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Intervista a Umberto Petrin
ByMetr(i)o, del jazz e della poesia
Il Métr(i)o mi riporta agli esordi. Ho un bellissimo ricordo di quegli anni in cui formai, insieme agli amici Franco Finocchiaro (contrabbassista) e Stefano Bagnoli (batterista), questo trio con il quale, nel 1987, realizzai il mio primo disco, Jazz and Poetry Session, l'unico LP della mia vita. Era un periodo in cui suonavamo spesso insieme, nei locali storici di Milano, il Capolinea, le Scimmie, il Club Due... che ora sono solo reminiscenze di una città che sembra essersi spenta. In quell'album univamo brani originali ad alcuni testi poetici. Già da allora pensavo ad un sincretismo tra il linguaggio del Jazz e gli altri linguaggi dell'Arte e proprio in quegli anni ero attivamente impegnato anche nel campo della Poesia contemporanea, pubblicavo molto sulle riviste letterarie, facevo letture pubbliche insieme a poeti famosi come Milo De Angelis, Giancarlo Majorino, Tomaso Kemeny... e difatti l'ospite di Jazz and Poetry Session è proprio un nome importante della Poesia Sonora internazionale, purtroppo scomparso da anni, Luigi Pasotelli, un amico che conobbi attraverso la frequentazione del gruppo di TamTam, importante rivista diretta da Adriano Spatola.
Monk mon amour
La prima volta che ascoltai un disco di Monk mi addormentai. Poi divenne un amore definitivo.
L'ho studiato ed analizzato. E' un autore complesso che lascia spazio al continuo approfondimento, che si trasforma in approfondimento delle proprie idee interpretative. Per questo motivo in molti dei miei CD sono presenti brani di Monk, compreso questo album in solo (A Dawn Will Come), appena pubblicato per Leo Records, in cui eseguo "St. Francisco Holiday". Senza poi tralasciare Monk's World, del 1997, che ottenne un considerevole successo anche all'estero. Ricordo un episodio accaduto al Festival di Montréal, in cui mi trovavo con l'Instabile Orchestra. Passando vicino all'ingresso del teatro prima del concerto, vidi due persone che alla cassa chiedevano di quel CD. Il titolo deriva da una poesia che mi regalò Amiri Baraka dopo aver ascoltato un'anteprima dell'album, passatagli dal comune amico, altro poeta, Paul Vangelisti. Baraka mi fece molti complimenti per questo lavoro e così mi diede la poesia, "Monk's World" appunto.
Molti poi ricorderanno il récital che insieme a Stefano Benni dedicammo a Monk, intitolato "Misterioso" e pubblicato in DVD da Feltrinelli. Ancora oggi lo rieseguiamo di tanto in tanto, dopo 10 anni esatti dalla "prima," e ancora ci emoziona, dopo circa 80 repliche sia in Italia che all'estero.
Tiziana e Guido
A questi due nomi è legata buona parte della mia vita artistica successiva al periodo del Métr(i)o. Da queste esperienze nasce e si estende la mia maturazione artistica.
Il 1989 è l'anno in cui inizio a suonare stabilmente sia con Tiziana Ghiglioni che con Guido Mazzon. Sicuramente un salto molto importante per quanto concerne la crescita artistica e lo sviluppo del mio personale linguaggio improvvisativo. Con Guido ricordo il duo (divenuto poi anche trio con il supporto percussivo di Tiziano Tononi) col quale esploravamo una sorta di "No Man's Land," confluito poi nel CD Other Line, che ancora oggi di tanto in tanto ascolto e che sempre mi stupisce, soprattutto se confrontato all'appiattimento culturale ed artistico al quale assistiamo in questi anni in Italia.
La collaborazione assidua con Tiziana (con cui ho suonato in formazioni che andavano dal duo al quintetto) è stata preziosa e fondamentale. Solo per questo argomento potrei scrivere molte pagine. In modo particolare però ricordo il lungo e intenso periodo al quale lavorammo per la realizzazione di S.O.N.B. (1992), imperniato particolarmente su temi di Steve Lacy (che poi fu ospite del CD, insieme a Rava, Schiaffini e Trovesi) e Ornette Coleman.
