter Evans nella sezione fiati dei MOPDTK?

M.E.: Jon e Peter sono stati proprio i due musicisti che avevo in mente quando ho formato il quartetto e sono cresciuti assieme in questo senso come sezione fiati. Entrambi sono dotati di una tecnica spettacolare, di consapevolezza storica e di un vocabolario riconoscibile, nonché di una buona dose di rischio e sono i rischi quelli che rendono la musica divertente!

AAJ: Ogni copertina dei MOPDTK ha finora parodiato una famosa copertina jazz, ma questa di Slippery Rock, non riesco a riconoscerla... è una cosa anni Ottanta, vero?

M.E.: Questa volta non abbiamo fatto riferimento a una copertina specifica, ma ci siamo ispirati a un tipico cliché grafico degli anni Ottanta, così come la musica.

AAJ: Mi sembra che tutto il progetto MOPDTK si muova su coordinate venate di un certo sarcasmo.

M.E.: Non sono certo di poterlo chiamare sarcasmo. C'è certamente una forte dose di ironia nel jazz in genere, dal momento che l'improvvisazione ha a che vedere con il ricreare suoni storici in contesti storici, ma noi siamo molto sinceri nel voler suonare la musica che ci piace ascoltare. Siamo circondati da ironie e contraddizioni ogni giorno e ci piace richiamare l'attenzione su questo, ma il nostro obbiettivo è in realtà quello di trovare un modo per suonare jazz nel Ventunesimo secolo che sia artisticamente valido e non un semplice esercizio di conservazione museale. È oggettivamente molto difficile suonare del jazz "vivo" oggi, ma lo stiamo facendo con convinzione, e non solo noi.

AAJ: Ho sempre pensato che la musica dei MOPDTK possa essere ideale per aprire il jazz creativo (o comunque tu voglia chiamarlo) verso un pubblico differente, anche anagraficamente più giovane e quando hai suonato a Venezia ne ho avuto in parte la conferma. Ma volevo capire cosa ne pensi ti, dal momento che gestisci anche un'etichetta come la Hot Cup Records.

M.E.: Promuovere musica strumentale o jazz è molto difficile in America, e credo solo un po' meno difficile negli altri posti. Il sistema educativo americano è debolissimo e il supporto pubblico alle arti lo definirei patetico. Senza supporto pubblico, la musica creativa ha pochissime possibilità di uscire dai confini di comunità underground più o meno numerose. Speriamo di riuscire a invertire la tendenza, ma è difficilissimo.

AAJ: Facciamo un piccolo salto nel passato. Quali sono I tuoi contrabbassisti preferiti e cosa ascoltavi quando studiavi alle superiori e all'Università?

M.E.: Il mio bassista preferito è senza dubbio Sam Jones, adoro il suo feeling, il suono, il fraseggio e lo ascoltavo sempre alle superiori. Mio papà è un appassionato collezionista di jazz e sono cresciuto a dosi massicce e giornaliere di Blue Note e di free jazz anni Sessanta! Ho anche partecipato a un seminario con Steve Coleman quando ero alle superiori, poi quando sono andato all'Università ho incominciato a ascoltare di più musica classica, hip-hop, punk-rock, metal e musiche varie, frequentando intensamente persone che erano addentro a tutti i tipi di musica. In quel periodo ho al tempo stesso scoperto da un lato il lavoro di artisti come Evan Parker, Barre Phillips e altri improvvisatori, dall'altro ero molto attratto dal jazz che stava emergendo, quello di Dave Douglas, John Zorn, Christian McBride, Joshua Redman etc. Insieme a Peter Evans ho inoltre condotto una trasmissione radio sul jazz quando studiavamo e questo ci ha consentito di esplorare molte nuove musiche.

AAJ: E oggi? Prossimi progetti?

M.E.: Oggi mi diverto un sacco a suonare con i MOPDTK, come puoi immaginare. Ma insegno anche alle superiori e mi diverto a dirigere il coro. Per loro sto scrivendo degli arrangiamenti di brani pop che sarà uno spasso cantare! Ho anche un altro gruppo che spacca, si chiama "Alice" e trovo di grande ispirazione tutte le musiche creative che si incrociano a New York.

Ho anche scritto dei pezzi per una versione allargata dei MOPDTK che include Ron Stabinsky al piano, Brandon Seabrook al banjo e Dave Taylor al trombone basso, credo che il prossimo anno uscirà anche il disco.

Foto di Bryan Murray (la prima).

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