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Intervista a Paal Nilssen-Love

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Intervista di Lloyd Peterson

Ha iniziato a suonare la batteria quando ancora non muoveva i primi passi; ha sconfitto un cancro maligno prima di compiere trent'anni; da tempo offre la propria energia propulsiva ad alcuni dei gruppi e musicisti più innovativi in circolazione (tra cui, Atomic, The Thing, Ken Vandermark, Frode Gjerstad, Peter Brotzmann Tentet).

Se esiste un comune denominatore tra questi gruppi e musicisti, si tratta certamente dell'energia, intensità esecutiva e impegno che ognuno di essi mette in campo ad ogni concerto o seduta di registrazione. Tutti insieme vanno all'attacco dei confini della musica, viaggiano senza paura verso l'ignoto, ma, con grande rispetto, portano con loro una profonda conoscenza della tradizione.

Non è una coincidenza che dietro alla batteria vogliano il batterista norvegese Paal Nilssen-Love.

Ogni strumento ha una sua storia, scritta da musicisti creativi che, progressivamente, hanno trasformato stili e modi di suonare. Ma, ogni tanto, appare all'orizzonte un musicista che porta in avanti il proprio strumento ben al di là della normale parabola evolutiva. E anche se il nome di Nilssen-Love non dovesse risultare famoso come quello di altri batteristi, non dimentichiamoci che le vendite di CD o la popolarità mediatica non sono indicatori affidabili per misurare la capacità creativa di un artista.

Questa intervista è stata condotta a Chicago nella primavera del 2006, ma resta ancora attuale, anche perché svolta la mattina dopo un devastante concerto degli Atomic/School Days al Green Mill. La sera avrebbero suonato il secondo concerto. Quelle due serate sarebbero state documentate sul doppio Distil, uno dei CD della settimana di AAJ Italia.

All About Jazz: Da quanto ho letto, suonavi la batteria prima ancora di compiere cinque anni.

Paal Nilssen-Love: Per la verità, iniziavo a suonarla prima ancora di camminare. I miei genitori mi regalarono la prima batteria quando avevo meno di un anno.

AAJ: Come hai scoperto il jazz in Norvegia?

PNL: I miei genitori hanno gestito un jazz club tra il 1979 e il 1986. Ci vennero a suonare musicisti come David Murray, Steve Lacy, Arthur Blythe, Don Pullen, Misha Mengelberg, Art Blakey, Tony Oxley e John Stevens, tra gli altri. Mio padre mi faceva sedere sempre in un punto particolare del club e mi incoraggiava a concentrarmi su quello che facevano i batteristi. Ricordo ancora quando una volta Art Blakey, che amavo moltissimo, mi invitò a salire sul palco e a suonare la sua batteria. All'epoca ero troppo timido per farlo.

AAJ: Si sa che i ragazzini si annoiano velocemente. Che cosa ha continuato ad attrarti di questa musica?

PNL: Vero! [Ride] I miei altri amici che avevano iniziato a suonare qualche strumento lo facevano senza troppa convinzione... ma io invece mi divertivo un sacco, soprattutto perché suonavo la batteria. C'era un'energia ed una libertà che percepivo nella musica... un'interazione che non si esprimeva attraverso le parole ma attraverso i suoni...

AAJ: Troppo spesso quando la gente parla di Art Blakey lo fa riferendosi al suo ruolo di 'mentore' di tante generazioni di grandi jazzisti piuttosto che per il suo senso del ritmo e la sua musicalità.

PNL: Non ho idea del perché. Il suo modo di supportare i solisti, le sue dinamiche, il modo con cui suonava il charleston, come passava da una misura ad un'altra... Mentre continuava a spingere e swingare sapeva creare melodie e variare costantemente la densità della musica. Era anche molto bravo con ritmi afro-cubani molto complessi... La cosa che mi attraeva del suo modo di suonare era la sua sensibilità. Da ragazzino ebbe un'influenza molto forte su di me.

AAJ: Sia Art Blakey che Elvin Jones non erano dei semplici 'metronomi.' Sapevano dare vita alla musica. Oggi molti giovani batteristi solo raramente sono capaci di fare altrettanto nonostante una tecnica superiore.

