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Intervista con Christian Wallumrød

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Volevo che l'improvvisazione fosse una componente, ma non nel senso che ci sarebbero dovuti essere tanti assoli alla maniera del buon vecchio jazz, perché questo ormai mi risultava tremendamente noioso e poco interessante, volevo cercare un buon mix...
Nato nel '71 e cresciuto a Kongsberg, nell'entroterra a sud della Norvegia, ha iniziato a studiare pianoforte a dodici anni e scoperto il jazz a 15, grazie al maestro Egil Kapstad. È Christian Wallumrød, raffinato e colto esponente della scena contemporanea norvegese.

Ha debuttato nel '98 per la ECM con No Birch assieme ai connazionali Arve Henriksen e Hans-Kristian Kjos Sørensen, ma da sempre esplora in più direzioni - dall'elettro-funk di "Close Erase" con Ingebrigt Flaten e Per Oddvar Johansen, all'elettronica sperimentale di "Merriwinkle" di Sidsel Endresen, e di "Generator X" di Audun Kleive, fino ai progetti di area contemporanea colta a proprio nome, con Dans Les Arbres (con Xavier Charles, Ivar Grydeland e Ingar Zach) e Eivind Buene e la Oslo Sinfonietta.

Il suo ultimo ensemble, con cui ha da poco pubblicato Fabula Suite Lugano per ECM, è un sestetto e nasce dall'incontro del leader con l'arpista svizzera Giovanna Pessi e dalla volontà di accostare il pianoforte all'arpa barocca, dando seguito al percorso avviato nel 2000 con la finlandese Iro Haarla ed una naturale evoluzione che aveva registrato due anni orsono The Zoo is Far . Lavoro che vira sensibilmente verso la contemporanea colta e si allontana dal folk, privilegiando la scrittura all'improvvisazione.

In dieci anni di carriera, Wallumrød ha via via ridotto le collaborazioni da sideman e l'uso di elettronica e amplificazione, concentrandosi sui suoi progetti (Ensemble e Dans les Arbres) alla continua ricerca di sfumature timbriche e nell'esplorazione delle sonorità acustiche attraverso lunghi e lenti processi di cambiamento.

Fabula Suite Lugano è stato registrato nell'auditorium della Radio Svizzera di Lugano: lì l'ensemble e il produttore Manfred Eicher si erano chiusi alla ricerca di trasporto, di un "momentum" - come lo ha definito Manfred Eicher - e, dopo alcuni giorni di duro lavoro e forte pressione, l'eccellente risultato li ha ampiamente ripagati degli sforzi fatti.

La musica di Wallumrød ha un'estetica inconfondibile che incanta per sintesi ed equilibrio nei contrasti e ne fa uno degli elementi più interessanti della scena europea contemporanea. Stupisce come composizioni così apparentemente calme e tranquille riescano a evocare una forza e intensità emotive di tale profondità.

Lo abbiamo incontrato durante NovaraJazz 2009, a pochi giorni dalla registrazione, e gli abbiamo chiesto di raccontarci qualcosa su questo nuovo lavoro.

All About Jazz: Puoi dirci qualcosa di Fabula Suite Lugano? In cosa pensi sia diverso dal precedente The Zoo Is Far?

Christian Wallumrød: È sempre difficile dire cosa c'è di diverso tra due lavori consecutivi perché spesso c'è un filo conduttore a legarli, come in questo caso. Si tratta di un processo costante, evolutivo, che a partire da The Zoo Is Far mi ha portato ad esplorare e sviluppare le possibilità di un ensemble come il mio, soprattutto per quello che riguarda le persone e gli strumenti.

Ed è stato dagli aspetti strumentali che ho iniziato, concentrandomi su violino e violoncello e lavorando con il materiale sonoro come se si trattasse di qualcosa di idiomatico per lo strumento, cercando una continua evoluzione, come un remix, come punto di partenza.

AAJ: Hai iniziato a lavorare alla realizzazione di questo album di recente?

C.W.: No, ho iniziato a scrivere appena terminato l'album precedente, per cui ci ho lavorato per almeno due anni, o forse più.

AAJ: È stato un lungo processo?

C.W.: Sì, abbiamo iniziato a provare buona parte del materiale nel 2007 e l'abbiamo suonato per la prima volta nel settembre 2008, dal vivo. Era da poco arrivato il nuovo trombettista, Eivind Lønning, e ci siamo concentrati particolarmente sulla preparazione del debutto visto che si trattava di un repertorio nuovo e di un significativo cambio di formazione.

AAJ: Puoi sintetizzare la tua carriera dalle origini ad oggi?

C.W.: Ho iniziato a interessarmi di jazz da giovanissimo, anche se allora ascoltavo principalmente musica da chiesa e pop, credo anzi sia stato proprio questo il mio background musicale.

