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Jazz ibrido, quasi... prog. Intervista ad Antonio Apuzzo

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Con arrangiamenti puntuali e rigorosi, ma nello stesso tempo flessibili, ho cercato di esaltare la vocazione cameristica della musica dei Gentle Giant: una musica fortemente contrappuntistica, dove anche le parti vocali hanno un'anima strumentale
Classe 1956, Antonio Apuzzo è un musicista a cui è sempre piaciuto sviluppare linguaggi nuovi, o meglio, ibridi. Fin dai lavori avviati negli anni Ottanta con il trio Orselli - Apuzzo - Lalla agli Ibrido Hot Six, formazione atipica con tre dischi ufficiali all'attivo che ha come come principale leitmotiv proprio il tema della rielaborazione di brani scritti da grandi autori di jazz moderno e contemporaneo (Dolphy, Coltrane, Mingus ecc.) e..., sorpresa, anche da raffinati songwriters quali furono i Gentle Giant, tra i gruppi più originali e creativi della scena rock britannica degli anni Settanta. D'altronde, Apuzzo nella sua ormai più che trentennale carriera di sassofonista, clarinettista, compositore e docente non si è fatto mancare niente in termini di esperienze che si collocano al di fuori di un mainstream che per il jazz italiano è spesso fonte di dannazione. Pensiamo, dunque, anche all'Antonio Apuzzo Electric Dream, quintetto di jazz elettrico incline a sperimentalismi e a invasioni di campo, o alle suggestioni cameristiche dell'opera Luz per trio jazz e settetto da camera composta da Apuzzo insieme a Mauro Cardi. Insomma, uno spirito libero che ha dato ulteriore prova di eclettismo nella sua ultima fatica: il libro "Gentle Giant. I Giganti del Prog-Rock" (Stampa Alternativa) con tanto di CD allegato a firma degli Ibrido Hot Six alle prese con la rilettura in chiave strumentale del capolavoro progressive Acquiring the Taste.

All About Jazz: Leggendo il libro si comprende che la passione per le musiche progressive e in particolare per gli album dei Gentle Giant risale fin dai tempi della tua giovinezza. Quali sono invece oggi le ragioni che più ti hanno spinto a rileggere parte del loro repertorio con i tuoi Ibrido Hot Six?

Antonio Apuzzo: Come molti della mia generazione, sono nato musicalmente, a livello di ascolto, con il prog rock, e i Gentle Giant sono stati uno dei miei gruppi preferiti. Quando nel 2005, l'Ibrido Hot Six era alla ricerca di nuovi stimoli per ibridare ulteriormente il proprio repertorio, formato da mie composizioni e rielaborazioni di brani di Coleman, Coltrane, Mingus, Dolphy, Kirk, Strayhorn, Garbarek, mi è sembrato naturale cercare tra i suoni del rock più creativo e la musica dei Gentle Giant mi è parsa ancora attuale e assolutamente contemporanea. Ho scelto i pezzi più adatti alla nostra formazione, composta da me alla ance, Pino Capomolla ai flauti, Francesco Fratini alla tromba, Gianni Di Ruzza all'oboe, Sandro Lalla e Gianluca Taddei ai contrabbassi, e proprio la natura di questo organico, unico, di stampo cameristico e privo di batteria e strumenti armonici, è stata una delle ragioni che più mi hanno spinto in questa direzione. Da allora, i brani del "Gigante Gentile" sono parte integrante del repertorio dell'Ibrido, come dimostrano i nostri lavori discografici, in particolare L'Eclisse, pubblicato nel 2009 dalla Dodicilune. In seguito, è nata l'idea di scrivere il libro, idea sostenuta da Gianfranco Salvatore per la casa editrice Stampa Alternativa.

AAJ: Dal punto di vista musicale le reinterpretazioni che hai fatto sono molto fedeli ai brani originali. Come jazzista quali sono state le maggiori difficoltà nell'affrontare un repertorio quasi interamente scritto che lascia pochissimo spazio all'improvvisazione?

