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Intervista a Daniele Di Bonaventura
ByAll About Jazz: Partiamo da una anticipazione, un disco speciale in uscita per il ventennale della morte di Astor Piazzolla...
Daniele Di Bonaventura: Sì, è un omaggio che sto preparando al grande maestro argentino, dopo molto tempo che non suono più la sua musica. È un progetto che ho voluto creare con la collaborazione di tutti i miei amici musicisti degli ultimi anni. Ci saranno Paolo Fresu, Rita Marcotulli, Javier Girotto, Marcello Peghin, il Vertere String Quartet, l'Orchestra da Camera della Sardegna, Olen Cesari, il mio gruppo Band'Union e tanti altri. Il disco uscirà a fine estate per una prestigiosa etichetta.
AAJ: Piazzolla, ossia il tango, ossia i tuoi inizi ...
D.D.B.: Astor Piazzolla è stato il musicista che mi ha fatto conoscere il bandoneon. Dopo aver visto il film "Tangos" di Fernando Solanas, venni rapito dal suono incredibile di questo strumento. Poi nel 1986 vidi Astor al Ravenna Jazz Festival con il suo quintetto insieme a Gary Burton e presi la decisione di suonare il bandoneon. All'inizio mi immersi naturalmente nel tango, genere dal quale successivamente mi allontanai per intraprendere un mio percorso. Ora, dopo tanti anni, ho sentito la necessità di ringraziare in qualche modo il musicista che mi iniziò allo strumento, suonando alcune delle sue composizioni più rare.
AAJ: Pianoforte e bandoneon. Quali le caratteristiche che ti affascinano di più nell'uno e nell'altro ?
D.D.B.: Il pianoforte è stato il mio primo strumento. Il bandoneon mi affascina perché è uno strumento ad aria che ti permette un diretto contatto con il suono che puoi controllare, come nel canto, con il tuo ventre, con i tuoi polmoni, con il ritmo del tuo respiro. Il piano, sotto questo aspetto espressivo, è uno degli strumenti più difficili da suonare, prima di ottenere il suono desiderato devi controllare il tocco in modo che le mille protesi meccaniche possano percuotere le corde in un certo modo. Ci sono troppi tramiti, questa è la difficoltà del piano ma nello stesso tempo il suo fascino. Invece il bandoneon ti rende la vita più facile e quindi diventa accattivante.
AAJ: Quale tipo di bandoneon usi?
D.D.B.: Ho tre strumenti tutti costruiti prima della 2^ guerra mondiale. Il primo è un Arnold del 1927 con il quale ho mosso i primi passi, il secondo un Alfred Arnold del 1935, e l'ultimo il mio "Stradivari," così lo chiamo, un Premier del 1934. Sono tutti e tre delle autentiche reliquie ma perfettamente funzionati con suoni completamente differenti. Sono strumenti rarissimi, ovviamente tutti e tre diatonici, cioè bisonori.
AAJ: L'incontro con Frank Marocco figura atipica e a suo modo leggendaria nel mondo della fisarmonica, purtroppo recentemente scomparso, ha dato origine a Two for the Road, disco di soli standard, in una fase della tua carriera dove gli standard si contano sulla punta delle dita. Che ricordi conservi di quell'incontro?
D.D.B.: L'incontro con Frank è avvenuto quasi due anni fa, quando venne ad ascoltare un mio concerto. Il giorno dopo m'invitò a sentire una sua esibizione in solo e rimasi abbagliato dalla grande poesia della sua fisarmonica. Dopo di che suonammo insieme davanti ad un buon bicchiere di vino prima che Frank ritornasse a Los Angeles. Da là mi scrisse che Elke Ahrnenholz, sua manager e produttrice, voleva farci registrare un disco nell'immediato futuro e così nacque Two for the Road album di soli standard (che in precedenza avevo suonato solo al pianoforte).
