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John Law: al cuore della Musica

Intervista di Jakob Baekgaard

La musica classica e il Jazz sono due forme d'arte spesso ritenute così radicalmente diverse tra loro da non potersi integrare. Storicamente, l'idea del cosiddetto Third Stream, capace di fondere il linguaggio del Jazz e quello della musica classica in maniera coerente, si è rivelata abbastanza difficile da mettere in pratica; tuttavia, non si può negare l'esistenza di un seppur fragile legame tra le due correnti musicali. Fu una cosa evidente sin dagli albori, testimoniata dal desiderio del pianista Scott Joplin di creare un linguaggio musicale sulla falsariga di quello dei grandi maestri della musica classica. L'idea, già molto diffusa, del Jazz come musica classica d'America, è diventata qualcosa da dare per scontato da quando il Jazz è stato elevato da cultura popolare al rango di forma d'arte.Ma la verità è che i mondi del Jazz e della musica classica rimangono ben separati, anche se un buon numero di artisti, specialmente pianisti, sono riusciti a navigare tra i due mondi pur mantenendo un'impronta caratteristica del linguaggio del Jazz. Tra questi si possono citare i pianisti Brad Mehldau, Tord Gustavsen, Enrico Pieranunzi e Keith Jarrett. E si può aggiunger alla lista il nome di John Law.

Law cominciò come musicista classico, esibendosi in pubblico per la prima volta all'età di sei anni, incoraggiato dal leggendario pianista Alfred Brandel, ma la sua carriera come pianista da concerto di musica classica si interruppe nel 1986, quando si convertì al Jazz. Da allora, Law ha lavorato con moltissimi musicisti, da sassofonisti quali Evan Parker e Jon Lloyd a percussionisti come Louis Moholo e Asaf Sirkis. Ha esplorato i generi musicali più disparati, dal free jazz, al bop, alle composizioni moderne, lavorando in diverse formazioni: da solo, in duo, in trio, in quartetti e in larghi ensemble. Se da un lato ha prodotto opere come Out of the Darkness (Slam, 2006), nel quale ha diretto un'orchestra composta da undici elementi, che comprendeva anche una sezione di archi, dall'altro uno dei suoi progetti più recenti è stato il completamento della serie The Art of Sound, nella quale si esibisce sia in solo sia in trio, insieme al contrabbassista Sam Burgess ed al percussionista Asaf Sirkis.All About Jazz: Hai cominciato molto presto come musicista classico. Ci racconti qualcosa della tua esperienza con la tradizione classica, e anche cosa ti ha spinto a passare al Jazz?

John Law: La musica classica (qualunque cosa ciò significa) è stato il mio primo amore. Mia madre, che era una pianista Viennese ed un'insegnante di pianoforte, radicata nel solco della tradizione Tedesca (voglio dire: Bach/Mozart/Beethoven/Schubert/Schumann...) ama raccontare che una delle mie prime espressioni di musicalità era il fatto che a due anni mi alzassi e mi mettessi a ballare quando ascoltavo l'ultimo movimento del concerto per violino di Beethoven. Vale la pena raccontare questo episodio, poiché molti ritengono che, paragonata al Jazz, la musica classica sia una scelta conseguente ad una ricerca più intellettuale. Non è per niente vero: nel mio caso, si è trattato del primo amore. E la sento ancora profondamente mia.Credo che sia un po' come un campo a semina mista: il mio primo raccolto è la musica classica. E questo significa che se non curo il mio campo, lavorando praticamente ogni giorno sulla mia componente Jazz, quel primo raccolto, come se fosse una gramigna, comincia a crescere ed insinuarsi, compromettendo il mio modo di suonare, dato che la musica classica è qualcosa di totalmente diverso dalla musica Jazz, da qualunque musica basata sul ritmo. Quasi ogni battuta è diversa, dal punto di vista del tempo. E quella era la mia lingua madre. Il mio primo linguaggio musicale.Perché e come sono passato al Jazz sono in realtà due domande diverse. Perché? Beh, ho sempre voluto comporre, e comporre musica di oggi, non musica del diciottesimo e diciannovesimo secolo. Mi sono avvicinato al Jazz quando avevo 23 anni. Capii immediatamente che era qualcosa che la musica classica non poteva darmi. E allo stesso tempo sapevo che avrei potuto continuare a suonare lo strumento che amavo e comporre, cosa che adoravo fare. Che fosse una cosa studiata a tavolino, o improvvisando. Era semplicemente l'ideale.Come sono passato al Jazz? Direi in un modo che da allora rappresenta il leitmotiv della mia vita. A dir la verità, è stata una lotta. Un giorno o l'altro mi piacerebbe raccontare a chi si stesse accingendo a passare dalla musica classica al Jazz tutte le difficoltà che ho incontrato, e come le ho superate. Perché sono due mondi diversi, il classico e il non-classico. Se devo scegliere quale sia la differenza più eclatante, direi che la musica classica è una questione di interpretazione (come disse il grande pianista Inglese Keith Tippett: "devi decidere, sarai un curatore o un creatore.")