PNL: Se uno vuole suonare deve comprendere che alla base di tutto c'è la comunicazione, l'interazione tra i vari musicisti. Si tratta di una conversazione. Come nella vita di tutti giorni, si devono fare compromessi. E sul palco uno deve capire che la tecnica è solo un mezzo per comunicare, e non deve diventare ingombrante e intralciare la comunicazione. Quando ascolti come suonavano Elvin e Art, ti rendi conto di questa enorme interazione con gli altri musicisti.

AAJ: Anche il tuo stile è molto denso ma con una palette ed energia che offre ai tuoi compagni d'avventura molte opzioni su cui lavorare. Allo stesso tempo la tensione è sempre molto forte... È una combinazione piuttosto rara.

PNL: Alcuni la pensano come te. Ma altri sono del parere contrario. Spesso mi dicono che sovrasto i musicisti con cui suono. Ma non è certo la mia intenzione. Cerco sempre di creare una densità estrema... ma ovviamente ci vuole qualcosa che contrasti la mia densità. Cerco di lavorare sia a livello di frequenze, che di ritmi, volumi e densità. E quando tutti questi ingredienti interagiscono c'è un continuo senso di tensione poi di rilascio. La tensione viene rilasciata quando si crea un contrasto tra i vari elementi che ti porta a percepire la musica da un nuovo punto di vista.

AAJ: Sei cresciuto in un periodo durante il quale il rock ha avuto una influenza fondamentale, sia in Europa che negli Stati Uniti. Mi piace molto il fatto che tu non abbia perso le tue radici rock e che non neghi di esserne influenzato.

PNL: Non ci sono ragioni per le quali negare o rigettare tali influenze. Allo stesso modo in cui non posso rinnegare l'influenza di Art Blakey. Ogni minima influeza ti trasforma e si riflette in chi sei e come suoni, indipendentemente dal fatto che sia evidente o meno all'orecchio dell'ascoltatore.

AAJ: Resta un peccato che troppo spesso molti appassionati di improvvisazione radicale non ascoltino mainstream, e viceversa.

PNL: Buona parte dei musicisti che suonano free sono perfettamente al corrente della musica 'mainstream.' Se vuoi capire da dove deriva la musica di Evan Parker, devi andare ad ascoltare i primi dischi di Coltrane. Ti serve Sidney Bechet per capire Peter Broetzmann. Magari questa non era musica mainstream dell'epoca in cui veniva suonata. Ma ora lo è diventata.

I jazzisti di free sono molto più interessati al bebop o al jazz straight-ahead di quanto la maggior parte degli appassionati pensi. Questo non vuol dire che ci siano altrettanti jazzisti straight-ahead interessati alle musiche più libere. Questo forse dipende dal fatto che il free non è una fase evolutiva di un musicista. È una modalita' espressiva. Si tratta di uno stile attraverso il quale alcuni stanno cercando di allargare le frontiere della musica, anche all'interno della stessa musica free... che non è poi sempre così free...

AAJ: Don Cherry diceva che se non facciamo attenzione quello stile musicale può condurre alla fine della creatività. Ti sembra un'affermazione ancora attuale?

PNL: Non potrei essere più d'accordo... Ognuno di noi deve essere aperto ad ogni stile musicale ed artistico e lasciare che questi infuenzino, tutti insieme, la tua evoluzione di una cifra personale. Devi credere in te stesso e seguire le cose che ti emozionano, creando la tua arte con tutti i rischi che questo comporta. Se quello che fai diventa diventa uno stile, vai ancora oltre. È un po' come la storia di quel critico d'arte che lamentava il fatto che Parigi non avesse uno stile suo, in quanto c'era un po' di tutto... Ma Parigi è giusta così, anche quello è uno stile,

AAJ: Uno degli aspetti del jazz e della musica improvvisata che sono cambiati significativamente nel tempo sono l'approccio alla batteria e al contrabbasso. Tradizionalemente questi due strumenti svolgevano un ruolo di mero supporto ritmico. Oggi il contrabbassista e il batterista di un gruppo hanno un ruolo fondamentale nel determinare la direzione della musica di un gruppo. Tu e il contrabbassista Ingebrigt Haker-Flaten siete un perfetto esempio di questo modo di concepire la sezione ritmica.

