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Kevin Eubanks: punto e a capo

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Intervista di Matthew Warnock

Per milioni di Americani e non, Kevin Eubanks sarà sempre indissolubilmente associato alla band del Tonight Show di Jay Leno, forte di un sodalizio che e' durato ben 18 anni. Ma per chi ha seguito la sua carriera al di fuori del programma televisivo, Eubanks è soprattutto un grande chitarrista e un prolifico compositore. Certo, la sua risata contagiosa e le schermaglie con Jay Leno erano divertenti, ma gli appassionati non vedevano l'ora degli stacchi pubblicitari, introdotti con maestria da Eubanks sulla sua custom Rivera a sei corde.

Molti lo rimpiangono, da quando ha lasciato lo show nel 2010, ma i fan della sua musica sono contenti del fatto che abbia molto più tempo per comporre, registrare e andare in tournée. E non ha perso tempo: infatti ha già registrato il primo album del "dopo-Leno," Zen Food (Mack Avenue Records, 2010), e ha suonato in buona e consolidata compagnia: troviamo infatti il batterista Marvin "Smitty" Smith, il sassofonista Bill Pierce, il tastierista Gerry Etkins e il contrabbassista Rene Camacho. Il disco ci offre brani ricchi di melodia e dal groove deciso nei quali ritrovare gli elementi che hanno reso Eubanks uno dei migliori e più versatili chitarristi in circolazione.

All About Jazz: La tua band è una realtà consolidata. Quando ti metti a comporre, ti preoccupi di scrivere brani su misura per gli strumenti? Hai mai pensato di dover aggiungere altri strumenti per rendere al meglio una qualche tua composizione?

Kevin Eubanks: La band è insieme da anni ed è quella che è, perciò posso dire di aver composto in base agli strumenti a disposizione. In altre parole, non ho messo assieme una band appositamente per il disco, è la band consolidata con la quale volevo registrare, e ho composto i brani con in mente proprio quegli strumenti e quegli esecutori.

Dopo le sessioni in studio, ci siamo esibiti compatibilmente con le esigenze dello show, vale a dire principalmente nei fine settimana. Come dicevo, volevo registrare con questa band, così ho composto le musiche, ci siamo messi d'accordo e ci siamo detti "OK, registriamo." Solo successivamente sono entrato in contatto con la casa discografica Mack Avenue, ho detto loro delle registrazioni e da lì è nato il disco. Quindi prima la band; poi è arrivata la musica, cucita su misura per la band, e infine abbiamo trovato una casa discografica che pubblicasse il disco.

AAJ: Non capita tutti i giorni di vedere cose del genere nella scena Jazz contemporanea. Quanto è importante per te il poter contare sulla continuità di una band per la quale comporre e con la quale fare tournée quando gli altri impegni lo consentono?

K.E.: È molto importante. La musica evolve, sviluppiamo di più i brani, e più suoniamo insieme più cresce quell'intesa speciale e istintiva tra di noi. So esattamente cosa aspettarmi da ciascuno prima ancora di comporre un nuovo brano. Viene da sé, non c'è bisogno di pensare troppo. Non so se vengano prima i musicisti o la composizione. Quando suoni con qualcuno da così tanto tempo ne assimili la personalità e il modo di suonare ne risulta influenzato. Sai come suona il sassofonista o il batterista, perciò scrivi inconsciamente una melodia, un groove che ne fanno risaltare la personalità. Dopo un po' la band sublima in un tutto unico.

Intendiamoci, non c'è niente di male a mettere insieme una band di mostri sacri per la felicità dei promoter, sono quelli che definisco dischi "di interesse specifico," compendi come "La Musica di Wes Montgomery" o "La Musica di Duke Ellington". Ma io adoro avere una mia band con cui andare in giro. Ormai è diventata come una famiglia. C'è più intesa, più emozione. Sai di poterci contare, perciò sai che anche osando qualcosa di più alla fine andrà bene.