È innanzi tutto una questione di migliorare la qualità, che è una costante nel Jazz. Voglio dire che i pianisti classici e gli strumentisti si esercitano duramente per migliorare la tecnica di esecuzione, per suonare più veloce, più a lungo, più forte, insomma, per suonare correttamente al 100%. Certo, parlano anche molto di interpretazione, ma essenzialmente lavorano su elementi misurabili. Nel Jazz lavoriamo duramente su cose meno tangibili, come il senso del ritmo. Sulla qualità di ciò che sentiamo. Sul nostro suono (il tocco o l'embouchure, che ancia usare, o che cimbali usare, a seconda dello strumento), il nostro suono armonico (per i pianisti, intendo le armonie alle quali vogliamo davvero essere associati), il nostro dizionario melodico e d'improvvisazione. Tutto questo ha a che fare con la qualità. È un approccio diverso.AAJ: Nella tua musica c'è una grande consapevolezza della forma ed una conoscenza profonda della tradizione. Cosa puoi dirci del modo in cui usi la tradizione musicale? Come vedi il legame tra passato e presente, tra musica improvvisata e composta, tra mainstream e avanguardia?JL: Sono sempre stato ossessionato dalla forma. Dopo la musica, le mie passioni più grandi sono l'arte e l'architettura. Spesso 'vedo' la musica in modo semi-sinestetico (non dimenticherò mai la prima volta, ero ancora uno studente, che ho ascoltato l'opera di Wagner Die Meistersinger: quando tutti i temi si fondono nell'orchestra, con il primo tema dei contrabbassi e quello secondario degli archi, riesco letteralmente a 'vedere' la musica svolgersi di fronte a me; un'esperienza che ti cambia la vita). Ricordo che, quando suonavo free jazz, non sapevo mai se era una cosa sbagliata o no, ma suonando con artisti come Evan Parker, cominciavo quella che doveva essere una performance completamente improvvisata con qualunque motivo mi saltasse in mente ma... mi facevo un appunto mentale per ricordarmela, così da poterla recuperare nei momenti chiave.

Per quanto riguarda la tradizione, non sono uno di quei pianisti che spazia nell'intera tradizione Jazz. Dopotutto non è sostanzialmente la mia tradizione. Non sono un pianista come Jaki Byard. In termini di tradizione Jazz, talvolta cerco di suonare il piano con l'impeto o l'essenza che stanno dietro a certi stili (come i vecchi generi tipo il boogie e lo stride) senza cercare di padroneggiarli e riprodurli.Il mio legame più forte è con le tradizioni classiche, che sono il mio patrimonio principale. Il giudizio su come uso questo patrimonio lo lascio agli altri. Ci sono certi dettagli, ad esempio nel mio ultimo CD, Congregation (33 Jazz, 2009), c'è un pezzo parzialmente ispirato a Bach (dico parzialmente perché la prima ispirazione mi è venuta da un brano degli e.s.t.). O un altro esempio: nell'introduzione di un pezzo di un disco di qualche tempo fa, faccio una citazione dell'"idillio di Sigfrido" di Wagner. Ho anche realizzato, negli anni Novanta, una serie di quattro CD ispirati ai canti Gregoriani. Era un periodo nel quale mi dedicavo molto alla musica Rinascimentale e Medievale.Posso portare altri esempi. Ma immagino che tu mi stia chiedendo un commento più in generale su come coniugo, in generale, il mio essere un pianista e compositore Jazz, che lavora nel Ventunesimo secolo, con il mio passato musicale, e come questo influenzi ciò che faccio. Di nuovo, penso che sia un'analisi che spetti ad un osservatore esterno, ma qualcosa lo posso dire. Tento di conservare alcuni degli elementi più importanti della musica classica—prima tra tutti l'armonia classica, funzionale; questa è una costante di tutta la musica—e li combino con quegli elementi che il Jazz mi fornisce e che sono assenti nella tradizione classica—ciò che mi piace definire l'elemento vodoo. Il ritmo ed il groove che si ripetono, che mancano nella musica classica.Si potrebbe dire, come qualcuno afferma, scherzosamente, che il Boogie Woogie sia stato inventato da Beethoven perché in una delle variazioni della sua ultima sonata usa una trama ed un modo di usare la sinistra che è molto simile a quello stile. Ma la differenza tra questo e la grinta del boogie è in effetti rivelatrice. Allo stesso modo, puoi concentrarti sul ritmo e sulla grinta di certa System music, come il brano Electric Counterpoint di Steve Reich (e Pat metheny), e scoprire che c'è molto ritmo, ma di nuovo la differenza tra questa musica e, diciamo, la musica Africana da cui trae parte del suo linguaggio, o i ritmi Jazz, ti fanno scoprire molte differenze. Il ritmo classico manca di quel groove marcato, essenziale.