Provavamo assiduamente, soprattutto lei ed io, discutevamo sugli arrangiamenti, sulla scelta dei temi, sulle formazioni. Il passo successivo è ancora attuale, il Tenco Project, in quartetto con Fresu e Trovesi. Tre anni (dal '93 al '96, anno in cui conclusi la collaborazione con Tiziana, lasciando inalterata l'amicizia e la reciproca stima che ancora condividiamo) di grande attività concertistica, un CD di successo di cui ancora qualcuno parla, un'operazione artistica che evidentemente un segno lo ha lasciato.
Tim e Gianluigi
Nel frattempo stava prendendo forma un'idea di duo di cui parlavamo Trovesi ed io e che divenne poi una realtà assidua, soprattutto a partire dall'anno 2000. Negli anni tra il 1996 ed il 2000 avevo pensato ad un trio con cui realizzare le mie idee compositive ed improvvisative. Dopo un'esperienza con Tononi alla batteria e Daniele Patumi al contrabbasso, avevo rifondato stabilmente la formazione con l'apporto dei "nuovi talenti" Giovanni Maier e Roberto Dani (allora ancora poco conosciuti). Con loro trovai un equilibrio ideale, che confluì nella realizzazione degli album Ellissi (1999) e Voir Loin (2000).
In Ellissi ebbi l'idea di invitare un sassofonista che per me rappresentava una nuova frontiera dell'improvvisazione e della scrittura: Tim Berne. Fu un incontro estremamente stimolante: Tim reagiva ai miei temi esattamente come pensavo ed il risultato fu notevole. Ricordo anche che ebbi l'ultima idea tematica la mattina del secondo giorno di registrazione (nel pomeriggio sarebbe giunto Tim per incidere con noi): scrissi il tema in camera dell'hotel, prima di scendere. Dopo quell'album incontrai nuovamente Tim pochi anni dopo per un concerto in duo in cui presentavamo temi di entrambi e fu un'esperienza esaltante di "scambi di scrittura," non saprei come definirlo altrimenti, data la complessità dei temi che avevamo scritto.
Ed eccoci a Trovesi. Il nostro incontro risale al 1991/92 in occasione della registrazione di S.O.N.B., già citato. Da allora Gianluigi si unì più stabilmente al gruppo di Tiziana e poi durante l'intensa l'esperienza con il Tenco Project iniziammo a pensare ad un'idea di duo concretizzatosi ufficialmente nel 1999/2000 e che dopo molti concerti si è allargato a trio con Fulvio Maras, col quale abbiamo realizzato Vaghissimo ritratto (ECM 2007) e compiuto altri concerti e brevi tour in Italia ed all'estero. Gianluigi è per me una persona preziosissima, gli ho chiesto consigli, è un amico di cui mi fido, un musicista che stimo da sempre, una persona che sa fondere ironia e profondità in modo inimitabile, sia nella dialettica che nella musica, un grande artista. Con lui ho potuto affrontare l'improvvisazione da un punto di vista diverso, avendo a che fare con temi della musica antica. Ho portato a compimento un processo che iniziò nel 1994, anno in cui (per citare un'altra collaborazione fondamentale per me) realizzai Breaths and Whispers, un omaggio a Skrjabin in duo con Lee Konitz, per l'etichetta Philology.
L'esperienza Instabile
Questa avventura è durata dodici anni. Sono arrivato all'Instabile nel 1997 ed ho avuto la fortuna di vivere il periodo d'oro di questa formazione, i tour all'estero, l'emozione sul palco, le amicizie, i dissapori... tutto. E mi restano bellissime immagini di questa grande esperienza.
Con l'Instabile ho avuto modo di incontrare altri grandi artisti, come ad esempio Willem Breuker, Cecil Taylor, Anthony Braxton, Lester Bowie... situazioni sempre diverse e stimolanti. Sul palco accadeva sempre qualcosa di imprevedibile, c'era una spinta che sembrava non esaurirsi ed il pubblico rispondeva sempre con entusiasmo. I quei momenti un sogno si avverava.
