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Mauro Ottolini: tubista in gessato
ByParliamo di Mauro Ottolini, musicista veronese specialista degli ottoni dai registri gravi, balzato alla ribalta negli ultimi anni grazie ad una serie di ottime produzioni discografiche e alla partecipazione a importanti progetti come Rava Special Edition, il quartetto Tubolibre di Petrella e la tour band di Vinicio Capossela. La nostra è una chiacchierata informale, che procede a vista, tra manifesti di festival, poster autografati, impianti e diavolerie elettroniche, improbabili sordine per trombone, strumenti storici recuperati in ogni parte dl mondo, e... il leggero, gradevole ronzio di un condizionatore.
All About Jazz: Partiamo dagli strumenti che utilizzi nei concerti e nei dischi. Trombone, bombardino, slide trumpet, e soprattutto sousaphone. Una combinazione piuttosto inusuale nel mondo jazzistico...
Mauro Ottolini: Direi che è la miglior testimonianza della mia origine bandistica. Ho iniziato nella banda proprio perché volevo imparare a suonare il trombone a tiro, strumento che mi aveva folgorato all'età di otto anni durante l'esibizione della banda locale. La cosa buffa è che quando riuscii a entrare nella banda mi fecero suonare di tutto tranne che il trombone! Poi mi arrivò come regalo per Santa Lucia, mi iscrissi ad una scuola di Peschiera e da lì nacque la mia storia con lo strumento, con il diploma al conservatorio prima e gli studi jazz al conservatorio di Trento sotto la guida del grande Franco D'Andrea poi.
AAJ: Però quello che incuriosisce è l'uso del basso tuba...
M.O.: Il basso tuba è uno strumento che non avevo mai preso in considerazione. Poi un giorno ascoltando un brano dei Blood Sweat & Tears, un assolo del grande Dave Bargeron mi sconvolse la vita. Ritenevo impossibile che si potessero fare quelle cose con uno strumento del genere, aveva un suono funky, groove, sembrava quasi un basso elettrico slappato! E da allora - siamo nel 1998 - incominciai a introdurre il basso tuba nei miei progetti incidendo il primo disco a mio nome (Mauro Ottolini Ottofunk Project - Azzurra), registrato dal vivo con una band di una ventina di musicisti e ispirato ai grandi della musica funk.
AAJ: Dopo di che...
M.O.: Dopo di che abbandonai lo strumento per qualche anno non pienamente convinto delle sue potenzialità fino a quando di nuovo l'ascolto di un concerto, quello di Ray Anderson con il tubista Marcus Rojas, mi portò a riprendere il discorso interrotto, a frequentare due anni di conservatorio con il maestro Gianni Gatti e a dedicarmi con grande impegno allo strumento di plastica che nel frattempo avevo acquistato, per ottenere un suono personale, originale, arricchendolo con l'uso di microfoni appositamente studiati, di pedaliere, di distorsori.
AAJ: Lasciamo per il momento il basso tuba per fare un salto all'Arena di Verona, a Domingo, a Carreras, a Pavarotti...
M.O.: Quando frequentavo il conservatorio, il maestro Lorenzo Rigo mi incoraggiò ad approfondire gli studi sullo strumento per poter diventare primo trombone in un orchestra. E così quello divenne il mio vero obbiettivo! Dopo un anno di studio intensissimo - otto o nove ore al giorno - (e di parcheggiatore a Gardaland per tirare su qualche soldo) nel 1993 feci l'audizione per entrare nell'orchestra dell'Arena di Verona e la vinsi. Purtroppo l'approccio non fu proprio entusiasmante e mi accorsi subito che quella non poteva essere la mia storia.
AAJ: E quindi...
M.O.: E quindi soffrivo quella situazione, anche perché non ero a mio agio in un ambiente professionale che ritenevo piuttosto sterile. Devo ammettere però che l'aver suonato nell'orchestra è stato utile perché mi ha portato a migliorare il controllo sul suono, sull'intonazione, sul fraseggio. Tutti i grandi solisti nella storia del jazz a partire da Jack Teagarden, passando per J.J. Johnson per arrivare a Ray Anderson e Steve Turre, possiedono un grande controllo dello strumento. Inoltre mi ha fatto capire l'importanza dello studio e dell'applicazione giornaliera, fondamentali per essere sempre pronto in qualsiasi momento e in qualsiasi situazione. Da ultimo il fatto che la stagione si concentrasse nel periodo estivo mi dava molto tempo libero per potermi dedicare alla passione che cominciava a montarmi dentro per la musica jazz. Così potei frequentare per qualche anno il maestro Mario Pezzotta, iniziai a prendere sempre più confidenza con questo nuovo linguaggio, feci esperienza nelle big band e cominciai a frequentare il sassofonista Francesco Bearzatti e alcuni jazzisti dell'area veronese.