C'è poi il fattore spontaneità. È buffo, cerco di provare, con la mia improvvisazione, una sensazione di cosa già composta in passato, mentre nelle mie conposizioni cerco di dare l'idea che siano composte sul momento. Non lo faccio sempre, ma è un pensiero sempre presente. Perché da una parte credo fermamente che i risultati musicali più incredibili si possano ottenere solo componendo in tempo reale, sia i termini di forma perfetta che in termini di adattamento appropriato all'atmosfera del momento. Ma d'altra parte sono consapevole del fatto che se l'improvvisazione si smarrisce o peggio si inviluppa su se stessa, questa diventa all'improvviso una parente povera dell musica scritta. In questi casi preferirei suonare qualcosa che so essere meraviglioso, e che soprattutto funzioni... Mi hai chiesto se vedo un legame tra mainstream e avanguardia. In realtà non faccio questa distinzione. La lascio ai critici! Penso che metterei in crisi molti critici se gli chiedessi di definire esattamente cosa intendono con questi due termini. E di certo userebbero termini tecnici sui quali un musicista non si troverebbe d'accordo. Quando la gente inizia ad usare il termine avanguardia, mi fa arrabbiare. La mia risposta standard è: quanta avanguardia riesci a trovare, più che quella di un'opera di Nam June Paik, nella quale il performer nuota nella vagina di una balena viva? Abacus Quartet (da sinistra a destra): John Law, Jon Lloyd, Tim Wells, Gerry HemingwaySuono il pianoforte. Uno strumento antico, vero? Uso le armonie.Le etichette le lascio usare agli altri.AAJ: Hai lavorato in diverse formazioni, sia come sideman sia come leader. C'è qualcuno in particolare che ha influenzato il tuo modo di suonare, e se sì in che modo?

JL: Non so se vuoi dire musicisti con cui ho suonato che mi abbiano influenzato, o più in generale pianisti o musicisti che ho ascoltato...Riguardo questi ultimi, sono solito non dire mai quali pianisti ritengo mi abbiano influenzato più di altri. Innanzi tutto perché penso che la risposta sia in gran parte abbastanza ovvia. E poi perché tutto sommato è il tuo lavoro... e non voglio renderti la vita facile! Mi diverto a vedere chi mi intervista che cita improbabili influenze giusto per sentito dire, come quel tale che mi intervistò per la rivista Wire, e fu la mia prima intervista, che disse che ero chiaramente influenzato dallo stile di un certo pianista del quale non avevo mai sentito parlare fino a quel momento!

Ho adottato questo modo di fare molti anni fa, ai tempi del primo CD cui ho contribuito, Syzygy (Leo, 1990), di Jon Lloyd. Ogni recensione lodava il mio modo di suonare. A parte una. Era di un Francese al quale mandai il CD, insieme ad una nota nella quale gli spiegavo che non ero granché soddisfatto del modo in cui avevo suonato, ma che speravo gli piacesse, cose del genere. Per tutta risposta, nella sua recensione disse che il mio modo di suonare pareva poco rilassato, nervoso. Ero certo che fu a causa di ciò che gli scrissi! E da allora decisi di lasciare al critico il suo mestiere.Quindi posso solo dirti che ascolto qualunque artista.Ma una cosa voglio dire sul mio trio. Sto provando a fare una cosa ad ampio respiro. Il fatto è che mi piacciono davvero molti stili diversi, e molti trio di piano contemporanei. E direi che, a parte quei pianisti la cui influenza si nota chiaramente nel mio modo di suonare (e come ho detto non li menzionerò!) ci sono tre trio, molto diversi tra loro, ma che hanno influenzato in egual misura il mio modo di comporre per l'Art of Sound trio. Quel che definirei la mia santa Trinità del tio per pianoforte. Senza un ordine particolare: l'Esbjorn Svensson Trio, Tord Gustavsen e The Bad Plus. Hanno un modo così diverso di suonare. E raramente mischiano i loro stili. Però mi piacciono tutti e tre. Non so se mi spiego: per me, quei tre coprono la maggior parte, se non tutte, le aree alle quali sono interessato.Riguardo a persone con cui ho suonato e che mi hanno influenzato nel profondo: innanzi tutto gli altri due componenti del mio trio, Sam Burgess e Asaf Sirkis, che sono una continua fonte di ispirazione. Davvero, quando suono con loro spero solo, con tutto il cuore, di suonare così bene da sentirmi degno di esibirmi con loro: questo per dimostrare quanto io li stimi.Oltre a loro, ci sono altri cinque musicisti con cui ho lavorato che hanno lasciato una traccia indelebile nel mio modo di suonare: Evan Parker, Barry Guy, Tim Garland, Jason Rebello e Jon Lloyd.E se ciò non significa rimangiarmi il fatto di non rivelarti tutti coloro che mio hanno influenzato, ascolto moltissime delle nuove leve Britanniche. I più giovani ti danno una tale scossa. Fanno cose alle quali i più anziani, che si presumono più saggi, non sono arrivati. I principali secondo me sono questi pianisti e compositori: Tom Cawley, Gwilym Simcock e Robert Mitchell.AAJ: Quindi come giudichi il clima che c'è in Gran Bretagna riguardo al Jazz? E qual è secondo te il legame tra le tradizioni del Jazz in Europa e in America? JL: Per quello che posso vedere (ora vivo fuori Londra, nel sud-ovest dell'Inghilterra, dove do lezioni private, ma so la situazione dei principali college e delle università), qui in Inghilterra il Jazz ha raggiunto livelli incredibilmente alti. E il risultato è che ogni anno escono dai college dei giovani dal talento straordinario. Non so se troveranno tutti un lavoro, temo di no. Ma di certo hanno i mezzi per avere successo. Voglio dire, suonano meravigliosamente (ed è ovvio), sanno leggere la musica, e suonare usando diversi tempi e metri, giocando con le misure in modo naturale, e con una profonda conoscenza dell'armonia. Ancora più importante, hanno un grande senso del ritmo.E uno dei motivi è che dato che non c'è abbastanza lavoro per tutti i jazzisti al giorno d'oggi, molti insegnano al college o all'università a loro volta. Per cui ci sono molti ottimi musicisti nei vari gradi del sistema educativo Inglese.Penso che questa nuova generazione di jazzisti sia composta da ragazzi cui piace sperimentare, mescolando insieme influssi differenti. È molto stimolante.la cosa che talvolta mi preoccupa è che il pubblico non riesca a stargli dietro. Capita di andare in un piccolo club a Londra e sentire della musica davvero notevole, e di chiedersi se quelli nel pubblico che hanno sì applaudito, ma in modo misurato, non così fragoroso, si rendano conto del livello della musica che hanno appena ascoltato.L'eterna questione dell'America e dell'Europa... Penso che stia perdendo di significato. Forse non per gente come me, dato che mi sento assolutamente Europeo anche se sono alle prese con la tradizione Jazz Americana, della quale cerco di assimilare qualche elemento da combinare con la mia estetica musicale Europea. Ma forse per le nuove leve. Loro hanno già assimilato tutto ciò che vogliono dalla tradizione Americana, e possono passare oltre e seguire il loro istinto.