Nei concerti qualche volta cominciamo soltanto con il sax e la batteria, e gli altri a seguire, tanto sappiamo che arriveremo comunque da qualche parte, e questa confidenza nasce dall'aver suonato insieme così tante volte. Non puoi averla con una band messa insieme soltanto per l'occasione, anche se composta da musicisti validissimi: magari si esibirà al meglio e sarà un piacere ascoltarla, ma non è detto che abbia quel livello di complicità e confidenza che solo il tempo passato a suonare insieme può garantire.

AAJ: Una cosa colpisce ascoltando il disco, ad esempio nel brano "Spider Monkey Café," è il tuo modo di usare la melodia e lo sviluppo melodico nel tuo assolo. I chitarristi Jazz di oggi preferiscono affidarsi alla tecnica e agli aspetti armonici: il fatto di ricorrere a quello stile melodico è per te un modo di differenziarti dagli altri chitarristi, più focalizzati su armonia e tecnica?

K.E.: È un modo di suonare che si è sviluppato nel tempo, che riflette la mia maturità, il mio star bene con me stesso e con il mondo in generale. Sono più riflessivo di un tempo, dedico più attenzione a quel che capita intorno a me. E penso che questi cambiamenti si riflettano nella mia musica. Mi prendo del tempo per ascoltare gli altri musicisti intorno a me, me la prendo un po' più comoda lasciando che la melodia si sviluppi naturalmente.

La melodia è qualcosa di trascendente; dagli spazio e acquisterà consistenza. Puoi meditare su un'idea e da lì evolverà in qualcosa. Parlando di musica strumentale, noto che la melodia non riceve sempre la dovuta considerazione.

AAJ: Parliamo del brano "The Dancing Sea" e del suo groove deciso. Hai curato prima il ritmo costruendovi sopra la melodia e la progressione? In generale che metodo usi per comporre pezzi così fortemente basati sul groove?

K.E.: Nel caso di quel brano, il groove è arrivato in un secondo tempo. Tutto è nato dalla melodia, un refrain ripetuto come spesso facciamo nelle nostre esibizioni dal vivo. Il disco è un'istantanea di qualcosa che fai in un preciso momento, mentre dal vivo partiamo da un tema e lo sviluppiamo appieno, andando dove ci porta la musica: il groove arriva dopo. È un brano che parte in quarta e trasuda groove nel suo svolgersi.

AAJ: Nei tuoi assoli giochi con le ottave, un modo di suonare che fa pensare a Wes Montgomery, che era solito usare quella tecnica nei suoi dischi. È una citazione consapevole, un voler andare oltre la tecnica di Wes, o è soltanto un modo di arricchire la tuo tavolozza melodica?

K.E.: In effetti non mi pongo il problema. Sono uno strumento espressivo molto efficace e le uso. La chitarra è uno dei pochi strumenti che ti permettono di suonare le ottave, e se ne ricava la massima versatilità in occasione degli assoli. Le ottave ti consentono di semplificare, ma anche di irrobustire le tue frasi, di dar spessore alle linee melodiche; aumentano l'intensità. Ma onestamente quando le uso in un assolo non penso certo a Wes.

Wes ha fatto grandi cose, ma spesso ci si focalizza solo sulla storia delle ottave e si dimenticano cose persino più importanti. Una volta mi hanno chiesto di scrivere un capitolo, per un libro su Wes, intitolato "Wes e le ottave": beh, mi sono rifiutato di farlo. È così riduttivo ricordare Wes solo per il modo in cui usava le ottave: ha fatto grandi cose con gli accordi e con la melodia, ma sembra che l'unico contributo di Wes alla storia della chitarra sia stato l'uso delle ottave.

Credo che Wes sia il più grande, quindi non sto dicendo "Oh, queste sono le mie ottave, non provate nemmeno a paragonarle con quelle di Wes." Mi piacerebbe se mi paragonassero a Wes [ride]. Di certo rafforzano l'intensità. E se stai suonando insieme a "Smitty" Smith devi fare il possibile per aumentare l'intensità, per evitare che ti sovrasti e per tenergli testa.