AAJ: Così arrivò il momento che ti licenziasti dall'Orchestra !
M.O.: Contro il parere di tutti, in primis di mio padre, mi licenziai. Ero arrivato al punto che non mi sentivo più di rifiutare, a causa degli impegni con l'orchestra, le offerte che ricevevo anche da grandi jazzisti, così nel 2004 dopo ben 12 anni mi licenziai. L''anno successivo Enrico Rava mi chiamò per il suo nuovo gruppo Special Edition e da quel momento il jazz prese definitivamente il sopravvento nella mia vita.
AAJ: Anche se la notorietà e la svolta della tua carriera in termini di visibilità, nonostante tredici dischi a tuo nome e quasi centocinquanta partecipazioni, si può far risalire a non più di quattro fa.
M.O.: Direi anche meno! Forse è stato premiato il coraggio (grazie al fondamentale appoggio della mia compagna e di Bearzatti) di abbandonare un posto fisso e abbastanza remunerato come quello di strumentale in un orchestra classica per assecondare la mia inclinazione verso la musica jazz! Poi la svolta vera e propria avvenne a Umbria Jazz Winter quando, chiamato da Bearzatti per sostituire Falzone nel gruppo che sarebbe diventato l'attuale Tinissima, venni contattato da Mario Guidi che volle tutti i miei dischi e mi propose a Rava per il suo nuovo Special Edition. Contemporaneamente mi chiamarono Gianluca Petrella per il suo gruppo Tubolibre e Antonello Salis per il progetto Il Vino all'Opera. Era un onore per me suonare con musicisti che reputo tra i più grandi sia dal punto di vista artistico che umano. E da lì la mia carriera prese definitivamente il volo.
AAJ: Fino ad arrivare al prestigioso Saalfelden Jazz Festival del 2008, dove dopo diversi anni di assenza tornò ad esibirsi un gruppo italiano che forse conosci...
M.O.: Si, la Slide Family (risata). E' stata una grande soddisfazione per noi esibirci in un festival così importante e assai apprezzato da critici, addetti ai lavori, musicisti e pubblico. Fu Carla Bley, che scrisse le note di copertina del disco, a proporci con entusiasmo all'organizzazione. Mi ricordo che quando si aprì il sipario e ci trovammo davanti a milletrecento persone fu una vera emozione. Ma poi scatenammo i nostri tredici tromboni e le due batterie e il concerto fu un successo memorabile, con tanto di brano finale dedicato a Don Drummond, musicista giamaicano fondatore del gruppo ska The Skatalites, eseguito con delle parrucche rasta acquistate sulle bancarelle due ora prima del concerto!
AAJ: Passiamo alla tua ultima fatica discografica ossia Sousaphonix, progetto che parte da Umbria Jazz 2008 ma...
M.O.: Parte da Umbria Jazz 2008 ma cambia radicalmente perché decisi di indirizzare il gruppo dell'esibizione live, che era sostanzialmente acustico, verso una nuova direzione, con l'inserimento di strumenti come il liuto basso e la balalaika bassa suonati da Danilo Gallo, il theremin manipolato da Vincenzo Vasi e la visionaria chitarra elettrica di Enrico Terragnoli. Convocai il gruppo in studio con degli arrangiamenti precedentemente preparati e in quattro giorni, in un clima di massima libertà e spontaneità, registrammo diciotto prime take dalle quali uscirono gli undici brani del disco. Così come è stato registrato è stato prodotto senza correggere una nota!
AAJ: Ed è la forza di questa registrazione.
M.O.: E' la sua forza perché in quei quattro giorni di registrazione si era creata una tale magia, una tale sintonia tra i musicisti (che non avevano mai suonato insieme prima d'ora) che intervenire anche minimamente sul materiale registrato sarebbe stato un delitto. E' un misto di libertà e organizzazione che funziona alla grande, perché negli arrangiamenti preparati avevo lasciato ampio spazio alle possibili e prevedibili intuizioni dei musicisti convocati. Sousaphonix credo sia attualmente il progetto nel quale si rispecchia più prepotente la mia storia musicale fatta di musica classica e musica popolare, di free e di New Orleans, di rock (che amo tuttora), e di suoni bandistici, con un suono d'insieme ben definito e, credo, originale. E per questo devo ringraziare infinitamente Stefano Amerio per la registrazione e la C.A.M. nella figura di Ermanno Basso per la produzione, persone che hanno creduto immediatamente e fermamente nel progetto rispettando al cento per cento le mie idee musicali.