C'è una cosa che ho in mente, un'idea che mi è venuta qualche tempo fa dopo aver assistito ad un concerto del Tord Gustavsen Trio: che per persone come loro, sia per Tord che per molti altri Europei, quando suoniamo qualcosa che somiglia al Blues sembra che cambiamo il Blues stesso (la scala, il sound, il lessico, perché il blues è come un Raga Indiano, no? Non è solo la scala, è un insieme di umori che contiene anche frasi melodiche come parte della scala e del linguaggio, lo cambiamo e lo trasformiamo in una specie di scala folk, che comunque è ciò che alla fine è, più o meno.Ma non volevo dir questo. Quando qualcuno come Tord suona un pezzo Blues, senti che è un sound Europeo, tipo una musica folk Europea. Di certo non è musica nera. E non è il solo. Lo stesso vale per Jan Garbarek. O un pianista Italiano che stimo molto... stessa cosa. Anche io ci provo, in fondo. Di recente stavo guardando la partitura dell'opera di Strauss Salome. Ho cominciato a fare delle prove con il cosiddetto 'accordo di Salomè. È una specie di accordo in Do diesis diminuito su un Do minore. È un suono tipicamente blues, volendo. Ma i punti di riferimento sono molto diversi.È così che faccio, e da quel che sento è quel che molti altri musicisti Europei fanno. Siamo in un momento di sintesi, dove le idee vengono prese ed adattate. È una conseguenza della mancanza di appartenenza. Ed è un tentativo di trovare una nuova appartenenza, secondo me.AAJ: Come ti poni nei confronti delle critiche e del ruolo del giudizio di valore in campo musicale? Nel suo libro del 1968, Early Jazz: Its Roots and Musical Development, Gunther Schuller è diventato famoso per aver criticato quel che definì "la critica dilettantesca animata dalle migliori intenzioni e l'opinione affascinata." Pensi che per essere un buon critico sia necessario avere una buona base teorica di concetti come la melodia, l'armonia, la forma ed il ritmo, o basta averne una comprensione intuitiva per poter dare un giudizio estetico di un brano musicale?JL: Da dove comincio? Da una storia divertente... Qualche anno fa, un critico mi mandò una email per dirmi che stava scrivendo un articolo, intervistando pianisti per chiedere la loro opinione su Thelonious Monk e su quali fossero i pezzi di Monk da loro preferiti. Così mi chiese quale fosse il mio preferito. Alla fine risposi alla sua email spiegandogli che non mi piace fare classifiche. Che è contrario alle mie convinzioni e che va contro il mio modo di vedere le cose. Mi rispose dicendo bene, ma se proprio dovessi decidere, quale sceglierei? Gli risposi di nuovo dicendogli che non faccio classifiche. Che non lo faccio con i miei studenti, né con i miei figli. Che non faccio paragoni. Mi riscrisse chiedendomi ancora va bene, ma quale scelgo. Alla fine, per farlo contento, gli diedi un paio di titoli che tendo a suonare spesso. Mi rispose ringraziandomi! Essendo un critico, semplicemente non aveva capito nulla. Proprio non sopporto i paragoni, non hanno alcun senso. Cosa significa dire che l'artista A è diverso dall'artista B? È ovvio che sia così; e infatti sono due persone diverse. E che senso ha dire che l'album che l'artista A ha fatto due anni fa è diverso da quello che ha fatto quest'anno? Ovvio che lo sia: sono due album diversi.Una cosa è importante: credo sia assolutamente naturale e comprensibile avere allo stesso tempo punti di vista molto differenti, persino contrastanti. C'è chi dice che tenere il piede in due scarpe è una scusa per non decidere, Non è affatto vero. A parte il fatto che non si sta comodi. Ma a parte gli scherzi, in realtà è molto più difficile dover accettare punti di vista differenti, specialmente in una relazione. Ma per me è l'unico modo.Un'altra cosa: ricordo di aver letto una cosa detta dal DJ e scrittore Inglese John Peel che mi ha fatto davvero infuriare: "Ci sono solo due tipi di musica: quella buona e quella cattiva." Che boiata. È un'affermazione che appaga chi non se ne intende, poiché si sente parte di una saggezza e una profondità particolare. Ma non ha proprio senso.Non esiste una distinzione assoluta tra buona e cattiva musica. Semplicemente non puoi misurarla così. Certa musica si apprezza solo dopo averla sentita molte volte. La maggior parte della musica, tutta forse, diventa noiosa se la si ascolta troppo. La musica sembra diversa a seconda del momento in cui la si ascolta; ad esempio, al mattino riesco ad ascoltare solo la musica Barocca o, ancora meglio, quella Rinascimentale. Dipende dal tuo umore, da tuoi bisogni e dalle tue aspettative. Dipende anche dalla qualità del tuo impianto stereo e da come la ascolti, dalla tua concentrazione.Dipende da moltissimi fattori. Tornando al discorso dell'ascolto ripetuto, c'è un bell'aneddoto sul compositore Russo Glazunov. Quando ascoltò La Valchiria di Wagner per la prima volta, non la capì affatto . La riascoltò. Nulla. E ancora—con lo stesso risultato. Andò avanti, e fu solo dopo il decimo ascolto che la capì del tutto e gli piacque.

