Home » Articoli » Interview » Intervista a Tino Tracanna
Intervista a Tino Tracanna
ByAll About Jazz: Partiamo da un punto decentrato nella tua sconfinata discografia. Ossia dall'album Free Flow (Roots - 1996) a nome Enrico Colombo con Roberto Cipelli, un disco sostanzialmente acid-jazz con grande dispiego di elettronica, programming, sampling. Una presenza piuttosto anomala nel tuo mondo musicale...
Tino Tracanna: Effettivamente è un punto di partenza insolito considerando il grosso della mia discografia, ma fin dalle sperimentazioni degli anni '70 ho sempre pensato si potessero fare cose interessanti con l'elettronica e, in generale, mettendosi in gioco con mondi relativamente lontani dal jazz. Il problema è adattarsi a prassi diverse da quelle cui si è abituati e quindi avere un linguaggio sufficientemente elastico e non troppo legato ad uno stile in particolare. Hai comunque indovinato a cominciare con questa domanda perché dopo l'esperienza di Free Flow, che è di parecchi anni fa, sto attualmente collaborando con Walter Buonanno (in arte Bonnot), un musicista molto attivo nell'ambito dell'elettronica e dell'Hip Hop, per realizzare un progetto veramente trasversale tra grooves, elettronica, jazz, i campionamenti più disparati e quant'altro. Questo lavoro, a cui tengo molto, spero venga alla luce proprio l'anno prossimo.
AAJ: Quindi il tuo rapporto con l'elettronica in un periodo, quello attuale, nel quale sembra non se ne possa fare a meno è...
T.T.: Ti confesso che è un po' contraddittorio. Nei suoni elettronici c'è qualcosa di estremamente contemporaneo ed una ricchezza timbrica che indubbiamente mi seduce ma, nell'utilizzarla, avverto talvolta il pericolo di scivolare nell'estetizzante e nel ridondante. Nello stesso tempo, quando ad esempio suono col trio acustico, mi sembra che quel suono così essenziale e crudo sia bellissimo, ma poi mi viene l'idea che forse un tocco di elaborazione elettronica potrebbe rendere meno autoreferenziale e specialistico il sound del gruppo. Insomma la ricerca della completezza, della compiutezza e dell'essenzialità crea inevitabilemente dubbi e contrasti ma questi sono il sale della creazione musicale. Sono comunque convinto che le nuove tecnologie e le diverse prassi organizzative che queste inducono (utilizzo di campionamenti, loop etc. etc.) possano condurti su territori insoliti e stimolanti.
AAJ: Eccoci all'esperienza più che ventennale con il Paolo Fresu Quintet. Cosa ha significato e cosa significa ancora essere membro del quintetto per eccellenza del jazz italiano?
T.T.: Quella con il quintetto di Paolo è una straordinaria esperienza di vita e di musica che auguro a tutti i giovani musicisti. Abbiamo cominciato da ragazzi per poi crescere insieme, condividere diverse esperienze e tanta, tanta, musica. Inoltre il quintetto ha avuto uno straordinario successo e questo ha aumentato la mia visibilità favorendo tante altre importanti collaborazioni. Al di là di questo, che è tantissimo, il nostro mondo è così piccolo e tutto sommato elitario che il fatto di far parte di questo gruppo così conosciuto non cambia molto della tua vita di tutti i giorni, rimani sempre tu col tuo strumento, la musica, i remi e, (questo sì), qualche amico vero in più.
AAJ : Nella scommessa del quintetto con Blue Note - ciascuno dei componenti aveva a disposizione un album per le proprie composizioni - trova posto il tuo Incantamento (Blue Note - 2006), un titolo indovinato per descrivere la tua poetica. Quale approccio compositivo hai adottato per entrare in sintonia con le dinamiche più che rodate del gruppo?
