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La musica sperimentale

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La musica sperimentale

di Michael Nyman

Shake Edizioni

Difficile parlare di un libro di Michael Nyman senza parlare di Michael Nyman, sebbene il testo in questione sia stato scritto prima che il musicista inglese acquisisse fama planetaria come compositore di colonne sonore. Difficile anche parlare di un libro che giunge ai lettori italiani più di trentacinque anni dopo la sua pubblicazione in lingua inglese, per la pur encomiabile iniziativa delle edizioni Shake.

Procediamo con ordine: non è facile oggi, specie per i più giovani abituati a un mondo in cui si possono reperire informazioni, documenti e opinioni con la rapidità di un click, immaginare quanto il libro sia stato all'epoca uno strumento prezioso per approfondire [e in certi casi addirittura venire a conoscenza di] tutto quell'ambito di composizione sperimentale, principalmente inglese e americano, che si è mosso su altre coordinate rispetto all'avanguardia post-shoenberghiana.

Eppure, provate a chiederlo a chi ha oggi cinquant'anni o poco più, è stato anche attraverso questo lavoro che compositori come Robert Ashley, Gavin Bryars, Philip Glass e molti altri hanno iniziato a farsi largo in un mondo, quale quello della musica contemporanea, governato da dinamiche molto singolari.

Ed è interessante ancora oggi - sebbene, come dicevamo, molte cose non siano più particolarmente nuove e se ne possa anche trovare documentazione audio e video - ripercorrere con Nyman le avventure creative di Cage e compagni, dei minimalisti [Nyman è anche uno dei concorrenti alla paternità di questo termine], affrontando graphic scores, dispositivi, processi, installazioni e un senso dell'esplorazione sempre vivissimo.

Rispetto alle impostazioni dei saggi dell'editoria più recente, "La musica sperimentale" non ha quell'attitudine a proiettare l'esperienza artistica analizzata all'interno di contesti socio-culturali più ampi, ma ci sono spesso spunti interessanti e il libro resta, per valore storico e per dinamismo interno, comunque un testo a cui ritornare più volte.

Se poi alla fine a qualcuno venisse l'impertinente domanda: "ma come mai Nyman, che pure ha vissuto in prima persona queste traiettorie creative, si è poi messo a scrivere cose che di questa avventurosa complessità non hanno quasi nulla?"... beh, ci sono un po' di risposte possibili.

Una la fornisce la stessa popolarità del musicista [e delle sua altre attività creative, spesso sopravvalutate come molta della sua produzione musicale, ma sempre sui giornali e nei festival] e apre riflessioni che vanno ben oltre i limiti di una semplice recensione. Ma magari domandatevelo, senza che questo vi rovini il piacere della lettura.

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