Tornando al discorso che la musica si divide solo in buona e cattiva e al problema di avere opinioni opposte nello stesso momento, spesso mi viene in mente quel che un mio cugino Viennese, che è un matematico e filosofo, mi disse una volta: "Sai, John, la gente crede che un interruttore abbia solo due stati possibili, acceso e spento. [Questo è il concetto alla base dei sistemi binari e dell'elettronica digitale, no?] Ma non è vero, " mi disse. C'è anche il caso in cui la macchina è in standby, e quindi non è né accesa né spenta. Né sì, né no, è il ni. La trovo una teoria affascinante, che da allora condiziona non poco il mio modo di fare: ti permette di astrarti da una situazione e vederla da fuori, da diversi punti di vista.In pratica se qualcuno dice che un brano vale poco, o non ha successo, da questo o quel punto di vista, sta prendendo una certa posizione. Ma non serve a nulla farlo. E spesso prendono persino una posizione palesemente sbagliata. Come se uno andasse ad un concerto del Tord Gustavsen Trio e si lamentasse che non suonano come i Bad Plus. Ovvio che sia così. Non ci provano nemmeno. O come un giovane pianista, molto noto in Gran Bretagna, che si è lamentato del fatto che il Neil Cowley Trio suonasse in modo molto semplice. E certo, è proprio quel che tentano di fare. E sembra semplice se paragonato al modo di suonare e di comporre di quel giovane pianista. Ma ciò rende la loro musica una cattiva musica? Perché paragonare le mele con le pere?Out of the Darkness: John Law con il Cornucopia EnsembleUn'altra cosa che ha condizionato il mio modo di vedere l'estetica e di dare giudizi. Ricordo che quando ero uno studente di pianoforte mia madre, che era una concertista di piano classica, mi disse che non si dovrebbe mai suonare un brano di Brahm dopo Liszt, perché in quel caso Brahms sembrerebbe noioso e pesante al confronto, mentre in assoluto non lo è affatto. Un saggio consiglio. Ma la musica di Brahms è indigesta, di per se stessa? O questo è un aspetto che deriva semplicemente da un confronto diretto co un altro tipo di musica? Chi pensa che esistano qualità misurabili, propende per la prima ipotesi. Io credo nella seconda. Tornando al mio esempio del pianista Inglese che critica il Neil Cowley Trio, non c'è forse spazio per entrambi gli artisti, nel mondo musicale che ci costruiamo? Nel mio c'è posto. Non ho alcun problema ad assegnargli spazi differenti, e da ognuno ricavo qualcosa di diverso, tutto qua. Penso che davvero questo sia il dovere di chi aspira ad essere un grande artista: imparare a superare concetti di bello e brutto. Dopotutto chiunque può dire che una cosa gli piace o no. Per me un grande artista non deve dire cosa gli piace o non gli piace, dandone una motivazione tecnica. È nostro dovere essere superiori a questo modo di contrapporre, trovando il buono in ogni tipo di musica (o di architettura, o che altro). Se ti sforzi e riesci a liberarti da questa scala di valori assolutamente artificale, arbitraria e gerarchica, ti togli davvero un peso dallo stomaco. Provare per credere.Ovviamente si può obiettare che il fatto di piacere o meno non è un preconcetto, creato a tavolino, ma è qualcosa che nasce come diretta conseguenza di un'esperienza positiva o negativa. Beh, suppongo sia vero... Ma non è una verità assoluta. Di solito sono considerate delle opinioni che si formano ben più tardi dell'evento che le ha scatenate—a differenza dell'aneddoto su Hans von Bulow, pianista allievo di Liszt e direttore d'orchestra, il quale, dopo aver assistito all'esecuzione di musica contemporanea, si dice che uscì dalla sala e vomitò. Magari aveva avuto solo un problema di stomaco.