T.T.: Penso che il quintetto abbia una specie di vita autonoma, relativamente indipendente dalle varie individualità del gruppo. Paolo lo conduce con la sua straordinaria sensibilità musicale ma di fatto qualunque materiale venga elaborato acquisisce una determinata fisionomia che non dipende strettamente dalle intenzioni artistiche di nessuno in particolare o, forse, di tutti in particolare; è la risultante di un fenomeno complesso, nato spontaneamente attraverso anni ed anni passati su tanti palchi italiani e di tutto il mondo. Per questa ragione quando ho scritto la musica per Incantamento non mi sono sognato di imporre un'estetica definita nei particolari ma piuttosto di porgere del materiale al gruppo, spiegarne l'essenza e vedere quel che succedeva, senza troppi problemi. In quanto al titolo, riguarda una cosa che da sempre cerco nella musica e cioè quella manciata di magici minuti in cui, insieme agli altri musicisti, ti senti in perfetta armonia col tutto.
AAJ: L'altra grande collaborazione, datata 1982-1993, è quella con il quartetto di Franco D'Andrea, musicista forse mai completamente compreso nella sua immensa grandezza (e umiltà). Cosa ti porti dentro di quell'esperienza ?
T.T.: Sono d'accordo. Franco D'Andrea è il più radicale dei musicisti che ho conosciuto e la sua musica è un capolavoro di profondità e complessità. La collaborazione decennale con lui è stata per me fondamentale e credo mi abbia formato ed influenzato parecchio. Risentendo la musica che facevamo in quegli anni trovo che sia ancora attualissima, veramente ricca di colori e spesso spericolata mentre oggi forse ci si preoccupa più della levigatezza e della perfezione tecnica.
AAJ: Stylus Quartet (Abeat - 2007), R-Evolution Suite (Black Saint - 2005), Suite for Bird (Black Saint - 2005) e Music for Five (Splasc(h) - 2001) sanciscono la tua collaborazione con Giovanni Falzone senza ombra di dubbio una delle menti più effervescenti, interessanti e dinamiche nell'ambito della musica improvvisata. Come è nata questa collaborazione? E quale è stato il punto d'incontro tra due mondi espressivi apparentemente piuttosto distanti?
T.T.: Giovanni ha cominciato a frequentare le lezioni del mio corso jazz al conservatorio di Milano intorno al 2000. Si stava avvicinando al jazz dopo un'esperienza classica di alto livello e ho capito subito che oltre ad un'ottima padronanza strumentale possedeva molte qualità ed una personalità molto originale che andava lasciata sviluppare, senza costringerla dentro linguaggi troppo codificati. Giovanni arrivava alle due e se ne stava lì fino alla fine del corso suonando ininterrottamente, assimilando le forme organizzative del jazz e mettendo sempre di più a punto la sua "visione" musicale, discutendone a lungo con me. Così abbiamo passato insieme molte ore di studio e di discussione ed il fatto di collaborare dopo qualche anno è venuto naturale. In quanto alla diversità dei nostri mondi espressivi sono in realtà molto più compatibili di quello che possa sembrare perchè poggiano su molti pilastri in comune anche se le nostre formazioni e i nostri caratteri sono decisamente diversi. Stylus Q è certamente un progetto che mi interessa molto e mi dispiace che non abbia ancora avuto la visibilità che meriterebbe.
AAJ: Questo fa inevitabilmente scivolare il discorso sul problema del mercato discografico e sulle effettive opportunità che i musicisti hanno di suonare in pubblico. Qual è il tuo pensiero in proposito?
T.T.: In realtà la dissoluzione progressiva del mercato discografico sta correndo oltre il necessario almeno per quanto riguarda il jazz. C'è molta gente, come me, che è disposta a pagare il CD (magari non 25 euro!) pur di avere l'oggetto, la copertina e tutte le informazioni necessarie e soprattutto un luogo dove trovarlo, ma ormai si segue a rotta di collo una tendenza che non è uguale per tutti i generi. Questo è dimostrato tra l'altro dalla rinascita del mercato dell'LP. In Italia poi si è sviluppata tantissimo la cultura della parziale o intera autoproduzione attraverso le case discografiche che così si sono spesso impigrite producendo molti CD ma in realtà non adempiendo adeguatamente ad uno dei loro compiti primari: la promozione di pochi artisti scelti. Chi avrà il coraggio, magari con nuovi mezzi ed idee, di perseguire questa strada farà cose interessanti.
