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Intervista a Dan Kinzelman
ByFra gli italiani che si sono stabiliti all'estero si potrebbero ricordare per esempio Patrizia Scascitelli, Andrea Centazzo, Marco Cappelli, Roberta Gambarini, Antonio Ciacca e chissà quanti altri, che hanno fatto degli Stati Uniti, culla del jazz, la propria patria d'elezione, Daniele Patumi, approdato in Cina con la famiglia (ma mi mancano sue notizie recenti), Sebi Tramontana, trasferitosi a Monaco di Baviera anch'egli per motivi famigliari, e infine Manolo Cabras, contrabbassista cagliaritano residente e attivissimo in Belgio, ma praticamente sconosciuto in Italia.
Ma sono molti anche i jazzisti stranieri che per scelta o per caso da molti anni ormai si ritrovano a vivere in una città italiana: il contrabbassista russo Yuri Goloubev a Milano, l'argentino Javier Girotto a Roma, Kyle Gregory, Marc Abrams e Robert Bonisolo nel Veneto...
Fra questi dobbiamo annoverare anche il sassofonista americano Dan Kinzelman, che da alcuni anni risiede stabilmente in Umbria, in seguito a un incontro del tutto occasionale con Giovanni Guidi. Oltre ad essersi messo in luce in alcuni gruppi emergenti del nostro jazz, a suo nome è da ricordare il notevole Goodbye Castle, in quartetto, edito dalla CAM nel 2008. Nato a Racine (Wisconsin) nel 1982, Dan è un personaggio che non passa inosservato, non solo per le sue doti musicali, ma anche per la ponderatezza costruttiva e determinata del suo lavoro, per il suo carattere pacato e sincero, per la sua onestà culturale, oltre che per il suo aspetto fisico, che lo fa assomigliare ad una figura esile e longilinea dello scultore Alberto Giacometti. Nell'intervista che segue Kinzelman ci rivela le tappe principali della sua giovane ma già apprezzabile carriera.
All About Jazz: Cominciamo dalla tua formazione giovanile: quali studi musicali hai sostenuto in America?
Dan Kinzelman: Ho suonato un po' il pianoforte, poi ho cominciato col clarinetto e da ultimo mi sono dedicato al sax. Negli USA puoi imparare uno strumento nelle scuole pubbliche e io ho fatto così. In seguito ho studiato con un insegnante privato fino all'età di diciotto anni, quando mi sono iscritto all'Università di Miami dove mi sono laureato nel 2004 in "Studio Music and Jazz".
L'università è stata un'esperienza meravigliosa, perché mi trovavo circondato da altri giovani musicisti molto talentuosi e curiosi, e la situazione ci permetteva di concentrare tutte le nostre energie nello studio della musica.
AAJ: E delle tue prime esperienze professionali negli States quali sono state particolarmente significative per la tua crescita?
D.K.: Ho suonato principalmente in occasioni dove la musica non era l'elemento prioritario, ad esempio matrimoni, bar mitzvah, feste aziendali... Questo è stato però un vantaggio, penso, perché ho capito che non volevo fare quella vita. A parte qualche occasione isolata, raramente mi era capitato di fare un vero e proprio "concerto" per un compenso monetario prima di venire in Europa.
AAJ: Quando e perché sei venuto in Italia?
D.K.: Dopo la laurea ho partecipato ad un seminario in Germania, esperienza che poi mi è servita come scusa per trasferirmi a Colonia. In questo seminario ho conosciuto Emanuele Maniscalco, col quale ho cominciato a suonare in Italia. È stato lui a farmi conoscere Giovanni Guidi alla nascita del suo primo gruppo, gli Zippy Code. Da quell'incontro con Giovanni sono nate un'amicizia e una collaborazione che durano ormai da sei anni.
AAJ: E cosa ci puoi dire in merito al tuo soggiorno in Germania?
D.K.: L'esperienza in Germania è stata molto bella e formativa. Al mio arrivo non parlavo bene il tedesco e non conoscevo nessuno, ma speravo di inserirmi nella scena subito. Non sono rimasto il tempo necessario per cominciare a lavorare, però l'assenza di altri impegni mi ha permesso di dedicarmi alle session a casa di amici. Le facevamo quasi tutti giorni, a volte più d'una al giorno. Quindi nonostante il fatto che durante quei nove mesi in Germania abbia fatto un solo concerto, ho suonato tantissimo durante il tempo passato là.
AAJ: Attualmente quali rapporti mantieni con gli Stati Uniti, con la Germania o con altri Paesi?
D.K.: Faccio parte di Swoosh, il quartetto di Karsten Lipp, ora di base a Berlino dopo diversi anni a Torino. Attualmente negli USA non ho niente, anche se mantengo contatti con alcuni dei musicisti con cui ho lavorato e studiato, nell'attesa di occasioni future. Mi sento occasionalmente con alcuni musicisti finlandesi con cui ho fatto dei concerti e prima o poi mi piacerebbe rifare qualcosa con loro.
AAJ: Che differenze o analogie riscontri fra i circuiti organizzativi dei festival jazz italiani e quelli stranieri?
D.K.: Non mi considero molto preparato sull'argomento, non avendo avuto molte occasioni di girare all'estero. Comunque, guardando i programmi, mi sembra che in Italia ci sia forse una esposizione esagerata di artisti statunitensi e italiani, e una corrispondente carenza di proposte di musicisti provenienti da altri paesi europei (e non solo).
