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Kurt Rosenwinkel: riflessioni da Berlino

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Non riesco a suonare con chi segue un approccio dogmatico alla musica. Ma amo la tradizione Jazz.
Intervista di Franz A. Matzner

Ormai riconosciuto come uno dei più importanti artisti Jazz del panorama contemporaneo, Kurt Rosenwinkel si è costruito una fama di innovatore e sperimentatore indefesso grazie alla sua maestria chitarristica. Ha sviluppato un suono unico in anni di ricerche e affinamenti, e oggi si è guadagnato una posizione di tutto rispetto sia come performer che come band leader.

Dopo il successo del doppio album dal vivo The Remedy (ArtistShare, 2008), Rosenwinkel ha recentemente pubblicato Reflections (Wommusic, 2009), un'elegante raccolta di standards. Rosenwinkel racconta questa sua ultima fatica da Berlino, città che oramai è diventata casa sua.

Crescendo a Philadelphia

All About Jazz: Cominciamo dal principio. Sei cresciuto a Philadelphia. Ci racconti il tuo primo incontro con la musica?

Kurt Rosenwinkel: Ho iniziato scimmiottando Peter Frampton usando la racchetta da tennis. Poi sono passato al pianoforte e ho cominciato a comporre canzoni.

AAJ: A proposito di Jazz, ti ha appassionato fin da subito? Come e' nata la passione?

K.R.: Mi sono avvicinato al Jazz quando frequentavo le superiori, frequentando altri studenti appassionati, tra i quali il mio amico David Brodie, che ancora oggi è contrabassista Jazz, a Philadelphia. Ascoltavamo molta musica, e suo padre era amico di molti musicisti Jazz e ospitava delle jam session a casa sua.

Prima che cominciassi a frequentarli, pare che anche Philly Joe Jones fosse di casa. Ad un certo punto cominciai a frequentare le jam session del Lunedì al Blue Note, un club vicino a casa mia, dove Tony Williams (sax alto), Eddie Greene, Sid Simmons, Tyrone Browne, Al Jackson, Mike Boone e altri suonavano spesso. Era un club notevole, sempre pieno di gente, dove ci si divertiva un sacco. Quell'atmosfera ti circondava e ti dava la carica, era una sensazione stupenda.

AAJ: Come mai hai scelto di suonare la chitarra?

K.R.: A nove anni ho cominciato con il pianoforte, a 12 con la chitarra. Li ho sempre suonati entrambi da allora, ma ho sempre preferito la chitarra. Prima di lasciare le superiori per seguire i miei amici al Berklee College of Music, ho deciso di frequentare per un anno un corso di pianoforte Jazz per decidere su cosa mi sarei focalizzato al Berklee College. Ho studiato per un anno con il grande Jimmy Amadie, che mi ha fornito solide basi di armonia Jazz, cosa per quale non lo ringrazierò mai abbastanza. Ma alla fine mi sentivo più a mio agio con la chitarra, per cui ho deciso che sarebbe stata la mia strada.

AAJ: C'è stato un episodio particolare che ti ha fatto decidere di intraprendere una carriera nel Jazz, o semplicemente è capitato?

K.R.: Ho capito che la musica sarebbe stata la mia vita a nove anni! Da allora, non mi sono più posto il problema. Perciò non ho mai deciso di intraprendere una carriera nel Jazz in particolare: per me la musica è la musica. Che sia un genere o un altro, mi piacciono tutti—o quasi. Sono diventato un musicista Jazz perchè la maggior parte della musica che mi piace è definita così, e ciò mi ha spronato a imparare e crescere in quella direzione.

AAJ: In precedenti interviste hai detto che la scena Jazz di Philadelphia ti ha dato molto. Puoi darci un'idea di come fosse la situazione ai tuoi esordi?

K.R.: Ho già detto del Blue Note, e c'erano altri club che ero solito frequentare: Slim Coopers, Bob and Barbaras, Ortliebs, T & T Monroes. C'era molto fermento in quei club, e di conseguenza c'era molto fermento tra i miei amici e compagni di scuola. C'erano un sacco di band che suonavano alle feste e nei college, e io ero, socialmente parlando, proprio al centro di quella scena. Avevo anche la mia band ed ero parte di molti progetti musicali dei miei amici, e facevo serate nei club e alle feste. In più c'erano un sacco di jam sessions e feste alle quali la gente suonava.

Philadelphia era proprio un bel posto dove crescere. Avevo una rete di conoscenze fatta letteralmente da migliaia di persone che si occupavano di mille cose diverse. Ero in un gruppo Ska, suonavo la batteria in una band Hardcore Punk, suonavo in una gruppo gospel/rock, e registravo musica di continuo a casa mia su registratori a quattro piste.