Ho sempre amato e suonato standard ma non appartengono alla mia cultura. È per questo che nei miei lavori si contano sulla punta delle dita. Suonare con Frank è stato per me un grande onore e piacere, ho imparato a conoscerlo bene nei lunghi viaggi del nostro tour, ed è nata un'amicizia molto forte nonostante la grande differenza di età. Era una persona di grande energia e ironia intellettuale. Mi manca molto. E sapere che non potrò più suonare con lui, almeno qui sulla terra, mi riempie di tristezza. Ho scoperto in Frank il più grande poeta della storia della fisarmonica.
AAJ: Canto alla Terra, del quartetto Band'Union, è il legame con le proprie radici. Musica etnica con spirito jazz?
D.D.B.: Canto alla Terra è un disco al quale tengo molto perché è il primo registrato con un mio gruppo. Marcello Peghin, elegante chitarrista algherese, Felice del Gaudio, solido ed essenziale contrabbassista lucano e Alfredo Laviano, poetico percussionista marchigiano, oltre che grandi amici sono splendidi musicisti. Il disco nasce proprio dall'unione delle nostre caratteristiche, è una sorta di formula chimica sul funzionamento della quale non avevo dubbi. La musica è nata spontaneamente, in modo del tutto naturale: una sola prova e il giorno dopo eravamo in studio di registrazione, come se fosse un repertorio in uso da anni. Non saprei come definire questa musica, non è etnica, non è world, non è etno-jazz, mi risulta sempre difficile spiegare a chi me lo chiede che cosa facciamo. Penso che si tratti semplicemente di buona musica. Prossimamente uscirà il nuovo doppio album dal titolo Nadir per la Tuk Music di Paolo Fresu.
AAJ: A proposito di Paolo Fresu la vostra è una collaborazione non solo su disco ma anche sul campo, vista l'assidua partecipazione per esempio al Festival di Berchidda e in concerti in giro per l'Italia e all'estero. Che cosa ti ha avvicinato al trombettista sardo?
D.D.B.: Con Paolo ci siamo ritrovati nel 2006 durante una jam session in Corsica, chiamati da Andrè Jaume (sassofonista francese) per una produzione originale nella quale erano presenti anche A Filetta. Da quel momento ci siamo ritrovati a suonare in diversi festival proprio con A Filetta gettando le basi per il progetto Mistico Mediterraneo, realizzato poi su ECM. Con Paolo abbiamo anche un duo dove spaziamo dalla musica sacra a quella classica, da nostre composizioni a standard, con il quale registreremo un disco. Paolo, oltre ad essere un genio musicale, è anche una splendida persona dal punto di vista umano. In questi ultimi anni di intensa collaborazione ho imparato a conoscerlo e devo dire che ogni volta mi sorprende per come riesce ad essere presente ed attento a tutto quello che succede intorno. Ha una energia incredibile ed un amore infinito per la musica, come non ho mai visto in nessun altro musicista. Suonare con lui è come fare una passeggiata rilassante, perché riesce a far emergere con naturalezza e spontaneità le cose che ci accomunano.
AAJ: Elegiaco è la splendida testimonianza di un duo con Marcello Peghin, grande interprete della chitarra acustica a sei e dieci corde, con il quale vanti una lunga collaborazione. Questione di affinità elettive?
D.D.B.: Elegiaco è un disco fatto in intimità con Marcello che reputo un chitarrista straordinario. Con lui suono ormai da quindici anni, penso che i nostri linguaggi si fondano perfettamente, abbiamo gusti simili e un senso estetico che ci accomuna. Il disco nacque quasi per caso, per un concerto in quartetto saltato all'ultimo momento. Chiamai il fonico e con Marcello andammo in sala di registrazione giusto per suonare e non buttare via la giornata. Registrammo due ore di musica e ognuno si portò a casa il risultato di quella seduta. Quando decidemmo di selezionare le cose che preferivamo ci accorgemmo di aver scelto lo stesso materiale. A quel punto pensammo di autoprodurci e il risultato fu Elegiaco. Ovviamente non essendo distribuito è un disco che non si trova da nessuna parte, se non richiedendolo direttamente a noi...