In quanto alle possibilità di proporre nuova musica il problema è che da noi esistono pochissime vere figure di operatori che creano eventi culturali basati non solo sul nome di richiamo ma sulla fiducia che l'operatore stesso ha acquisito rispetto ai propri spettatori, proponendo cose di qualità. Tutti gli altri si affidano a pacchetti, per la verità spesso molto ben confezionati, che conquistano buona parte del mercato e diminuiscono la varietà. Questo è veramente un grandissimo problema in particolare per tanti giovani bravi musicisti che fanno una fatica pazzesca ad essere notati o recensiti.
Altro discorso andrebbe fatto a proposito dei potentissimi uffici stampa che di fatto condizionano pesantemente la percezione di determinati fenomeni musicali. Questo per fortuna non riguarda granchè il jazz ma sto assistendo in questi ultimi anni a promozioni di artisti pompati a dismisura (cosa di discutibile gusto ma comunque lecita per un ufficio stampa) attraverso l'uso di menzogne colossali che nessuno si preoccupa di verificare e stigmatizzare. E' un fenomeno preoccupante probabilmento influenzato da una diminuita funzione critica della stampa e dal suo progressivo concedersi a necessità commerciali (case discografiche, pubblicità, etc).
Infine è facile osservare che nel nostro paese le istituzioni da molti anni non credono veramente nella funzione educativa della cultura e neanche nella sue potenzialità economiche. Quelle che sono le tre vere nostre ricchezze (ambiente, storia, menti) vengono regolarmente messe in secondo piano e tutto ciò che non è televisivo tende a scomparire con un abbassamento generale del livello culturale e soprattutto della curiosità e della sensibilità. E' una situazione che a mio avviso non dobbiamo continuare a subire passivamente ma modificare attraverso l'intelligente utilizzo delle nuove possibilità tecnologiche, attuando nuove strategie comunicative ed imprenditoriali più consone alla nuova realtà e quindi reinterpretando il ruolo della musica nella società italiana. Forse non facile ma qualcosa già si muove.
AAJ: E per quanto riguarda il nuovo tipo di fruizione del prodotto musicale (itunes, ipod, etc...) ?
T.T.: Ti dico solamente che quando ero ragazzo mi compravo gli Lp con i pochi soldi che avevo e li consumavo a forza di ascoltarli. Adesso con un click hai la discografia completa di Coltrane gratis, piratando nel web o scaricando dagli amici. In questa maniera ci si ritrova nel computer più musica di quella che si può ascoltare in una vita intera e la fruizione diventa facilmente superficiale e frettolosa. In conservatorio mi capita di sentire giovani musicisti, spesso anche bravi che, pur possedendo migliaia di tracce, sono in realtà molto ignoranti persino riguardo la storia del proprio strumento. In più la qualità degli Mp3 è acusticamente veramente imbarazzante.
AAJ: Ritornando all'ambito della ricerca brilla di luce propria Punctus (Splasc(h) - 2000). Certo che suonare in duo con il percussionista Pierre Favre è come rimanere in bilico su una corda sospesa nel vuoto...
T.T.: E' esattamente così, abbiamo fatto alcuni concerti basati esclusivamente su pochi temi ridotti all'essenziale e piccoli nuclei dagli sviluppi imprevedibili con largo spazio per l'improvvisazione: sono stati dei viaggi nell'ignoto. Quando ti trovi in quelle situazioni devi tirare fuori da te stesso l'impossibile. Così è anche il CD dove questo sistema dei micro temi mi sembra abbia funzionato bene. Qualche tempo dopo ho suonato in un progetto di Pierre in quintetto a Zurigo. Pensavo fosse musica in gran parte improvvisata invece quando sono arrivato là, con mia sorpresa, mi ha messo davanti dei papiri che non finivano mai... Lavorare con Pierre è sempre un'esperienza molto, molto speciale.
AAJ: Affinità elettive (Modern Times - 1995), concerto per piccola orchestra e quartetto jazz, e Gesualdo (Splasc(h) - 1999), reinterpretazione dei madrigali di Gesualdo da Venosa, testimoniano la tua collaborazione con Corrado Guarino e relativa incursione nei canoni della musica classica. Curiosità, interesse, ricerca di nuove forme espressive, o...?