E non posso credere di non averlo ancora detto finora, ma il mio miglior amico, Gordon Townsend, era anche un partner musicale inseparabile. Gordon suonava, e ancora suona, la batteria. Mentre mi indirizzavo al Jazz, lui è rimasto nel rock. Oggi suona con gli ELO [Electric Light Orchestra], e fa concerti in giro per il mondo. Eravamo soliti andare al negozio di musica di Bob Zatzman per comprare microfoni, amplificatori, rototom, sintetizzatori string ensemble della Elka ed ogni cosa che ci potessimo permettere o che Bob ci desse. Era così generoso. E registravamo tutto il tempo, come dicevo. C'erano altri amici che si costruivano studi di registrazioni improvvisati nei loro garage per far musica. Un sacco di musica!

AAJ: Ho vissuto anche io a Philadelphia. E la città mi manca ancora oggi. Ha una atmosfera molto particolare. A te cosa manca di più?

K.R.: In realtà non ne sento la mancanza. Ho avuto un'infanzia ed una adolescenza felici laggiù. E la mia famiglia vive ancora là. Mi mancano loro, e alcuni dei miei amici, ma non la città in sé. Ma amo Philadelphia, e sono orgoglioso di esserci cresciuto.

Berlino

AAJ: Nel 2003 ti sei trasferito a Zurigo, ed in seguito a Berlino. Da quanto tempo vivi a Berlino, e cosa ti ci ha portato?

K.R.: Vivo a Berlino da due anni e mezzo a Prenzlauerberg, che era nella Berlino Est ai tempi del Muro. Ci sono venuto perché ho ottenuto una cattedra, e da quando sono qui ho imparato ad apprezzarla sempre più.

AAJ: Come vedi la scena musicale, quella Jazz in particolare, a Berlino?

K.R.: Ci sono molti musicisti di talento, a Berlino. C'è qualche locale dove poter suonare. Però credo che non si possa parlare seriamente di una scena nel senso di band che facciano musica in modo regolare. C'è qualcosa, ma il potenziale non è sfruttato al meglio. Comunque sono sempre di più i musicisti in gamba che arrivano a Berlino.

AAJ: Cosa ti dà la tua attività di insegnante? Qual'è stato l'aspetto più inatteso dell'esperienza di insegnare in Germania?

K.R.: Mi offre l'occasione di incontrare persone, sia studenti che insegnanti, di sentirmi in qualche modo integrato sia con la città che con le persone che ci vivono. Mi dà la stabilità economica necessaria per i miei bisogni ed è sufficientemente flessibile, conciliandosi sia con le mie tournée sia con gli impegni in sala di registrazione.

L'aspetto più sorprendente della mia esperienza di insegnamento in Germania è stato l'essere testimone dell'integrazione dei sistemi scolastici dell'Est e dell'Ovest in uno solo—il Jazz Institute Berlin, o JIB. Quando ho cominciato, i due sistemi universitari avevano appena dato mandato alle due scuole di fondersi in una sola: a quel tempo, la divisione era anche fisica, dato che le sedi erano in edifici separati—uno a Berlino Est e l'altro a Berlino Ovest—e gli studenti dovevano continuamente fare la spola da uno all'altro. Ora è quasi un anno che siamo nella nuova sede unificata, nella zona Ovest. Ma ad un certo punto il progetto ha rischiato di fallire: un consulente esterno era stato assunto dalla scuola per aiutarci ad organizzare un'entità amministrativa efficiente. Era un progetto di democrazia—una costituente nella quale si dibatteva per organizzare al meglio la gerarchia, le descrizioni dei ruoli e la divisione delle responsabilità per ogni posizione; in pratica gli elementi funzionali della scuola! Era molto interessante, e alla fine penso che fossimo tutti molto soddisfatti del risultato.

Ma molto di quanto avevamo proposto non fu poi accettato dai responsabili delle due università, allora ancora distinte, la Hanns Eisler all'Est e la UDK all'Ovest. Ci volevano unificati, ma entrambe volevano ancora mantenere distintamente il loro controllo e la loro influenza sulla scuola, il che minava le possibilità di una vera unità. Comunque alla fine non credo abbia fatto una gran differenza, e penso che le persone siano tutto sommato contente del risultato. Però è stato molto interessante essere parte di un esperimento in pratica politico. Ed è stato anche abbastanza insolito rendersi conto del fatto che ciò fosse una diretta eredità della storia della Germania, della Seconda Guerra Mondiale e della Guerra Fredda.