AAJ: Di Bonaventura e gli archi. Che siano quelli di un'orchestra o di un classico quartetto è un filo rosso della tua storia musicale...
D.D.B.: Devo dire che ho un debole per gli strumenti ad arco, in particolare quando si tratta di orchestra o di quartetto mi viene l'acquolina in bocca. Essendo figlio di una cultura europea quando scrivo o arrangio un brano non penso ad una big band o a dei fiati, ma agli archi perché mi permettono di esprimere una visione più classica. Inoltre uno strumento ad ancia libera come il bandoneon si fonde e nello stesso tempo crea un maggior contrasto proprio con un ensemble di archi anziché di fiati.
AAJ: "In Suite per Bandoneon e Orchestra" viene eseguita musica da te composta. Come è nata l'idea e come è stato comporre per una grande orchestra?
D.D.B.: "Suite per Bandoneon e Orchestra" mi è stata commissionata dall'Orchestra Filarmonica Marchigiana. Non vedevo l'ora di scrivere un lavoro per bandoneon e orchestra e di suonarlo come solista, penso che sia una di quelle occasioni da prendere al volo nella vita. Provengo da studi accademici, sono diplomato in composizione, e quando mi è arrivata la proposta dalla Filarmonica mi sono sentito al settimo cielo. Comporre per me è forse più gratificante che suonare, è il mio primo mestiere di musicista, mi piacerebbe avere più tempo per scrivere musica, anche se poi al rapporto fisico sul palco non potrei mai rinunciare. In questa occasione mi sono sentito un po' come i grandi compositori della storia che erano autori e solisti delle proprie opere.
AAJ: In compenso "Ritus" è la magia del solo. Cosa significa invece comporre per uno strumento in particolare?
D.D.B.: Il solo penso che offra il rapporto più intimo che si possa provare su un palcoscenico. È il progetto che prediligo, sono solo con me stesso e questo mi fa sentire nudo, spogliato da tutto, non c'è nessun segreto, non ci sono trucchi, non puoi essere finto, sei davanti al pubblico e lo senti respirare con te. È una sensazione molto forte ma una grande sfida soprattutto con te stesso. Tutto questo mi fa sentire libero, mi porta a rischiare maggiormente e permette di mostrarmi come un libro aperto. "Ritus" rappresenta tutto questo, la libertà ed il rigore della composizione. Comporre per un solo strumento poi è molto stimolante in quanto devi mantenere alta la tensione e devi assolutamente elevare lo strumento all'ennesima potenza. Come dice il maestro Peghin: "a volte va male a volte va bene"...
AAJ: Nella fase più recente della tua carriera sembra prevalere la componente della scrittura rispetto a quella dell'esecuzione e dell'improvvisazione...
D.D.B.: Mi fa piacere che si noti, la scrittura è il punto di partenza del mio linguaggio, come dicevo mi sento prima un compositore e poi un interprete ed un improvvisatore. Ho attraversato nella mia carriera diverse esperienze musicali che vanno dalla musica classica a quella contemporanea, dal pop al rock, dal jazz al tango. La componente compositiva mi fa racchiudere tutte le esperienze musicali vissute e mi fa sentire un musicista con qualcosa da dire.
AAJ: Come concili in generale queste due componenti del fare musica?
D.D.B.: Per me è molto naturale, l'una stimola l'altra, mi piace dividermi tra i ruoli di compositore, arrangiatore, interprete e improvvisatore. Sono sfaccettature che mi permettono di rigenerarmi e ricaricarmi. E poi si compenetrano una nell'altra. Quando improvviso penso come se dovessi scrivere una linea melodica definitiva, formalmente perfetta, che abbia un significato strutturale come nella composizione, mentre quando scrivo cerco di far entrare la freschezza dell'improvvisazione nella rigorosità della forma compositiva. Insomma sono molto attento ad una concezione formale e strutturale della musica.