AAJ: Nel jazz italiano l'aspetto scenico, il modo di presentarsi sul palco dei musicisti è quasi sempre trascurato, a volte lasciato alla casualità, altre considerato assolutamente ininfluente se non oltraggioso nei confronti della serietà professionale. Nei tuoi concerti invece la gestualità e la presenza scenica sono elementi imprescindibile...
M.O.: Senza scomodare riferimenti illustri come l'abbigliamento dei boppers o quello dell'Art Ensemble of Chicago, dai forti significati sociali, politici e culturali, ritengo che sul palco ciascuno si debba sentire bene con se stesso, non ci devono essere forzature a riguardo. Perché mi farebbe profonda tristezza vedere dei gruppi con divise uguali o vestiti tutti di nero, a meno che non sia una big band e allora lì il gessato è assolutamente d'obbligo (risata). Essendo fan sfegatato di Fred Buscaglione non poteva mancare nel mio guardaroba di scena il classico completo gessato (ne conservo una decina nel mio armadio, uno diverso dall'altro).
AAJ: Nel corso degli anni hai avuto esperienze in programmi televisivi e con musicisti importanti della musica leggera come Lucio Dalla, Antonella Ruggiero, Vinicio Capossela, in barba ai puristi...
M.O.: E' vero, ho suonato in diversi dischi di musicisti pop e partecipato a trasmissioni popolari. E' stata un' opportunità di lavoro comunque interessante che mi ha permesso di conoscere, tra gli altri, musicisti come Grace Jones e il mitico James Brown! Ora è in corso una collaborazione molto stimolante dal punto di vista professionale con Vinicio Capossela, che è tutto meno che un autore commerciale, basti pensare che ha suonato con lui gente come Marc Ribot e Frank London. E' artista vero, creativo, dallo spirito jazzistico, non solo perché nella sua band sono presenti diversi grandi solisti jazz ma per il suo modo di intendere la composizione e l'improvvisazione. Con Vinicio ho imparato ha vedere la musica sotto un altro aspetto, quello della sottrazione. In un mondo musicale che tendenzialmente aggiunge, abbonda di input e di orpelli inutili Vinicio cerca l'essenzialità ed in questo modo raggiunge un sound inconfondibile, caratterizzante. E questo è fondamentale per qualsiasi musicista.
AAJ: Se dovessi definire la tua musica?
M.O.: Ti direi Sousafonica! Sai perché? Il Sousaphone è l'unica strumento al mondo costruito per marciare, per le bande, per la musica che si muove. John Philip Sousa pensò a questo strumento per la sua banda, costruendolo in modo che si avvolgesse attorno al corpo del suonatore per agevolare i suoi movimenti e con la campana rivolta in avanti così che agli strumentisti delle prime file potesse arrivare il suono dei bassi. L'idea di uno strumento creato appositamente per far marciare la musica, per portarla ovunque con la sua matrice popolare, bandistica, che interagisce con l'ambiente, in definitiva una musica in continuo movimento penso sia quella che esprime al meglio la mia filosofia musicale.
AAJ: Progetti attuali e futuri?
M.O.: Innanzitutto portare avanti Sousaphonix che è un progetto nel quale credo molto e che ritengo abbia grandi potenzialità. Poi il nuovo disco della Slide Family registrato dal vivo, proprio prima dell'esibizione di Saalfalden, e dedicato alla musica da funerale, da Beethoven ai giorni nostri. Mi piacerebbe ripristinare il tuba trio che avevo in passato (con Bearzatti e U.T. Gandhi). Poi ho in mente un disco rivolto al pubblico della musica classica; sono molto intrigato dallo sperimentare il connubio di un quintetto classico di ottoni (Gomalan Brass Quintet) con il mio suono e la mia storia musicale. E infine sto maturando l'idea un gruppo che chiamerò i Separatisti Bassi, composto da strumenti bassi per l'appunto, alcuni quasi introvabili altri costruiti appositamente come il sax contrabbasso, il trombone contrabbasso, l'armonica a bocca bassa, la tromba bassa, il fagotto contrabbasso. Mi immagino un effetto sconvolgente; mi auguro solo che si possa tecnicamente registrare una cosa del genere visto l'assoluto predominio delle frequenze gravi!
Foto di Claudio Casanova
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