AAJ: In una precedente intervista hai affermato che ti sei trasferito in Europa per lo stile di vita più sano— miglior assistenza sanitaria, eccetera. Parliamo di più di sei anni fa, e anche se lo stile di vita Americano non ha avuto un'evoluzione epocale da allora, qualcosa è comunque cambiato. Senza dubbio, l'America è diversa ora. Pensi di tornare negli Stati Uniti un giorno?

K.R.: Per ora sto benissimo qui. Non penso che in America la situazione sia migliorata un granchè per quanto riguarda i costi necessari per mantenere una famiglia. Anzi, casomai è peggiorata. Qui mandare un figlio a scuola non costa quasi nulla, dall'asilo all'università. L'assistenza sanitaria è alla portata di tutti. Non sono bombardato di pubblicità ovunque mi giri, e la gente e' OK. Però non è la mia cultura, e sento distintamente di appartenere più agli Stati Uniti che all'Europa. Ma allo stesso tempo non voglio appartenere, non voglio essere parte di quel confronto culturale più ampio che c'è in America. Non condivido né l'esperienza né le premesse della maggior parte delle gente qui o là, non è facile da spiegare.

Alla fine il fatto è che i miei figli sono a Berlino, e perciò rimango a Berlino.

Reflections

AAJ: È uscito il tuo nuovo disco, Reflections. È un album molto tranquillo, contemplativo e raffinato. Come mai hai scelto un trio come seguito a The Remedy? E cosa ti ha spinto a seguire questa particolare ispirazione creativa?

K.R.: Ho pensato che presentare un trio che si cimenta con dei classici sarebbe stato un cambiamento salutare. La tranquillità e lo spirito contemplativo che pervadono il disco non sono studiati: derivano da come ci sentivamo mentre lo registravamo.

AAJ: In Reflections hai voluto lavorare con Eric Revis e Eric Harland. Pensi che abbiano suonato cogliendo lo spirito di questo tuo progetto?

K.R.: Ho voluto suonare con Eric Revis e Eric Harland perché sono entrambi aperti e spontanei, sono musicisti che ascoltano. Inoltre, come puntualizza Ethan Iverson nelle note che accompagnano il disco, sono "decisi a compiere la missione senza distrazioni," vale a dire che non provano a re-inventare l'acqua calda, ma semplicemente si limitano a suonare secondo quello stile Jazz tradizionale che conosciamo e che amiamo.

Intendiamoci, non ci sono dogmi, e questo è un punto fermo. Non riesco a suonare con chi segue un approccio dogmatico alla musica. Ma amo la tradizione Jazz. E so che loro la pensano come me, ed è stato meraviglioso suonare con loro in molte occasioni.

AAJ: Hai incluso solo un brano composto da te, e non è un brano nuovo [East Coast Love Affair]. Come mai uno solo, e perchè proprio questo?

K.R.: Mi sembrava che questo mio brano si adattasse con il repertorio scelto per il disco e forse mi piace pensare che la sua presenza rafforzi la mia idea di classico, di quel che la musica e la tradizione significano... un continuum!

AAJ: Qual'è l'aspetto di questo progetto che ti ha soddisfatto di più?

K.R.: Direi che sono felice di aver fatto un disco di ballads senza volerlo.

K.R.: Stai già pensando ad un nuovo progetto?

AAJ: Ho molte cose in testa, e molte in cantiere. La prossima fatica sarà un album di brani originali per una big band.

Discografia Selezionata

Kurt Rosenwinkel Standards Trio, Reflections (Wommusic, 2009)

Kurt Rosenwinkel, The Remedy: Live at the Village Vanguard (Artist Share, 2008)

Brian Blade and the Fellowship Band, Season of Changes (Verve, 2008)

Kurt Rosenwinkel, A Deep Song (Verve, 2005)

Kurt Rosenwinkel, Heartcore (Verve, 2003)

Matt Penman, The Unquiet (Blue Moon, 2002)

Kurt Rosenwinkel, The Next Step (Verve, 2001)

Brian Blade Fellowship, Perceptual (Blue Note, 2000)

Kurt Rosenwinkel, The Enemies of Energy (Verve, 1999)

Kurt Rosenwinkel, Intuit (Criss Cross, 1998)

Kurt Rosenwinkel, East Coast Love Affair (Fresh Sound, New Talent, 1996)

Foto di Claudio Casanova

Traduzione di Stefano Commodaro

Articolo riprodotto per gentile concessione di All About Jazz USA

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