PNL: Oggi, fortunatamente, questi due strumenti sono considerati al pari di qualunque altro strumento. E nell'ambito della musica improvvisata tutti gli strumenti possono determinare la direzione che la musica di un gruppo finisce per seguire.

Ingebrigt ed io abbiamo suonato per molti anni ma quando siamo insieme continuiamo ad avere la sensazione che ci sia ancora tantissimo da scoprire. Non so quanti concerti abbiamo fatto, ma riusciamo ancora a sorprenderci a vicenda. E se non fosse così dovremmo cercare altri partner con cui suonare. Questa è una regola fondamentale. Ma devo ammettere che sentirsi così connesso ad un altro musicista, essere capaci di spostare la musica in una direzione completamente nuova con un minimo accenno, avere una intesa così profonda, è fantastico. Ad ogni modo sia io che lui beneficiamo grandemente dalla possibilità che abbiamo di suonare con tanti altri musicisti straordinari.

AAJ: La scena europea ha mosso i suoi primi passi jazzistici suonando standard e seguendo i modelli statunitensi. Poi ad un certo punto una generazione di innovatori ha iniziato a comporre jazz ispirato alle influenze europee.

PNL: Esatto. Era una questione di onestà culturale. Si trattava di credere in se stessi e nelle proprie radici. Tanto per fare un esempio, in Inghilterra c'erano ottimi jazzisti che seguivano lo stile del jazz americano. Ma la scena londinese esplose, letteralmente, quando gente come Louis Moholo o Mongezi Feza si trasferirono dal Sud Africa. E quando musicisti come Paul Lytton o Tony Oxley, che inizialmente suonavano mainstream, iniziarono a cercare una propria identità. Ho grande ammirazione per quei musicisti in quanto decisero di fare quello che sentivano e all'inizio trovarono immense difficoltà a suonare, non c'erano molti spazi per quella musica.

AAJ: Per te la musica è 'emozione' o 'visione'?

PNL: Direi che sia emozione... ma a volte la concepisco come una scultura, un atto formativo, di costruzione, che si trasforma di momento in momento. Certamente essa può avere una componente visiva ed una molto fisica che deve risultare incredibilmente affascinante per una persona che non ha mai avuto la vista. Come può esso/a 'ascoltare' un paesaggio? È in grado di farlo solo grazie alla forza della musica?

AAJ: Cosa ha reso la musica così importante per te?

PNL: La musica ha una forza immensa. Sa unire la gente... e quando hai modo di vedere come essa viene percepita ed assorbita dall'ascoltatore non puoi che rispettarne il suo potere. Questo è il motivo per il quale gli organizzatori di concerti non devono mai sottovalutare il pubblico. Essi devono credere nella musica che presentano e nell'importanza di presentarla al pubblico. Se il pubblico avesse l'opportunità di ascoltare musica creativa in grado di comunicare emozioni, la vita sarebbe certamente migliore. La musica riflette chi sei come persona e ogni volta che sono in contatto col mio strumento suono qualcosa che riflette il presente.

AAJ: Di recente hai dovuto combattere un cancro. Questo ha cambiato il modo con cui affronti la musica, e la vita?

PNL: Ovvio. Quando torni alla normalità apprezzi in maniera diversa la tua vita e le persone che ti sono vicine. Molto più di prima. E cominci a capire che ogni cosa che fai potrebbe essere l'ultima. Inizi a capire che il tempo che hai è solo tempo preso in prestito. La musica è per me tutto. La ragione della mia vita. Poter suonare di nuovo mi dà una sensazione incredibile.

Foto di Ziga Koritnik (la prima), Rune Mortensen (la quarta) e Claudio Casanova (le altre).

Traduzione di Luigi Santosuosso

Articolo pubblicato per gentile concessione di All About Jazz [USA]

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