C'è qualcosa di misurabile, nella musica? Forse l'abilità tecnica con cui si suona uno strumento. Ma anche questo è opinabile. La musica suonata da Monk ha risentito del fatto che lui non fosse un pianista come Keith Jarrett? Non penso. Vero è che l'abilità tecnica è un'area nella quale poter dare talvolta giudizi con cognizione di causa. Così come l'abilità nel suonare un certo stile o un certo genere. Come il Bebop. Forse se un musicista o un gruppo si confrontano con un pezzo molto noto; diciamo ad esempio che si cimentino in un remake di Kind of Blue (Columbia, 1959), allora un confronto si potrebbe fare. Ma avrebbe senso. Magari un'altra versione dello stesso progetto ha i suoi meriti, a prescindere da un qualunque confronto.AAJ: Ci racconti qualcosa del progetto Out of the Darkness? Com'è stato lavorare con un grande ensemble, al confronto dell'atmosfera raccolta di un trio, o di un quartetto?JL: il progetto Out of the Darkness mi è piaciuto molto. Ho dovuto lavorare parecchio per organizzarlo, prima per ottenere i finanziamenti dall'Arts Council e poi occupandomi da solo del più piccolo dettaglio nell'organizzazione del tour. E ovviamente ho scritto e arrangiato le musiche, ho suonato il pianoforte e ho diretto la maggior parte dell'opera, quando non stavo suonando. Ogni membro dell'ensemble mi ha sempre incoraggiato ed aiutato, e tutto è filato liscio senza intoppi. L'unico aspetto negativo è che sono stato così impegnato a prepararlo e a portarlo in giro (un processo lungo un anno) che non mi sono dedicato ad alcun nuovo progetto, per cui l'anno seguente ho fatto poco o niente!

L'intero progetto è scaturito dal fatto che mi mancavano (e mi mancano ancora) molti degli strumenti tipici di un'orchestra classica. Per me rimane ancora un mistero il modo in cui questo organismo speciale— l'orchestra classica— con i suoi differenti strumenti, e le sue diverse sezioni, riesca ad amalgamarsi in un tutto coerente. Ma ci riesce, e lavorando nel Jazz mi mancano molti degli strumenti che hanno accompagnato la mia crescita: dal meraviglioso suono degli strumenti a fiato, come il fagotto e l'oboe, all'eloquenza degli archi, che ovviamente sono la base dell'orchestra. Di certo non è stato perfetto, questo mio tentativo di giustapporre strumentisti che non improvvisavano a musicisti Jazz, ma il processo di apprendimento è stato davvero edificante. C'è una cosa che non dimenticherò: all'inizio i musicisti classici mi dissero "Non aspettarti improvvisazioni da noi! Non lo facciamo." Ma alla fine scrissi qualche sezione nella quale potevano suonare più o meno a piacere. E sai una cosa? Non son riuscito a farli smettere di improvvisare! Erano davvero bravi. Hanno contribuito a dare una forma originale a quelle sezioni. E cosa più importante, quando improvvisavano non usavano un vocabolario tipico del Jazz, ma un suono del tutto nuovo, che poteva ricordare certi aspetti propri della musica classica contemporanea (alcuni di loro erano membri della London Sinfonietta).In futuro mi piacerebbe scrivere dell'altro per strumentisti classici, e approfondire il tema della direzione d'orchestra. Il brano dell'intero progetto del quale sono più orgoglioso è "Nocturne." Mi rendo conto che la suite "Out of the Darkness" è un po' pesante e aggrovigliata (ma magari a qualcuno piace proprio per questo motivo). Ma del brano "Nocturne" sono davvero soddisfatto: delle idee che esprime, della forma e della musica. Penso che funzioni.AAJ: Come è nato l'Art of Sound Trio? Qual era la tua visione del progetto? E com'è stato lavorare con Sam Burgess ed Asaf Sirkis, e in generale lo svolgersi del progetto e dell'incisione?JL: Il trio con Sam ed Asaf è nato da un'idea che si è evoluta ed arricchita col tempo.La formazione del trio, nel 2005, è stato uno dei miei tentativi di rendere il mio sound ed il mio modo di suonare più simile a quello di un pianista Jazz. Ma ho comunque voluto avere un trio molto interattivo, dove ognuno desse il suo contributo conservando la capacità di sperimentare. E questo aspetto è diventato sempre più importante. Quindi a prescindere da quello che avevo in mente quando chiesi ai ragazzi di unirsi a me, ora siamo diventati un gruppo che si dedica ai molteplici aspetti legati al modo di suonare di un trio contemporaneo. Dinamiche estreme, influenze dal classico, dal Jazz e ora persino dal rock che si fondono insieme. Sto anche aggiungendo nuovi suoni, a poco a poco. Leggere distorsioni e ritardi sul pianoforte e sul contrabbasso. E ho dei giocattoli interessanti a disposizione: due (sì, proprio due) mixer per bambini, due Buddha Machine (delle piccole scatoline amplificate in grado di riprodurre nove differenti loop elettronici dei quali puoi variare il tono, in modo da poterli sfumare), una dub siren (che produce degli strambi effetti sirena con cui posso giocare dal vivo) e uso anche dei brani radio dal vivo, in un pezzo. Non so bene se mi sono spinto troppo in là e quindi devo darmi una calmata, o se aggiungerò dell'altro, o se è abbastanza così.Anche per quanto riguarda le percussioni ci sono dei cambiamenti. Già un anno fa avevo mandato una email ad Asaf chiedendogli se avrebbe voluto suonare il glockenspiel. Disse che l'avrebbe imparato a suonare apposta per me. E così ora fa parte degli strumenti che Asaf ha a disposizione. A questi si aggiungeranno anche l'Hang (che suona anche nel progetto di Tim Garland Lighthouse) e il darbuka. E magari anche un piccolo xilofono (uno da bambini, non uno di quelli da grande orchestra, che comunque ha già usato in passato suonando con me). Direi che è tutto.