A.A.: È vero, l'approccio è fedele al "testo" originale, ma anche aperto a spazi di natura improvvisativa, con l'inserimento, in particolare sui brani di Acquiring the Taste, di brevi sezioni che ho composto con diverse funzioni strutturali (introduzione, coda, sviluppo improvvisato) ma sempre all'interno di un irrinunciabile equilibrio compositivo. Attraverso l'utilizzo di arrangiamenti puntuali e rigorosi, ma nello stesso tempo flessibili, ho cercato di esaltare la vocazione cameristica della musica dei Gentle Giant, una musica fortemente contrappuntistica, in cui anche le parti vocali hanno un'anima strumentale, un elemento, quest'ultimo, decisamente interessante, visto che nel nostro caso parliamo di versioni interamente strumentali. Quando ho deciso di confrontarmi con il repertorio più creativo e visionario dei Gentle Giant, sono stato attratto in primo luogo dalle tecniche compositive utilizzate, quindi il fatto che il repertorio fosse quasi interamente scritto e fortemente strutturato non ha rappresentato un problema, anzi mi ha aiutato nel mettere a fuoco l'intero lavoro di rielaborazione dei materiali che avevo a disposizione.

AAJ: Hai intenzione di estendere il lavoro di rilettura del repertorio dei Gentle Giant ad altre composizioni del gruppo o di altri gruppi della scena progressive britannica? O pensi di ritornare nel solco di lavori più tradizionali e maggiormente fedeli al jazz?

A.A.: Oltre all'intero Acquiring the Taste realizzato come Cd allegato al libro, ho già esteso il lavoro di rilettura del repertorio dei Gentle Giant ad altre composizioni del gruppo, per un totale di 14 brani (uno è stato arrangiato dal flautista Pino Capomolla). Sinceramente non saprei dirti se in futuro avrò l'occasione di cimentarmi con ulteriori repertori legati al progressive rock, molto dipenderà dagli stimoli e dalle circostanze. Nella mia cultura musicale, il jazz, nelle sue molteplici varianti, rimane il linguaggio di riferimento (vorrei ricordare il lungo percorso artistico, in trio, con il percussionista Mauro Orselli e il contrabbassista Sandro Lalla), ma non mancano altri interessi, che a volte, come nel caso dei Gentle Giant, riaffiorano e si manifestano nuovamente. Recentemente mi sono riavvicinato alla musica colta contemporanea attraverso il repertorio di Giacinto Scelsi. Ho avuto modo di conoscere e suonare con la grande cantante giapponese Michiko Hirayama e non è da escludere che tracce di questa esperienza possano confluire in un prossimo lavoro.

AAJ: Quali sono i tuoi futuri progetti discografici e dal vivo?

A.A.: In Italia è veramente difficile programmare un minimo di attività, suonare con una regolarità e avere un'adeguata considerazione per musicisti come il sottoscritto e formazioni come l'Ibrido. Mi rendo conto che non è questa la sede per affrontare un argomento simile, ma rimane la convinzione che qualsiasi idea o proposta, anche la più originale, si scontra inevitabilmente, almeno per me, con la realtà dei fatti. Comunque, anche noi teniamo duro (tra l'altro, recentemente siamo entrati in contatto con un management, l'Artupart) e per rispondere alla tua domanda, stiamo valutando, con il gruppo, l'idea di un nuovo lavoro discografico che sappia coniugare vecchie e nuove ibridazioni sonore. Dal vivo ci attendono una serie di concerti, a giugno, con i due ex Gentle Giant, Gary Green (chitarra) e Malcolm Mortimore (batteria), il 4 a Lugagnano di Sona (Verona), al Club Il Giardino e il 5 a Roma, al Jailbreak. In realtà si tratta di una narrazione sonora iniziata l'anno scorso, in occasione della pubblicazione del mio libro e che abbiamo deciso di riprendere quest'anno, vista la disponibilità artistica e umana dei due musicisti inglesi. L'inedito ottetto produce una miscela elettroacustica, disegnata sul repertorio più visionario dei Gentle Giant, in cui convivono rock, blues, jazz e schegge di musica colta.