Poi il tempo ha deciso di portarci via alcuni dei componenti ed uno in particolare, Mario Schiano, insostituibile. Prima di lasciarci, dopo l'ultimo concerto che fece con noi, io lo salutai, gli dissi, imitando la sua voce (lo facevo spesso, per scherzare): "Mi raccomando, faccia in fretta, l'aspettiamo..." (o qualcosa di simile) e lui mi rispose, guardandomi fisso negli occhi: "Caro maestro, eh... stavolta ci siamo... siamo arrivati...". Non lo dimenticherò mai. Poco a poco tutto stava cambiando in modo inesorabile. Nel 2009 mi staccai dall'Instabile, ma ammiro sempre questa formazione, che ha sicuramente lasciato il segno, sia tra i suoi estimatori che tra i detrattori, e che ancora ha da dire.
The Art of the Improviser
Ho sempre pensato all'improvvisazione come ad una pratica che presume controllo e consapevolezza. E' lo stesso modo con cui si gestisce la libertà. Inoltre il linguaggio improvvisativo è la risultante di un pensiero estetico, di una serie di prospettive che per me risiedono nella frequentazione dell'Arte, nelle letture, nell'approfondimento del Pensiero, nel modo di vivere e nelle manifestazioni delle passioni. Forse oggi è difficile far passare questa visione, ove "the art of the improviser" si confonde con "the art of the entertainer," che pure è un'arte, ma la prima troppo frequentemente viene sacrificata a beneficio della seconda. Io credo che invece entrambe possano convivere in equilibrio ed ho ancora fiducia in un pubblico che non ricerca solo stupore ma anche emozione a livello più profondo. Tutti gli artisti (noterai che non dico musicisti, perché per me qualcuno che esprima idee profonde non è solo un musicista, bensì un artista, un Poeta...) con cui ho avuto il privilegio di "lavorare," alcuni già citati, ma anche alcuni poco noti o sconosciuti, hanno comunque influenzato il mio modo di suonare.
C'è una storia, ma è troppo lunga, la scriverò un giorno... qui la sintetizzo: conobbi alla fine degli anni '80 in un locale di Milano, il Caffè Margherita, dove suonavo all'epoca del Métr(i)o, uno scrittore di romanzi gialli. Ora so che si chiamava Carlo Brera (lo so ora dopo una serie incredibile di coincidenze). Una sera mi chiese se poteva suonare per me un pezzo prima che ci si salutasse. Non era un pianista, ma il modo in cui suonò "Lonely Woman" di Coleman è stata una folgorazione! Da allora io ho cambiato qualcosa nel mio stile grazie a Carlo (che era tra l'altro il figlio del celebre Gianni Brera).
Devo comunque confessare che personalmente tendo a costruire l'improvvisazione secondo sistemi che appartengono più alla Letteratura che alla Musica in senso stretto, forse per una sorta di familiarità con quel linguaggio. In certi casi, invece, penso alle installazioni di alcuni artisti contemporanei, oppure ad alcune opere d'Arte che sono per me punti di riferimento (per citare alcuni nomi tra gli altri: Barnett Newman, Ad Reinhardt, Joseph Beuys).
E proprio intorno a queste idee è concepito l'ultimo lavoro discografico in solo. In questo album metto in gioco il mio rapporto con l'Arte contemporanea e la performance (la registrazione è stata anche filmata, per conto di una importante galleria d'Arte, perchè durante la seduta realizzavo alcune piccole performances in studio, in una sala della Casa della Musica di Genova, e questo costituirà un materiale che completerò poi in galleria).
Jacques Brel e gli altri
Sulla scia di Tenco, fui invitato dal Festival Musicultura di Recanati per costruire un omaggio a Brel. Ovviamente accettai, l'amore per la Poesia già mi aveva avvicinato agli chansonniers, Brel, Ferré, Brassens. A distanza poi di parecchi anni mi sono ritrovato ad affrontare ancora il programma su Brel, insieme ad un quartetto d'archi per il quale ho scritto gli arrangiamenti, ricostruendo alcuni temi del belga, scrivendo preludi o interludi originali e ricavando dal tutto alcune strutture per l'improvvisazione. Il quartetto è il "Brera Consort" ed il fondatore è Feyzi Brera, conosciuto casualmente, ma nipote di quel Carlo Brera di cui parlavo prima.