Ho suonato con Asaf la prima volta nel 2005. Mi innamorai immediatamente del suo modo di suonare. Ti sa accompagnare con una sensibilità incredibile e i suoi assoli hanno cambiato il mio modo di ascoltare le percussioni. Sam si è aggiunto al trio poco dopo. I suoi punti di forza sono il suo incredibile senso del tempo, i suoi swing indiavolati e il suo stile inarrivabile quando si cimenta in una ballad. E la sua notevole eloquenza, tanto che ti porta quasi alle lacrime.Dal punto di vista musicale, siamo un gruppo molto democratico. Ognuno dice la sua negli arrangiamenti, anche se suoniamo solo dei pezzi miei. Sento di poter imparare così tanto da questi due musicisti, che mi sento piccolo di fronte a loro.La registrazione del recente CD Congregation è stato un vero tour de force. Abbiamo registrato così tanta musica! In soli due giorni. Abbiamo davvero lavorato duro. Lo studio si chiama Artesuono, e mi ha ispirato sia il nome del gruppo che il nome dei quattro Art of Sound recordings, dei quali i volumi 1 e 4 sono in trio, mentre nel 2 e nel 3 suono da solo. Le due registrazioni da solo le ho fatte in soli due giorni, nell'Ottobre del 2007. E molti dei brani che vi compaiono sono stati registrati anche dal trio, per cui è possibile comparare le versioni da solo e in trio.AAJ: Alcune delle composizioni hanno una dedica. Ci racconti cosa c'è dietro ad alcune di queste?JL: Tre delle mie composizioni nella serie degli Art of Sound sono dedicate a musicisti. "Twist" è dedicata al vibrafonista e compositore Austriaco Friedrich Philipp-Pesendorfer (conosciuto anche come Flip Philipp), che suona nell'Orchestra Sinfonica di Vienna e scrive dele composizioni molto complesse, nelle quali forte è l'influsso di Monk. Mi sono ispirato ad uni dei suoi brani, che ha intitolato all'inizio "Let's Twist" e in seguito semplicemente "Let's." (A proposito, spesso per sdebitarmi nei confronti di un brano che mi ispirato la composizione di uno dei miei, nascondo un indizio che riporta a quel brano nel titolo del mio. Anche senza una dedica esplicita. Tento di lasciare una traccia da scoprire in seguito!) Il pezzo "Method in My Madness" l'ho in parte rubato (anche se secondo me l'ho anche migliorato) da una canzone di Jon Lloyd intitolata semplicemente "Method." L'Art of Sound Trio (da sinistra a destra): Asaf Sirkis, Sam Burgess, John LawLa composizione "Watching, Waiting..." è ispirata dalla musica di Tom Cawley in generale. Tom è un compositore ed un pianista straordinario. La prima volta che ho ascoltato qualcuna delle sue composizioni mi sono sentito una nullità e volevo mollare. Sentivo che non avrei mai potuto comporre a quel livello.Ma alla fine ho fatto ciò che faccio sempre, provando a rubare un po' di quella magia e farla mia. Le dediche a Stephen presenti in due composizioni su Chorale: The Art of Sound, Volume 3 sono legate a fatti molto personali. Sono in memoria di un mio fratello minore che morì nel 2006. Un momento davvero terribile. Uno dei pezzi, intitolato semplicemente "?," l'ho eseguito e l'ho poi scritto, tale e quale.AAJ: Che progetti hai per il futuro?JL: Progetti per il futuro? Farò più concerti e tour, sia da solo che con il trio. Un altro paio di album con il trio sono già in programma. Farò una pausa questo Autunno/Inverno per scrivere molto materiale per il trio che ho già in mente. Circa dieci nuove composizioni. Forse di più...E al di fuori di queste mie attività principali, suonare Jazz da solo o con il trio, ho un altro paio di progetti più legati alla musica classica. Vorrei scrivere una durchkomponiert per orchestra. Ne ho scritte un paio, a seguito della richiesta di presentare qualcosa alla London Symphony Orchestra. Non hanno scelto nulla ni ciò che ho presentato, e ora sto lavorando a qualcosa che secondo me è molto ben fatto, quindi spero che stavolta lo sceglieranno.E ho un'altra idea in mente: un progetto chiamato Goldberg. Sto commissionando ad un'artista una animazione lunga tre o quattro minuti e che si ripeterà indefinitamente. In sottofondo ci sarà un brano di musica elettronica che scriverò sulla struttura degli accordi delle Variazioni Goldberg di Bach. Una specie di sound ambient etereo, discreto. Un'idea particolare, ma suono i brani di questo lavoro quasi ogni mattina, per scaldarmi. Quindi è un'idea che ho concepito giorno dopo giorno.