Poi ho iniziato a concentrarmi sulla musica jazz che trovavo interessante per ragioni armoniche e ritmiche. È da questo che è poi scaturito il periodo al conservatorio di Trondheim dove nel 1992 ho avuto la fortuna di conoscere persone straordinarie e per me fino ad allora estranee, come Trigve Seim e Arve Henriksen.

Penso che sia stato un momento fondamentale perché abbiamo iniziato a suonare da subito e questo ha dettato la direzione del mio percorso per molti anni: da lì sono venute la conoscenza e la frequentazione con Supersilent, Farmers Market e poi The Source, Atomic - progetti e persone che hanno avuto un ruolo fondamentale nella mia crescita di giovane musicista.

Il conservatorio è diventato luogo naturale dove stare e lavorare con il jazz, con un interesse via via sempre più accentuato per l'improvvisazione e la sua pratica: l'improvvisazione è anzi diventata, strada facendo, sempre più importante, e lavorarci così assiduamente mi ha fatto capire quanto fosse connessa alla composizione. Intendo dire che l'improvvisazione è composizione, e tutte queste cose - il conservatorio, gli incontri e alcune persone speciali - mi hanno spinto a sperimentare sempre più e mi hanno mostrato diversi generi di musica e diverse modalità di approccio.

AAJ: Come è avvenuto l'incontro con Manfred Eicher?

C.W.: Era il 1994. Io, Arve Henriksen e Elbjorg Raknes (cantante, sorella del bassista Steinar - N.d.R.) avevamo costituito un trio dai tempi del conservatorio e volevamo registrare qualcosa assieme. In quel periodo avevo appena registrato Airamero, con Trigve Seim, Johannes Eick e Per Oddvar Johansen al Rainbow Studio di Jan Erik Kongshaug, e forse fu proprio lui a parlare di noi a Manfred, oppure Jon Balke e Nils Petter Molvaer, fatto sta che lui era a conoscenza del nostro lavoro.

AAJ: In effetti Manfred è molto legato a Erik e al Rainbow Studio...

C.W.: Verissimo. È stato un luogo molto importante per larga parte della storia ECM, anche se, sorprendentemente, molti album norvegesi non sono stati registrati lì. Ad un certo punto fu Arve a prendere l'iniziativa e decise di fare qualcosa per trio, ma con un percussionista classico. Cercammo di proporre la cosa a Manfred. Ci sembrava un progetto molto in linea con l'estetica della sua etichetta, e fu così che nacque No Birtch.

AAJ: E poi?

C.W.: È stato un processo lento perché il lavoro con quel trio era fondamentalmente di musica improvvisata, così quando suonavamo queste melodie in studio - fondamentale per la riuscita dell'album - era la prima volta che eseguivamo del materiale composto e la cosa sembrava non funzionare musicalmente. Per fortuna però poi siamo riusciti a registrarlo. Da allora, era il '98, il trio non ha più lavorato. Io avrei davvero voluto continuare con questo genere di approccio alla musica, anche perché il trio mi aveva realmente aperto le porte di un nuovo mondo, e così iniziai a scrivere qualcosa e a improvvisarci sopra.

AAJ: Cercavi di sviluppare il materiale composto attraverso l'improvvisazione in studio?

C.W.: Sì, ma non sapevo bene come, quindi iniziai a collaborare con Iro Haarla, Håvard Lund (il clarinettista della band di Trigve Seim) e poi con Ingar Zach. Suonammo un paio di concerti in trio prima di costituire il quartetto con Arve, Nils Okland e Per-Oddvar Johansen. Il quartetto nacque grazie ad alcune indicazioni di Manfred che mi consigliò Nils - e fu un ottimo suggerimento. Finalmente avevo di formazione per iniziare a lavorare col suono.

Con Arve e Per Oddvar suonavo ormai da molto tempo, volevo continuare a farlo e cercai di trovare il modo giusto di scrivere del materiale su cui poi improvvisare, però non volevo che fosse solo improvvisazione. Volevo che l'improvvisazione fosse una componente, ma non nel senso che ci sarebbero dovuti essere tanti assoli alla maniera del buon vecchio jazz, perché questo ormai mi risultava tremendamente noioso e poco interessante, volevo cercare un buon mix di questi elementi. Abbiamo lavorato parecchio su questo col quartetto, è stata una cosa del tutto nuova per noi, si trattava di lavorare in quasi totale assenza di ritmo. Su un materiale quasi "silenzioso".

AAJ: Calmo?

C.W.: Sì, calmo, e fatto di sole sonorità acustiche. L'ensemble è andato avanti per quasi 10 anni con modalità abbastanza anomale per il jazz, basate sull'incontro degli strumenti, la loro esplorazione, la loro combinazione.