AAJ: Nell'ultimo, acclamato Mistico Mediterraneo suoni con Fresu e il coro vocale polifonico corso A Filetta. Che tipo di dinamiche subentrano a relazionarsi con un coro per solo voci così particolare?
D.D.B.: Era da molto tempo che cercavo di realizzare un progetto così raffinato e così vicino alla mia poetica. Mistico Mediterraneo è una delle cose che amo di più proprio per il fatto che io e Paolo suoniamo sempre sul filo del rasoio, come se fossimo l' ottava e la nona voce del coro. A Filetta sono straordinari, la loro musica e il modo di esporla è molto vicina al mio modo di sentire e a quello di Paolo, cerchiamo di entrarvi in punta di piedi ed uscirne in maniera indolore. Jean Claude Acquaviva (il leader carismatico del gruppo) ricorda sempre come sia difficile inserire degli strumenti nella loro vocalità di gruppo autonomo. Noi ci siamo riusciti usando discrezione e rispetto.
AAJ: Quali differenze hai trovato rispetto ad un gruppo come i Tenores di Bitti, dal repertorio e dalla struttura ancor più rigida?
D.D.B.: Ho lavorato e conosco bene i Tenores di Bitti come altri gruppi vocali sardi. Questo è un altro mondo. I Tenores sono granitici, quasi impenetrabili, hanno una forte caratteristica vocale e dinamiche differenti. Sono due mondi diversi anche perché A Filetta partono dalla tradizione corsa e la trasformano in un nuovo linguaggio, i sardi rimangono molto più legati alla tradizione, più sanguigni. A Filetta è un gruppo vocale di musica contemporanea, i Tenores sono splendidi gruppi vocali tradizionali.
AAJ: A proposito di repertorio, sacro e profano si incrociano spesso nella tua produzione...
D.D.B.: Beh, suonando il bandoneon ho riscoperto il mondo sacro, è lo strumento che si usava in chiesa, un piccolo armonium portatile. Mi piace riportare questo strumento alle sue origini perché mi permette di sviluppare un repertorio di stile classico che rispolvera la tecnica del contrappunto e della fuga associato ad un linguaggio più sanguigno, come nel quartetto, dove recuperiamo sonorità che potrebbero ricordare il folklore. Sono nato e vivo nelle Marche circondato dalle colline e dalla campagna e la mia musica non può che essere figlia della terra in cui vivo!
AAJ: Hai inciso per vari tipi di etichette ma hai anche autoprodotto alcuni dei album. Qual'è il tuo rapporto con le etichette discografiche?
D.D.B.: Non avendo un legame contrattuale con una etichetta specifica non ho una regola precisa su come muovermi. Oggi, in momenti di crisi, anche le case discografiche affermate hanno problemi di mercato, quindi posso capire che i rapporti tra artista e produttore possano essere abbastanza conflittuali. Di solito realizzo un lavoro autonomamente da qualsiasi produttore poi inizio a vedere quale potrebbe essere la direzione sul mercato. Non frequentando solo il mondo del jazz ho sempre problemi ad etichettare la mia musica quindi trovo difficoltà a bucare il mercato. E allora cerco di trovare l'etichetta o il distributore giusto che penso possano funzionare per quel tipo di lavoro. Credo comunque che nel giro di pochissimo ci saranno grandi cambiamenti riguardo la diffusione della musica. E noi musicisti dobbiamo solo incrociare le dita!
AAJ: Un sogno nel cassetto ?
D.D.B.: Non ho un particolare sogno nel cassetto, spero solo di poter continuare questo percorso artistico in maniera sempre appassionata, di approfondire ogni aspetto che mi interessa della musica, d'incontrare artisti, musicisti e persone che possano darmi sempre qualcosa di nuovo. Spero di crescere nella direzione giusta, di poter scrivere nuova musica e suonare per molti, molti anni ancora! E che la salute mi accompagni nella realizzazione dei miei progetti futuri.
Foto di Antonio Baiano (la seconda e le ultime due), Patrizia Masetti (la quarta), Paolo Ninfa (la quinta),
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