E poi, alla fine, voglio in realtà tornare alla libera improvvisazione e alla composizione istantanea. In questo periodo sto scrivendo molte composizioni che spero siano interessanti e delle belle ballad sia per il trio che per me, ma lo vedo come un processo di apprendimento che, spero, rafforzerà ancor più la mia capacità di improvvisazione. Spero quindi di emergere come un improvvisatore migliore, più melodico. Non tornerò mai a fare solo energy music e cose del genere. Ma spero di acquisire molti aspetti della free music così come l'approccio nei brani, per poi suonare in modo completamente aperto, senza idee precostituite. Sia come trio che da solo. L'ultimo album degli e.s.t. mi ha davvero colpito, il modo in cui suonavano, così liberamente (e naturalmente il lavoro di post-produzione). Mi ha fatto pensare che davvero vorrei fare delle registrazioni con il trio più astratte, prima o poi.Come ultima cosa, voglio semplicemente migliorarmi. L'ho capito solo di recente. Sto seguendo un percorso di apprendimento che dura tutta la vita semplicemente perché mi piace. Non perché voglio diventare migliore. Né perché voglio ottenere questo o quello. Semplicemente mi piace imparare. Certo sarebbe sciocco non ammettere che, in questo cammino, mi accorgo delle cose nuove che ho imparato. Senza una specie di reazione positiva sarebbe difficile conservare questo interesse nell'apprendere cose nuove. Ma davvero è una cosa che mi piace di per se stessa. E nel contempo suonando, componendo e anche un po' insegnando riesco a guadagnare quel tanto che basta a mantenere la mia famiglia senza dover continuamente giustificare questo mio impegno nello studio.Insomma, continuerò a provare ad imparare. Ad esempio, parlando di armonia, mi sono reso conto da poco che stavo usando gli accordi senza pensare, e che non sono abbastanza sofisticati. Le mie mani e le mie dita si sono fossilizzate nelle figure che ho imparato. Perciò le sto re-imparando per provare ad approfondire l'armonia. Voglio studiare per bene qualcuno dei Ligeti Piano Etudes, specialmente qualcuno degli ultimi, dai Libri 2 e 3. C'è molto materiale sull'armonia che mi affascina. Un giorno vorrei potermi dedicare come si deve a studiare il notevole album da solista di Brad Mehldau, Live in Tokyo (Nonesuch, 2004), solo per poter capire come diavolo fa a suonare così.Queste cose. Ed altre ancora.Voglio trovare cose nuove nella musica. Perché lo voglio, e perché mi ispira.Discografia SelezionataJohn Law, Congregation: The Art of Sound, Volume 4 (33 Jazz, 2009) John Law, Chorale: The Art of Sound, Volume 3 (33 Jazz, 2008) John Law, The Ghost in the Oak: The Art of Sound, Volume 2 (33 Jazz, 2008) John Law, The Art of Sound, Volume 1 (33 Jazz, 2007) John Law, Out Of The Darkness (Slam, 2006) John Law, The Moment (Cornucopia, 2001) John Law, Abacus (HatHut, 2001) John Law, Strange Stories (Cornucopia, 2000) John Law, Songs Without Words (Eos, 1998) John Law, Chants (Cornucopia, 1998) John Law, The Onliest—Pictures From a Monk Exhibition (Future Music, 1996) John Law, Exploded on Impact (Slam, 1993)Foto di: Mel Day, Bob Meyrick, Andy Webb.

Traduzione di Stefano Commodaro

Articolo riprodotto per gentile concessione di All About Jazz USA

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