AAJ: Sentendoti suonare, si nota il netto legato della tua mano sinistra, specialmente quando suoni in doppio tempo. È un modo di suonare sul quale hai lavorato, o è venuto da solo col tempo?

K.E.: È un modo di suonare che ho sempre sentito, essendo cresciuto ascoltando suonatori di trombone. Suonando con musicisti come Slide Hampton e mio fratello Robin, che mi ucciderebbe se dicessi il suo nome prima di quello di Hampton [ride]. Sentendo il loro modo di suonare il trombone, così lirico e caldo, mi sono adattato a loro.

Le chitarre che mi faccio fare devono avere manici più grandi. E uso corde molto spesse. Mi sono fatto costruire un compressore del suono apposta per me, il DMS-1. Mi piace avere il suono più caldo possibile, è alla base del mio modo di suonare. Dà quel senso di legato, quel tono morbido. Chi suona la chitarra dovrebbe sempre dedicare molto tempo al sound del suo strumento, che è influenzato da moltissime variabili.

Ma quel che conta è la chitarra. Ci vuole un compressore e un buon amplificatore, e devi avere la fortuna di non avere un ingegnere del suono che aumenta gli alti su ciò che hai così faticosamente costruito. "Oh, la chitarra era un pò spenta, le ho dato un pò di tono." Beh, grazie tante per aver buttato alle ortiche i miei ultimi 20 anni di lavoro semplicemente girando una manopola sulla tua console.

Basta non dimenticarsi che è una questione di mano, oltre ovviamente ad avere uno strumento valido che amplifichi ciò che sento in me. Se hai un tono caldo e convincente, la nota rimane, non ti muore lì. Sarà decisa e duratura, come se fosse suonata da uno strumento a fiato.

AAJ: Si ha l'impressione che molti chitarristi Jazz passino la maggior parte del tempo su variazioni e trovate armoniche, e poco tempo a sviluppare un proprio suono. Però i grandi interpreti hanno un profondo senso del suono, si capisce che ci hanno lavorato, così come hanno lavorato sulle variazioni. Cosa me pensi?

K.E.: Sono d'accordo. Penso che sia una bella sfida per un chitarrista, dato il numero di variabili in gioco. La chitarra, le corde, l'amplificatore, questo e quell'altro. Quando insegno, non mi stanco mai di ricordare l'importanza delle cose basilari. Che chitarra scegliere, che corde, che tipo di amplificatore, e via decidendo. Dico ai miei studenti di esercitarsi con una chitarra acustica. Di ottenere un suono caldo su quella, e solo dopo di usare quella elettrica.

Capire quali corde usare: roundwounds o flatwounds? E l'aver deciso di usare un tipo di corde o un certo amplificatore dipende dal tono che si sta cercando di ottenere. E soprattutto, mai dimenticare che sono soltanto strumenti, in ultima analisi il tono viene da chi suona, dalle mani, tanto quanto, se non più, di quanto venga dalla chitarra e amplificatore che usi.

AAJ: A proposito di strumentazione: come fai ad ottenere quella distorsione così particolare nel tuo disco? Merito del pedale, o usi l'amplificatore in overdrive?

K.E.: Non mi piace sfruttare l'overdrive. Di solito uso un amplificatore Stewart e mi deve dare solo la potenza, non gioco con i toni sull'amplificatore: deve darmi solo potenza, pura e semplice. Usando il mio preamplificatore custom, riesco a controllare il tono tra la chitarra e l'amplificatore. E sul preamplificatore non ci sono controlli del tono. Voglio dire, è inutile avere troppi controlli. L'amplificatore si occupa della potenza, al tono ci penso io.

AAJ: Sulla copertina del disco ci sono due foto: in una hai in mano una solid body, nell'altra una archtop. Chi realizza le tue chitarre?