Il progetto è stato presentato ufficialmente a Novara Jazz 2009 ed ha avuto un seguito di diversi concerti. Ricevo peraltro, con una certa costanza, lettere sul sito web che mi chiedono il CD. Lo registrerò il prossimo autunno ed uscirà nel 2012 per l'etichetta "My Favorite" di Patrizio Romano, con tre formazioni: piano con quartetto d'archi, trio con chitarra e percussioni, piano solo.
The Waste Land (La terra desolata)
Era un'idea che rincorrevamo da anni ed ora è un CD audiolibro. Un altro importante capitolo della mia collaborazione con Stefano Benni. In questo lavoro ho avuto il privilegio di mettermi al servizio della Poesia assoluta, di quel testo estremamente complesso, multiritmico e multicolore che il genio di Eliot è riuscito a comporre. E' stato come scardinare un forziere pieno di voci. Ho quindi scritto le musiche pensando di ricontestualizzare i testi, c'erano punti in cui si sentiva un gospel, altri in cui si potevano rappare i versi, altri ancora in cui tutto si elevava verso il puro canto. Una meraviglia !
Alla fine, dopo aver riascoltato la registrazione, commosso, Stefano mi ha abbracciato dicendo: Questa cosa non la dimenticherò per tutta la vita !
Lo spero, perché lui si è messo in gioco recitando, cantando, rappando. Quello che abbiamo realizzato, grazie anche alla partecipazione di suo figlio Niclas alle chitarre e di Carlo Garofalo alle percussioni, potrà piacere ad alcuni, altri invece potrebbero dissentire... ma certamente per noi è stata una fatica e per me una fortuna, dal momento che per un attimo (lo ricordo bene) sono riuscito a toccarla, la Poesia...
I forzuti suonati da Petrin (e del cinema in genere)
La collaborazione con la Fondazione Cineteca di Milano mi ha avvicinato al genere del concerto con film muto. La definizione di "concerto con film" non è casuale. Infatti ho sempre concepito la musica come predominante, sebbene l'uso delle immagini filmiche mi permetta di variare le dinamiche in modo a volte repentino e di far gradire al pubblico anche sonorità che altrimenti risulterebbero forse piuttosto ostiche. Anche attraverso questa pratica ho avuto spunti per modificare il mio linguaggio improvvisativo. Il progetto su "I forzuti," che da anni eseguo (credo di averlo replicato almeno 15 o 20 volte, sia nei festival Jazz che in rassegne varie) si basa su 5 frammenti di storici film in cui compaiono i primi "forzuti," gli antenati di Conan o Rambo, che all'epoca erano Ursus, Maciste, Saetta oppure Astrea, una sorprendente donna forzuta degli anni Venti. La Cineteca di Milano ed il Teatro di Chiasso ne hanno prodotto un DVD andato a ruba ed il programma in effetti ha sempre una certa presa sul pubblico.
Inoltre ogni volta ho la possibilità di cambiare qualcosa all'interno dei vari film o ricavare ad un certo punto un paio di minuti di "buio" in cui il pianoforte resta senza supporto filmico, preparando l'arrivo dello spezzone successivo.
Questa pratica mi ha sempre divertito ed appassionato e sempre l'ho affrontata in modo molto accurato sia dal punto di vista compositivo, sia nell'intreccio tra parti improvvisate ed immagini. Per me è indispensabile ricordare per ogni scena od episodio la parte che seguirà, in modo da tenere sempre sotto controllo lo sviluppo musicale, evitando quindi cali di dinamiche. Per fare questo, scrivo pagine e pagine di appunti mentre guardo la pellicola in anteprima, senza mettermi ancora allo strumento. Quando lo svolgimento narrativo mi è chiaro inizio a definire le idee musicali. E' un'esperienza importante e molto produttiva in materia di idee. Ho avuto modo di affrontare, oltre ai "Forzuti," altri film storici come "Il mistero della camera gialla," "Shatten-Ombre ammonitrici," "Le Avanguardie" (con pezzi di Duchamp, Léger, Man Ray) e pure un trittico su Jacques Tati, in cui nel montaggio abbiamo ovviamente cancellato la voce, ma ho preferito tenere alcuni effetti sonori originali.