T.T.: Sono sfide che nascono dai miei ascolti che non sono mai monotematici. Ho sempre ascoltato musica contemporanea oltre al jazz e l'idea di creare un luogo musicale dove i due linguaggi potessero interagire in maniera non pretestuosa m'interessava parecchio. La possibilità di mettersi alla prova in contesti diversi mi ha sempre stimolato. E' un progetto nel quale ho creduto molto e che sono orgoglioso di aver realizzato anche se mi accorgo che queste operazioni di confine talvolta lasciano scettici entrambi i mondi musicali forse perché ognuno si aspetta quello che non c'è. Trovo però che il jazz contemporaneo e quell'area abbiano molte "affinità" (elettive appunto) in comune e potenzialità di comunicazione importanti. Poi mi è capitato di ascoltare la musica antica, in particolare quella di Gesualdo ed è scattata un'altra idea folle con Gesualdo...
AAJ: Un'ora (Double Stroke - 2010) è l'ultimo capitolo di una storia (quella del quartetto) iniziata nel lontano 1993 con Arcadia (Modern Times - 1993). Disco raffinato, elegante, essenziale molto scritto ma con la presenza di tre brevi improvvisazioni che ne increspano magnificamente il regolare fluire. Improvvisazione e scrittura attraversano come un sottile filo rosso tutta la tua produzione...
T.T.: Sì, è proprio così, ci sono tre episodi molto brevi in cui abbiamo creato degli oggetti musicali che controbilanciassero la parte più "pensata" del CD che peraltro concede ampi spazi all'improvvisazione secondo la consolidata maniera di lavorare di questo quartetto che mi accompagna da molti anni. Riguardo l'essenzialità, tra l'altro nominata nel titolo del primo pezzo, è una delle mie ossessioni, sono capace di ridurre un tema complicatissimo a poche note pur di inseguirla. Con questo quartetto ho ormai realizzato parecchi CD che "segnano" la mia strada, peccato non sia riuscito a farlo ascoltare molto in giro, dal vivo il quartetto ha veramente un bell'impatto.
AAJ: Qual è la forma con la quale pensi di esprimere al meglio il tuo mondo musicale? Attraverso il rischio del duo, tra le confortevoli e rodate maglie del quartetto, nella sfida della scrittura per orchestra, con il trio ?
T.T.: Il quartetto è il gruppo che tra i miei ho portato avanti per più tempo e che raccoglie la sintesi di molteplici mie visioni musicali, comprese quelle appartenti a territori musicali che non mi erano originariamente così familiari. In altre parole in questo gruppo sono giunte a maturazione e sintesi diverse esperienze, ascolti, stimoli, riflessioni, incontri, concezioni musicali che mi appartenevano o che ho incontrato lungo il cammino. Anche se il quartetto raccoglie veramente tanto della mia produzione musicale degli ultimi vent'anni devo dire però che il trio ed il quartetto pianoless sono gli organici dove esprimo alcuni aspetti più reconditi della mia personalità. La libertà che mi concedono mi riporta in qualche modo al mio "originale" approccio allo strumento. In quanto agli altri progetti (in particolare quelli "colti," parola orribile ma la usiamo per capirci), sono delle sfide alla ricerca di nuovi territori intercomunicativi anche se proporre ensemble così ampi come quelli di Affinità Elettive e Gesualdo nel nostro piccolo mondo del jazz è veramente, veramente difficile. Riguardo alle collaborazioni con altri musicisti penso di potermi riconoscere la capacità di saper entrare con naturalezza in determinati ambiti musicali, di saper trovare il mio posto e di far funzionare bene il progetto attivandomi al massimo in funzione del risultato musicale. A testimonianza di questo il fatto di aver lavorato con d'Andrea per più di dieci anni e con Fresu da venticinque!
AAJ: Ti dividi equamente tra sax tenore e sax soprano. Quanto è importante il lavoro sul suono dello strumento? Perché il tenore e perché il soprano (dei buoni motivi per scegliere il tenore e dei buoni motivi per scegliere il soprano)?