AAJ: Pensi che un lavoro come il tuo contribuisca ad abbattere le barriere tra generi e in fondo avvicinare al jazz un nuovo pubblico?

A.A.: È difficile rispondere compiutamente alla tua domanda, anche perché si tratta di questioni annose e piuttosto complesse. Comunque, per quanto riguarda il libro (è uscita recentemente la prima ristampa), la sua pubblicazione colma un vuoto importante, visto che in Italia non ci sono molti testi sul progressive e lo colma, mi permetto di dire, in modo significativo, oltre che per l'aspetto divulgativo, anche e soprattutto per la qualità della proposta editoriale. Rispetto all'attività concertistica, indubbiamente l'ottetto con Gary e Malcolm è una formazione in grado di attirare un pubblico composito e aperto al superamento dei generi. Certo, per capire gli umori della gente, è importante anche il contesto in cui proponi l'evento e sinora abbiamo suonato e suoneremo ancora, in situazioni e ambienti più vicini al mondo del rock, al cospetto di un pubblico sicuramente legato alla musica dei Gentle Giant ma nello stesso tempo attento, partecipe e ben disposto verso una proposta in ogni caso diversa rispetto all'originale. Aggiungo che per ora non ho avuto modo, purtroppo, di sperimentare l'impatto della band in manifestazioni e rassegne di tipo jazzistico (mi auguro che prima o poi ciò avvenga), per cui non sono in grado di valutare in modo più esaustivo ciò che mi chiedi nella seconda parte della domanda.

AAJ: Ci sono secondo te altri esempi di gruppi o compositori provenienti dal mondo del jazz che hanno saputo amalgamare con intelligenza la loro cultura musicale con quelle di altri mondi come quelli del progressive o del rock?

A.A.: Lo scenario musicale contemporaneo è dominato, nel bene e nel male, da continue ibridazioni sonore, per cui è inevitabile che vi siano collisioni tra i due mondi. A pensarci bene proprio l'Italia offre in tal senso un panorama di proposte, variegato e complessivamente piuttosto interessante. Mi vengono in mente, tra gli altri, Gatto (progressive in generale), Bollani e Fassi (Zappa), Marcotulli (Pink Floyd), Bearzatti (Led Zeppelin, Soundgarden), Doctor 3 (Beatles), Falzone (Hendrix), De Vito (Mitchell)... insomma, sono in buona compagnia.

AAJ: Per finire, tu sei un apprezzato docente. Come hai calato questa avventura fuori dagli schemi classici nella tua attività d'insegnamento?

A.A.: Insegno musica nelle scuole superiori da tantissimi anni e sono titolare di una cattedra, da oltre dieci anni, in un liceo romano. Il lavoro con i giovani è difficile, faticoso ma molto stimolante. Il mio è difatti un laboratorio permanente in cui si suona, si discute, si elaborano idee, proposte, in un continuo processo dialettico. Certamente anche questa avventura è confluita nel nostro lavoro quotidiano: abbiamo letto e "ascoltato" insieme il libro, individuato percorsi storici, culturali e linguistici, estrapolato frammenti melodici e ritmici su cui improvvisare ed elaborare nuove composizioni. Insomma, un'avventura nell'avventura che mi ha ulteriormente confermato l'alto valore educativo e formativo che l'insegnamento della musica, intesa come capacità di sapersi esprimere e comunicare attraverso i suoni, ha all'interno di un sistema scolastico. Purtroppo, e mi dispiace chiudere questa gradita intervista con una nota decisamente stonata, dal prossimo anno, grazie alla riforma dei cicli della signora Gelmini, la musica cesserà di esistere come materia d'insegnamento nelle scuole superiori e di conseguenza la mia attuale cattedra, come per incanto, sparirà.

Foto di Luca Fiaccavento (la prima e l'ultima), Loretta Sedran (la seconda), Fabrizio Giammarco (la terza).


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