In un paio di casi mi sono trovato a "dialogare" con l'attore ed amico Giuseppe Cederna in un récital per voce recitante e pianoforte con film muto (Un documentario di un viaggio da Genova all'Australia, del 1926, e la prima edizione di un muto sui Promessi Sposi, del regista Mario Bonnard - 1922), sempre commissionati dalla Fondazione Cineteca di Milano.
Può l'arte aiutare l'uomo a evolversi?
Ho sempre creduto in questo. Sostenendo l'assunto di Joseph Beuys "Kunst=Kapital," secondo il quale la Cultura rappresenta il vero Capitale di una società (rabbrividirebbe se potesse assistere al degrado in cui versano oggi la Cultura e l'Arte in Italia...), credo che con il tempo l'Arte possa contribuire a cambiare il pensiero dell'Uomo.
L'artista ha questo grande privilegio di poter parlare simultaneamente a molte persone, di comunicare un messaggio importante, ma a volte ci si ferma solo, come sottolineavo a proposito dell'"arte dell'improvvisazione," al livello dell' intrattenimento, che è quello di superficie. E che pure occorre, è necessario! Ma non può essere l'unico sistema di comunicazione artistica. In questo caso è il pubblico a dettare le proprie leggi e l'artista cede e lo accontenta. Quindi vediamo il musicista suonare, lo scrittore pubblicare, il pittore dipingere "qualcosa che piaccia"...è una scelta rispettabile, ma l'Arte ha anche altri compiti.
Mi riferisco ai grandi messaggi che ci arrivano dal passato, quelli che hanno cambiato la sensibilità delle persone e che resteranno fino a che l'attività solare lo permetterà, che agiscono ad un livello profondo fondando valori e punti di riferimento per le generazioni a venire , messaggi che superano le mode e puntano perennemente al futuro. Sono questi a farci credere ancora nelle nostre capacità e talvolta a salvarci la vita. Sta ovviamente a noi saper ascoltare, ma io sono ancora fiducioso nella ricettività delle persone, è qualcosa che non c'entra con l'erudizione, ma piuttosto con la sensibilità. Le persone sanno amare e questo le fa crescere e fa crescere il mondo. E' importante credere in questo. Sai che rispondeva Monet a coloro che gli dicevano di comprendere i suoi quadri? "Tutti discutono la mia Arte e affermano di comprenderla, come se fosse necessario comprendere, quando invece basterebbe amare".
What's new
A breve uscirà una registrazione di musiche realizzate per un progetto sull'ultimo video dell'artista tedesco Joseph Beuys, la cui opera seguo da decenni, un concerto/performance che ripeto ormai da anni sia in Italia che all'estero (Francia, Germania, Spagna, Grecia, Svizzera).
Stavolta avrò anche il supporto vocale del soprano Susie Helena Georgiadis e proprio con questo programma (che intitolai nel 2003 "Beuys Voice") avrò l'onore di aprire alla Kunsthaus di Zurigo la più importante retrospettiva del Maestro tedesco.
Inoltre la registrazione su CD delle musiche verrà allegata alle prime centinaia di copie della corposa monografia (intitolata appunto Beuys Voice ed edita da Mondadori Electa in tre lingue). All'interno del libro si trova anche un mio scritto, in cui racconto brevemente la nascita di questo progetto. Si tratta di un' esperienza estremamente gratificante per me, il coronamento di una serie di passaggi, di approfondimenti, di princìpi che stanno alla base del mio pensiero artistico. Inoltre la mostra (e di conseguenza il libro) gireranno per alcuni anni (pare fino al 2020) toccando i maggiori musei del mondo.
Foto di Alberto Reina (la seconda), Luciano Rossetti (la terza), Roberto Cifarelli (la quarta) e Carlo Cerchioli (l'ultima)
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