Trentotto anni, di Buffalo, James Brandon Lewis è uno dei più solidi tenorsassofonisti della sua generazione. A confermarcelo arriva questo suo nuovo lavoro in quartetto inciso a inizio 2020 (quindi fra gli ultimi ante-pandemia) in cui la solidità di cui sopra si manifesta sotto diversi profili: il suono, post-coltraniano aggiornato (non senza una patina di lirismo più o meno sotterraneo che rimanda a Gato Barbieri), le geometrie e gli equilibri quartettistici (complessivi), la cifra compositiva (tutti del sassofonista gli undici brani in scaletta), la gestione degli spazi.
Una solidità, quindi, che si respira da ogni poro, ma che sa essere per così dire discreta, non prevaricante, come spesso accade in contesti analoghi, quando si finisce per scivolare su un'energeticità, o, per contro, una suadenza, fin troppo smaccate, univoche, derivative.
Non è questo il caso: certo tutta l'eredità del grande ceppo jazzistico è perfettamente avvertibile, ma in particolare la succitata gestione degli spazi, delle dinamiche e della dialettica interna al quartetto, garantiscono alla musica una sua freschezza, una godibilità che non si fa mai stucchevole o supina. "A Lotus Speaks," "Molecular," "Cesaire," "Neosho," "Breaking Code" e "An Anguish Departed" ci appaiono in questo senso gli episodi più significativi.
Track Listing
A Lotus Speaks; Of First Importance; Helix; Per 1; Molecular; Cesaire; Neosho; Per 2; Breaking Code; An Anguish Departed; Loverly.
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Ecumenico ma (abbastanza) esclusivo, non sopporta la musica – e l’arte in generale – di routine, rassicurante e dozzinale, preferendo, se proprio deve, il brutto all’inutile. Un ideale spaccato dei suoi amori musicali (che non si limitano al jazz; e più o