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James Brown: I Feel Good – L'Autobiografia
I Feel Good - L'Autobiografia
Minimum Fax - 2006 - 225 p. - 13 euro
È un genere che appassiona e respinge al tempo stesso, l'autobiografia di musicisti famosi, un romanzo su se stessi [per ogni autobiografia è così, anche quelle di perfetti sconosciuti], un [re]inventarsi dentro un continuo gioco di specchi che è la continuazione dell'eterno riflettersi nei tanti pubblici che la carriera di un artista si trova a affrontare.
A complicare ulteriormente le cose dal punto di vista prospettico ci si mette anche la circostanza che la quasi totalità delle cosiddette autobiografie sono scritte da altri. Più o meno apertamente, più o meno accreditate, in un ruolo che va da quello maieutico del giornalista che pazientemente passa mesi accanto al musicista e lentamente ne collaziona i frammenti della vita dalle sue stesse parole a quello più prosaico del ghost writer.
Vi capiterà così, qualora ne leggiate più di una a distanza di poco tempo, di notare come stilisticamente e per impianto, ci siano delle caratteristiche comuni, delle formule espressive condivise, dei meccanismi evidentemente oliati e efficaci per portare a termine con successo la narrazione di vite spesso complicatissime e - è comprensibile - dal ritmo piuttosto ingarbugliato.
Una sensazione che a tratti accompagna anche la lettura di questa autobiografia di James Brown, scritta recentemente e tempestivamente tradotta da Minimum Fax [a cura dello scrittore Francesco Pacifico, lo stesso che ha tradotto quella di Ray Charles... sarà per questo che il ritmo mi è sembrato simile in diverse parti?], duecento agili paginette in cui il "padrino del soul" attraversa la propria stupefacente carriera.
Non c'è dubbio che quella di James Brown - a prescindere, ma non troppo, dagli straordinari meriti artistici - sia una vita, non solo ricca di aneddoti e avventure, ma anche per molti versi esemplare delle tante contraddizioni della cultura afroamericana degli ultimi cinquant'anni, delle dinamiche tra popolarità e genuinità, delle stesse deformazioni dello star system e dell'essere un divo, non importa che musica tu faccia, per ritrovarsi clamorosamente a definire meglio di ogni altra cosa la stessa identità nera.
Dalla nascita in una baracca del South Carolina, passando per l'incontro con Little Richard, i primi successi con i Flames con la mitica "Please, Please, Please", le notti all'Apollo Theatre - dalla penultima delle quali è tratto uno dei dischi più intensi che vi possa capitare di mettere sul vostro piatto/lettore cd/i-pod - i trionfi degli anni Sessanta...
Da quel momento la vita di Brown, fino ad allora tutto sommato - con alti e bassi - lineare nella sua corsa al successo e al "sogno americano", deflagra pubblicamente e Brown ce ne dà ampiamente testimonianza, sebbene di parte, sebbene con stile un po' guascone e populista che non può dare conto delle profonde implicazioni sociali e psicologiche. I flirt con vari candidati politici bianchi, le severe contestazioni, il Vietnam, quella paradigmatica vicenda che lo lega alla morte di Martin Luther King, con un suo concerto in tv che distoglie la rabbia nera dalle strade [prove tecniche del rimbambimento catodico a venire o commovente forza della musica e della pace?], quella "Say It Loud, I'm Black And I'm Proud" canzone a doppio taglio, la tragica morte del figlio Teddy...
Arrivano così i controversi anni Settanta - poco o nulla si dice della musica, ma compagni di viaggio come Maceo Parker, Fred Wesley e poi Bootsy Collins e compagnia non sono cose di secondo piano! - e gli alti e bassi economici, per arrivare alla rinascita pubblica con il successo del film The Blues Brothers, le tristi vicende giudiziarie degli ultimi anni e l'alternarsi di riconoscimenti e esaltazione ad episodi ben più tristi.
Nell'ultima parte del libro Brown spende diverse pagine per dire la sua [il tono è sempre quello un po' guappo che si addice ad ogni buon "godfather"] sul mercato discografico, sul rap e l'hip-hop, cui deve parte della ulteriore "mitizzazione" del suo personaggio, finendo con una sorta di esaltazione dell'America, in un calderone in cui tutti sono parecchio "fichi" e ovviamente buoni amici suoi, ognuno con una frase da film noir da giocarsi e un buon consiglio da farsi dare, da Reagan al Papa.
Dopo tutto solo in America poteva svolgersi una storia personale e artistica come quella di James Brown, una vicenda di innocenza [mai] perduta e di urlo che viene dall'anima, una vicenda che ci ha dato alcune delle canzoni e performance più indimenticabili di sempre!
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