AAJ: Esplorando la timbrica di ogni strumento, una modalità più da musica da camera che da jazz?

C.W.: Sì. All'inizio non ero nemmeno consapevole di quale sarebbe stato l'impatto su di me. Fu un esperienza sorprendente dopo anni di amplificazione: amplificare va benissimo ma rischiava di diventare un abitudine, rischiavamo di finire con l'amplificarci sempre senza una ragione precisa, senza che ci chiedessimo nemmeno più perché lo facevamo. Questo però non significa che non mi sia interessato all'elettronica, lungo il percorso ho lavorato parecchio con sonorità elettroniche, credo però che non sia una questione di volume ma di cosa stai facendo musicalmente.

AAJ: E il barocco come ti è venuto in mente?

C.W.: Ho incontrato Giovanna Pessi, mi parlò dell'Arpa Barocca e mi parve subito molto interessante. Non ne sapevo nulla e pensai che sarebbe stata una buona opportunità, così ci mettemmo d'accordo per iniziare a fare qualcosa assieme. Iniziai a scrivere qualcosa per il suo strumento e mi venne naturale pensare a un ensemble un po' allargato rispetto al quartetto. Pensai a un violoncello, e fu così che gli strumenti a corda iniziarono ad avere ruolo determinante.

Al tempo conoscevo Tanja Orning per i lavori che aveva fatto (rock, impro, classica, contemporanea): una musicista estremamente versatile. Le chiesi di unirsi al progetto. Iniziai a scrivere subito dopo la registrazione di Year From Easter con il quartetto. Ma con questi cambiamenti Nils ha iniziato a non sentirsi più a suo agio perché il repertorio s'era fatto troppo composto rispetto all'ultimo periodo del quartetto.

AAJ: Il sestetto è più concentrato sulla composizione: è questo che gli risulta poco congeniale?

C.W.: Sì, lui preferisce ruoli con maggiore libertà, ma fortunatamente diverse persone mi avevano consigliato questo giovane violinista, Gjermun Larsen, molto bravo e dalla mentalità assai aperta. Anche lui suonava molto folk, violino, hardanger fiddle e viola, ed è così che le cose si sono sistemate molto naturalmente, grazie anche a una personalità molto diversa.

Trovo estremamente interessante che sestetto e quartetto coesistano, mostrando grande diversità di approccio e musicalità.

AAJ: I gruppi sono diversi per musicalità e attitudine, o per abilità dei componenti?

C.W.: È stato determinante il modo in cui si sono conosciuti i vari componenti. Con questo ensemble abbiamo trascorso molto tempo assieme per questo lavoro, è stato un processo molto lungo e interessante, pieno di soddisfazioni. Ne parlavo ieri con Emanuele Maniscalco e gli raccontavo di come due anni fa ho conosciuto Eivind: lui ed Espen Reinertsen mi chiesero di ascoltare un loro lavoro in duo, "Streifenjunko". Mi chiesero anche di partecipare alla produzione del progetto e di suonare assieme in un concerto a Oslo con piano preparato. Era da poco che Arve aveva deciso di lasciare il sestetto e di rimanere solo per il quartetto, circa un anno fa, quindi incontrare Eivind è stata una vera fortuna: pensai di aver trovato la probabile soluzione al problema.

AAJ: Sei soddisfatto della registrazione? È come te l'aspettavi?

C.W.: Sì, sono molto contento della registrazione. Mi sentivo pronto, eravamo ben preparati per la registrazione e grazie a Manfred abbiamo raggiunto uno stato ottimale per l'ensemble nell'Auditorium di Lugano.

AAJ: Com'è il rapporto con Manfred Eicher in studio, c'è molta pressione?

C.W.: No, Manfred è di grande aiuto in studio. I musicisti hanno la tendenza a credere di sapere cosa devono fare, ma durante la registrazione le sue grandi doti di ascoltatore e un'analisi incredibilmente veloce rendono chiare ed evidenti le sfumature e cosa non funziona musicalmente nell'esecuzione appena registrata. I brani subiscono un'autentica evoluzione grazie all'ascolto della musica con la qualità e la precisione sonora che Manfred esige, e dell'auditorium, questo ha un ruolo determinante nell'esecuzione della seconda o terza take...

AAJ: Hai altri progetti futuri? Hai già scritto qualcosa per il prossimo lavoro?

C.W.: No, per il momento non ho ancora in programma una nuova registrazione, ma sicuramente inizierò a breve a lavorare su del nuovo materiale. Per ora non vedo l'ora di pubblicare questo lavoro e iniziare a suonare con l'ensemble dal vivo.

Foto di Roberto Cifarelli, tranne la quarta di Luca Vitali.

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