K.E.: Tutte le mie chitarre le ha costruite un liutaio di Long Island, Abe Rivera. Ha realizzato lui sia la solidbody che vedi in copertina, che ho sempre usato nel Tonight Show, sia la archtop dell'altra foto. Le costruisce tutti lui a parte la flattop, che la Martin ha costruito espressamente per me.

Questa chitarra ha un manico bello spesso, e un corpo bello grande. Quando sono carico e riesco a suonarla come si deve, ecco, quello è il tono che cerco! E se non riesco a suonarla come si deve, se c'e' un passaggio che non riesco a suonare sulla Martin, allora vuol dire che non sono abbastanza caldo o che non mi sono impegnato abbastanza. Quella chitarra è la mia cartina al tornasole, perché non è affatto semplice da suonare se non ti impegni come si deve. E se ci riesci, da lì è tutta discesa.

Talvota i chitarristi dimenticano che bisogna lavorare parecchio per ottenere un buon sound. Che si deve lavorare sui toni lunghi, esattamente come fa chi suona gli strumenti a fiato. Non puoi metterti a suonare così, di punto in bianco. Devi riscaldarti. Devi tener caldo lo strumento. Talvolta noi chitarristi ce ne dimentichiamo perché attacchiamo la chitarra all'ampli e via, suoniamo. Bisogna focalizzarsi sulle mani e sulla tecnica, che sono alla base di ogni performance.

È troppo facile dire, "vabbè, non sono abbastanza carico oggi, ma basta un pò di sustain sull'ampli e via." È capitato a tutti, ma quelle chitarre devono dare il meglio quando le suono senza artifici e effetti. Dick Boak ha fatto proprio un ottimo lavoro con quella Martin. Ha fatto in modo che i suoi ingegneri realizzassero una chitarra coi fiocchi. Semplicemente meravigliosa.

AAJ: Usi la archtop per avere un tono pulito e passi alla solidbody quando vuoi ottenere quella certa distorsione?

K.E.: No, in realtà ho usato la archtop per ogni brano del disco, la solidbody non l'ho usata per niente. Talvolta mi capita di usarla per suonare quei pezzi dal vivo, ma in studio la archtop è più adatta. Ma dal vivo, specialmente per un brano come "Dirty Monk," la solidbody ha quel suono rock-blues deciso che ci vuole.

È buffo, quella e altre canzoni se suonate con la solidbody virano decisamente verso il rock. Ma quando le suono sulla archtop è tutta un'altra dimensione. Ho voluto mettere la foto della solidbody in copertina dell'album perché, anche se non l'ho usata in questo disco, è lo strumento che mi ha ispirato mentre scrivevo quelle canzoni.

AAJ: Hai detto che insegni. Hai in mente di dedicarti di più all'insegnamento, scrivendo libri o lavorando di persona con gli studenti?

K.E.: Mi piacerebbe. Non so se porterà a qualcosa, ma sto collaborando con il Berklee College. Lavoro con un ensemble della scuola: scrivo musica per loro, partecipo alle prove e terremo un concerto in autunno. Lavoro anche con il Monk Institute. L'insegnamento mi coinvolge sempre più.

Mi piacerebbe trovare un modo più creativo di farlo, in modo da trasferirgli anche la mia personalità musicale mentre insegno. Non si tratta di seguire delle istruzioni, o fare quel che faccio io. E non si tratta solo di Jazz o di chitarra, è un discorso generale sulla musica e sull'arte. Vorrei far capire che non sono solo Kevin, il Signor Jazz. Mi piacciono tutti i generi musicali, e anche altre forme di espressione—è come per questo disco. Ho usato la mia solidbody, che è considerato uno strumento prettamente rock-blues e che mi ha permesso di realizzare l'album, ma che ha influenzato il mio modo di suonare la archtop, che è considerato uno strumento prettamente Jazz. Bisogna rompere questi schemi rigidi, e avere una visione più ampia.