T.T.: Ho sempre dedicato molta attenzione al suono strumentale in quanto se non riesci a far vibrare l'aria nulla può succedere. Il soprano è lo strumento che suono con più naturalezza e col quale ho il linguaggio più flessibile, il tenore rappresenta una lunga sfida con i giganti... Ho esattamente in testa la mia personale percezione di ciascuno dei due strumenti ma non saprei descrivertela a parole. In ogni caso sarebbe veramente difficile fare a meno di uno dei due. Più raramente, suono anche il baritono (in alcuni progetti con Falzone) ed il sax alto che D'Andrea insisteva che suonassi con più continuità. Chissà che prima o poi non dia ascolto al grande maestro!
AAJ: Sia al soprano che al tenore hai un suono molto personale. Parli di giganti ma c'è un musicista in particolare che ti ha toccato non solo per la sua voce ma anche per l'approccio allo strumento e per la sua visione musicale ?
T.T.: Ce ne sono vari ma il primo e forse più determinante è Coltrane. La sua musica è una meravigliosa sintesi tra pensiero e anima. Attraverso i suoi dischi sono inoltre approdato al soprano. In seguito, ho avuto altre passioni importanti che in misura diversa mi hanno influenzato: Shorter, Barbieri, Lacy, Webster, Rollins, Liebman, Young, Henderson, Sheep fino a Lovano in ordine sparso. In quanto all'originalità del sound cui fai riferimento penso sia frutto in parte del percorso un po' anomalo e "selvaggio" che mi è capitato di fare quando ho cominciato lo studio dello strumento ed in parte per aver cercato di lavorare su un linguaggio aperto, non troppo incentrato su stilemi specifici. Devo dire che questo approccio inconsueto, pur se costellato da difficoltà e contraddizioni, mi ha dato molte opportunità di collaborazione fondamentali e se ho potuto fare questo mestiere lo devo in buona parte ai musicisti che mi hanno chiamato a collaborare con loro e che spero di aver ricambiato.
AAJ: Sei docente al Conservatorio Verdi di Milano. Che ruolo gioca l'insegnamento nel tuo essere musicista ?
T.T.: Attraverso l'insegnamento puoi mettere a fuoco cose importanti di te ed è sempre un grande stimolo per migliorare continuamente attraverso il confronto con le idee e le visioni dei musicisti più giovani. E' anche una soddisfazione organizzare un gruppo di docenti che, tra le mille difficoltà di oggi, cercano di creare una situazione stimolante e creativa per i giovani musicisti. E' però un lavoro molto impegnativo ed essendo anche il coordinatore dei corsi a Milano il tempo non è mai sufficiente.
AAJ: Non c'è il rischio che l'insegnamento soffochi o omogeneizzi la creatività dei musicisti, che venga un po' meno l'arte di arrangiarsi che ha forgiato schiere di jazzisti?
T.T.: Devo dire che negli ultimi trent'anni la didattica jazz si è molto codificata e arricchita di straordinari supporti di studio permettendo a molti giovani musicisti di raggiungere risultati tecnici eccellenti in relativamente poco tempo e questo è senz'altro un aspetto positivo. E' anche vero che c'è una tendenza all'omogeneizzazione del linguaggio jazzistico ma non saprei dirti quanto questa dipenda da una più accessibile didattica del jazz, da una sorta di storicizzazione di questa musica che ha ormai un secolo o da come va il mondo oggi. La cosa che percepisco è che c'è una nuova generazione di musicisti che è cresciuta col computer come principale punto di riferimento, perdendo forse quell sano suonare insieme in cantina per ore e ore foriero di idee e creatività. Ma ogni tempo ha il suo e questa nuova svolta ha certamente anche aspetti interessanti. Un po' freddina magari... E abbasso gli Mp3!!
AAJ: La prima decade del terzo millennio sta per andarsene, quale direzione ha deciso di prendere la musica di Tino Tracanna?
T.T.: Ho sempre avuto la sensazione di percorrere diverse strade che alla fine si incrocceranno in un unico punto. In un quadernetto ho da vari anni raccolto alcune idee che aspettano solo di essere trasformate in sostanza. Spero sia il momento giusto nonostante la mia proverbiale pigrizia...
Foto di Dario Villa (la prima), Antonio Baiano (la seconda), Claudio Casanova (la terza e la sesta), Roberto Cifarelli (la quarta), Luciano Rossetti (la quinta), Antonio Manno (la settima e l'ottava).
Tags
Comments
PREVIOUS / NEXT
Support All About Jazz