AAJ: Per quanto riguarda la tua pronuncia al sax tenore, da quali maestri ti consideri influenzato?
D.K.: Non spetta a me dirlo.
AAJ: Puoi sintetizzare il rapporto di collaborazione che hai avuto e che continui ad avere con Giovanni Guidi?
D.K.: Ci siamo conosciuti, se non sbaglio, alla fine del 2004 oppure nei primi mesi di 2005 in occasione di una prova per quello che sarebbe poi diventato il suo primo gruppo, gli Zippy Code. Parlavo poco l'italiano, ma ci siamo presi subito in simpatia ed entrai a far parte della formazione. È stato il primo gruppo con cui ho lavorato (abbiamo fatto una decina di concerti nel 2005), ed è stata una bellissima esperienza di crescita, come lo è stato anche il quartetto, nato nel 2006. Il confronto musicale con Giovanni continua ad essere molto stimolante per me. Mi spinge a rischiare e trovare soluzioni diverse; ma tutto ciò è possibile perché c'è di base una grande fiducia.
AAJ: Apprezzo particolarmente il tuo lavoro di arrangiamento per la musica dell'Unknown Rebel Band di Giovanni. Come hai proceduto per scrivere questi arrangiamenti?
D.K.: Giovanni scrive temi molto adatti ad essere suonati dai fiati. Quindi non è stato molto faticoso trasformarli in arrangiamenti per un organico allargato. Alcuni temi sembravano già contenere l'arrangiamento, in altri casi abbiamo sviluppato il tema in base ai musicisti che poi l'avrebbero suonato. E poi molte cose sono state anche decise in studio al momento.
Arrangiare mi diverte molto perché è un'occasione per giocare con la fantasia: ti immagini una cosa, una struttura o un accordo, ma non saprai come suonerà finché non lo senti nelle prove. Spesso funziona, ma a volte ti rendi conto che hai fatto una scommessa sbagliata e devi riorganizzarti al volo.
AAJ: Come arrangiatore da chi sei stato influenzato maggiormente?
D.K.: Mi piace molto Gil Evans, ma mi piace anche Tom Waits.
AAJ: Tu hai anche preso parte ad una delle formazioni di Enrico Rava: come ti sei trovato a lavorare con questo leader carismatico del jazz italiano?
D.K.: A Correggio c'è una realtà bellissima, che esiste ormai da diversi anni, in cui si producono nuovi progetti per promuovere e dare spazio a giovani musicisti italiani (e non solo), a volte al fianco di grandi maestri. Da lì è nata la Cosmic di Petrella, la stessa Unknown Rebel e, appunto, il gruppo Special Edition di Enrico Rava.
Enrico lo conoscevo già perché frequentando Giovanni l'avevo visto in tanti concerti, ma nonostante tutto è stato emozionante salire sul palco con lui per la prima volta. Soprattutto nelle serate in cui è in forma, mi ritengo fortunato di avere il miglior posto nel teatro per ascoltarlo! Quando abbiamo fatto il primo concerto non avevamo idea che sarebbe poi diventato un gruppo stabile (questo è successo anche grazie al sostegno dell'Auditorium Parco della Musica).
AAJ: Attualmente con quali gruppi suoni e quali progetti hai per il futuro?
D.K.: Il mio unico progetto da leader al momento è il mio trio, Hobby Horse, con Joe Rehmer al contrabbasso e Stefano Tamborrino alla batteria. Volevo un gruppo piccolo per poter lasciare il massimo spazio all'interplay, ma nonostante la ristrettezza della formazione stiamo lavorando molto per avere un respiro più orchestrale (c'è anche il coro). Invito i lettori a consultare la nostra pagina su Myspace per sentire qualche traccia e per informarsi sui nostri prossimi concerti. Nel poco tempo che mi rimane continuo a far parte del PMJL di Enrico Rava, dell'Unknown Rebel di Giovanni Guidi (con cui lavoro anche in duo) e del Sousaphonix di Mauro Ottolini.
AAJ: Un tuo sintetico commento su alcuni importanti tenoristi nord-americani di oggi: Ken Vandermark, Tony Malaby, Michael Blake, Mark Turner, Donny McCaslin... e su altri colleghi europei: Francesco Bearzatti, Daniele D'Agaro, Tobias Delius, Ab Baars.
D.K.: Michael Blake mi piace moltissimo. Gli altri li conosco poco. Non mi tengo molto aggiornato sui tenoristi e lo stesso discorso vale per gli europei. Bearzatti e D'Agaro sono due punti di riferimento per l'Italia e non solo. Ho avuto il piacere di ascoltare qualche giorno fa il concerto dell'Adriatics Orchestra di Daniele D'Agaro su Radio 3 (c'era anche Delius): era il mio primo incontro col gruppo e mi è piaciuto moltissimo. Ab Baars ammetto che non lo conosco.
AAJ: Chi altro apprezzi maggiormente fra i jazzisti di oggi, non solo tenoristi?
D.K.: Non ascolto molto i jazzisti di oggi.
AAJ: Un'ultima domanda: hai degli interessi, degli hobby, delle attività al di fuori del jazz?
D.K.: Mi piace cucinare e fare il pane. Inoltre mi sto divertendo a costruirmi un impianto hi-fi.
Foto di Antonio Baiano (la prima), Roberto Cifarelli (la seconda), Claudio Casanova (la terza e la quinta), Riccardo Crimi (la quarta e la sesta).
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