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Lana Meets Jazz - XIII Edizione

Courtesy Danilo Codazzi
Lana (BZ)
10-15 giugno 2025
Immaginate la palestra di una scuola elementare piena di alunni. Immaginate che questi alunni ascoltino con interesse, per oltre un'ora, una jazz band formata da musicisti professionisti, insegnanti e allievi della locale scuola di musica. Utopia? Sogno? Follia? Niente di tutto questo. Solo uno dei tanti piccoli miracoli che avvengono al Lana Meets Jazz, festival organizzato con cura, passione e amore da Helga Plankensteiner e Miki Loesch, ormai giunto alla sua tredicesima edizione. Una storia dunque abbastanza ricca, che ha suggerito una retrospettiva fotografica cui ha partecipato anche il nostro Danilo Codazzi, con immagini delle passate edizioni in mostra lungo la principale via della cittadina. Anche qui, in occasione dell'inaugurazione del festival, una marching band composta da allievi della locale scuola di musica e dai Revensch, ha accompagnato la visita di questa mostra a cielo aperto e allietato l'aperitivo di chi sedeva ai tavoli attigui.
Lana Meets Jazz è però da sempre anche sinonimo di big band. Quest'anno c'erano quelle della scuola di musica di Lana, che si è esibita nell'orto botanico Galanthus, e la Blanco y Tinto diretta da Peter Cazzanelli, ospite la cantante Damiana Dellantonio, che con la No Name Swing Dance Company ha trasformato la piazza del municipio in una grande pista da ballo swing.
Passando ai concerti maggiori, il quintetto del sassofonista Stefano di Battista (con Andrea Rea al pianoforte, Daniele Sorrentino al contrabbasso, Luigi Del Pretz alla batteria, Matteo Cutello alla tromba) ha presentato brani tratti dal progetto La Dolce Vita, incentrato sulle melodie che hanno segnato ed accompagnato uno dei periodi migliori (forse il migliore) della storia del nostro Paese. Spazio quindi alle composizioni di Renato Carosone ("Tu Vuo' fa l'Americano"), Paolo Conte (una bellissima versione cubana di "Vieni Via Con Me"), Piero Umiliani (l'intensa "Sentirsi Solo"), interpretate con grande energia da una band che aderisce con entusiasmo alla visione musicale gioiosa del leader.
Stef Giordi & Connected (Stefano Giordani alla chitarra, Roberto Zecchinelli al basso elettrico, Matteo Giordani alla batteria) ci hanno invece condotto lungo atmosfere che potremmo definire fusion, tra echi jazz-rock e poliritmie, in un concerto che ha avuto i momenti più riusciti quando le timbriche si sono caricate di elettricità.
Intrigante il concerto del David Helbock's Random Control feat. Fola Dada (con David Helbock a pianoforte ed altro, Andreas Broger alle ance ed altro, Johannes Bär a ottoni, percussioni ed altro, Fola Dada alla voce). Una miriade di strumenti sul palco, una proposta pirotecnica in cui i musicisti, alternandosi ai vari strumenti, sfruttano tutte le loro possibili opportunità espressive in modo ironico e creativo, passando con disinvoltura e classe da un poema di William Blake a "Like a Prayer" di Madonna, da "No Mercy for Me" di Joe Zawinul a "1999" di Prince.
Ancora musica e danza, questa volta più in direzione esoterica, sciamanica ed ipnotica, per i L.A.N. Sound Connection (Luis Zöschg alla chitarra, Alex Pergher a percussioni e voce, Norbert Dalsass al contrabbasso, ospiti Martin Ohrwalder alla tromba e Nelide Bandello a batteria e percussioni), che in compagnia di docenti di Rio Abierto (una disciplina basata sul movimento guidato), hanno dato vita ad una lunga suite fatta di pedali e crescendo segnati dall'interazione (a volte diretta uno a uno, a volte per piccoli nuclei, a volte corale) tra musicisti e danzatrici.
Sulla splendida terrazza del Vigilius Mountain Resort, il Mistery Tour della cantante Sara Longo e del violoncellista Alvise Seggi, ospite Filippo Vignato al trombone, ci hanno fatto compiere un lungo viaggio nella musica dei Beatles (da "Norwegian Wood" a "Can't Buy Me Love" , da "Tomorrow Never Knows" a "Come Together"), rivisitata con delicatezza ed eleganza ma anche con un buon carico di swing e preziose divagazioni elettroniche. Chiusura di concerto con "Napule È" di Pino Daniele, piccola anteprima del prossimo progetto del duo, che sarà appunto incentrato sulle canzoni napoletane.
Abbiamo lasciato per ultimo il concerto più rilevante del festival, quello del trio del contrabbassista Avishai Cohen, con Itay Simhovich al pianoforte e Eviatar Slivnik alla batteria, l'unico a pagamento di tutta la rassegna. Teatro Raiffeisen pieno, per un musicista che non ha bisogno di presentazioni e che ha qui confermato tutte quelle qualità che lo hanno reso una stella di prima grandezza del jazz internazionale: il virtuosismo strumentale, il perfetto controllo delle dinamiche del gruppo sempre calibratissime, una dose misurata ma evidente di ammiccamento piacione, un abbondante uso di scansioni ternarie accentate atipicamente, l'oscillare tra composizioni originali, frammenti di storia del jazz (tra cui una "Summertime" quasi ska eseguita in 5/4) e perle della tradizione ladina (la lingua degli ebrei sefarditi, qui era la dolcissima "Abre Tu Puerta Cerrada"). A fine concerto, però, più che di Cohen ci siamo tutti ritrovati a parlare, con stupore ed ammirazione, dei suoi due giovani compagni di viaggio, davvero notevoli, ed in particolare del pianista Itay Simhovich. Ventuno anni, tecnica strabiliante, fraseggio limpido e cristallino, controllo delle dinamiche impeccabile, creativo e già in possesso di una cultura jazzistica enciclopedica (ma da quanto abbiamo ascoltato in questa serata diremmo anche classica). Da seguire con molta attenzione.
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