Se, come sembra, dedicherò più tempo all'insegnamento, mi piacerebbe incoraggiare i miei studenti a vedere la musica non come Jazz, Blues o Rock, ma piuttosto come un modo creativo di considerare il suono. A non perdere la loro personalità per strada, a vedere l'insegnante come una guida, non come un maestro pedante. Devono avere ben chiaro l'ABC della musica, ma non devono limitarsi al nozionismo. Vuoi suonare la chitarra con i denti? Per me va benissimo. O con gli le dita dei piedi? Va bene ugualmente. L'importante è esprimere se stessi, far musica che tocchi le corde di chi ascolta, ecco cosa ritengo importante.

Non importa prendere il massimo dei voti. Nella vita reale non conta nulla. "Oh, hai preso un 10. Sai una cosa? Non frega niente a nessuno, dato che suoni da cani." Essere più creativi. Essere più musicali, queste sono le cose importanti. Forse non vuol dire insegnare, quanto piuttosto infondere fiducia e accompagnare le persone nel loro percorso, invece che dirgli di suonare una scala su certe corde.

Vorrei anche incoraggiare i musicisti, gli studenti, chiamali come ti pare, a imparare le basi della loro forma d'arte. Ci sono princìpi fondamentali alla base di ogni cosa che si impara, di ogni abilità che si acquisisce, musica o scienza che sia, poco importa. Bisogna sapersi impegnare e studiare duramente o con passione o con forza di volontà, che sono due cose completamente diverse. La passione è ciò che ti spinge a lavorare sodo, a passare ore su una cosa perché senti che è lo scopo della tua vita. Non importa cosa studi, è un concetto universale.

Ma ci saranno giorni nei quali la passione non basterà, ed ecco che la volontà ci viene in aiuto. Ci sono giorni in cui vorresti solo startene seduto a guardare la TV, nei quali devi ricorrere alla forza di volontà per sconfiggere la pigrizia e continuare a studiare e migliorare.

E che sia la musica, la scienza o qualunque altra disciplina, lavorando sodo si raggiungono livelli che ti permettono di avere successo. Magari ci sono momenti in cui devi lasciar da parte la tua passione per sbarcare il lunario, ma a quel punto entra in gioco la tua volontà e ti permettere di raggiungere i tuoi obiettivi, superando ogni ostacolo.

Se si possiede la necessaria auto-disciplina e la creatività per gestire l'oggi e l'immediato futuro, nella musica e nella vita, allora si è pronti per avere successo in ogni sfida. Il successo è già in ognuno di noi, nasce da noi e dalle nostre azioni. Sfortunatamente molto spesso non c'è posto per tutti quelli che vogliono sfondare in un certo settore, ma si può comunque acquisire delle qualità in un campo e in seguito riapplicarle con successo in un altro campo.

Se mi dedicherò di più all'insegnamento, questo è ciò che voglio trasmettere ai miei studenti: concentrarsi a sviluppare quelle qualità che li faranno eccellere quale che sia la strada intrapresa.

Discografia selezionata

Kevin Eubanks, Zen Food (Mack Avenue, 2010)

Kevin Eubanks, Soweto Sun (InSoul Music, 2006)

Kevin Eubanks, Shring (InSoul Music, 2002)

Kevin Eubanks, Spirit Talk 2 (Blue Note, 1994)

Kevin Eubanks, Spirit Talk (Blue Note, 1993)

Kevin Eubanks, Turning Point (Blue Note, 1992)

Kevin Eubanks, Promise of Tomorrow (GRP, 1990)

Kevin Eubanks, The Searcher (GRP, 1989)

Kevin Eubanks, Shadow Prophets (GRP, 1988)

Kevin Eubanks, Heat of Heat (GRP, 1987)

Kevin Eubanks, Face to Face (GRP, 1986)

Kevin Eubanks, Opening Night (GRP, 1985)

Kevin Eubanks, Sundance (GRP, 1984)

Kevin Eubanks, Guitarist (Wounded Bird Records, 1982)

Foto di Raj Naik (la prima, terza e quinta).

Traduzione di Stefano Commodaro.

Articolo riprodotto per gentile concessione di All About Jazz USA.

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