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I Poeti del Piano Solo 2021

I Poeti del Piano Solo 2021

Courtesy Eleonora Birardi

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I poeti del piano solo
Musicus Concentus
Firenze
Sala Vanni
1-3.10.2021

Seconda edizione della rassegna fiorentina I Poeti del Piano Solo, organizzata da Musicus Concentus con la direzione artistica di Stefano Maurizi, ancora una volta articolata su tre appuntamenti in giorni successivi e per l'occasione dedicata a pianisti trentenni, già ben affermati e di grandi prospettive.

Ha inaugurato la serie, venerdì 1 Ottobre, il romano Enrico Zanisi, che si è presentato con un programma aperto all'alea, senza una scaletta precisa, al punto che l'artista, presentando a ritroso, spesso neppure riusciva a ricordare cosa avesse suonato. Si è iniziato con due lunghe e interessantissime improvvisazioni: la prima dalle chiare influenze impressionistiche, con eco di Satie e Ravel, ma anche con passaggi ostinati dal sapore minimalista; la seconda ancora venata di impressionismo, ma stavolta evolvente in una narratività maggiormente mediterranea. Entrambe comunque molto personali. A seguire, una composizione di Joe Henderson nel quale Zanisi si è mosso con estrosa rapidità, ricordando a tratti Uri Caine, poi brani della propria penna, ora sospesi e delicati, ritmicamente piani, ora invece più tambureggianti. Da notare un brano iniziato con una ricerca sul suono operata intervenendo sulle corde con la mano destra, mentre la sinistra insisteva su un ritmo sordo, che poi si evolveva in una improvvisazione a piena tastiera.

La seconda serata, il sabato, proponeva l'israeliano Shai Maestro, uno dei pianisti oggi più in vista sulla scena internazionale. L'artista non ha deluso le attese, offrendo al pubblico, presente in buon numero, una performance spumeggiante e tecnicamente di altissimo livello, che ha incrociato improvvisazioni e riletture di brani di varia provenienza. Nella prima parte, improvvisando su brani della tradizione ebraica, il pianista ha affascinato per la capacità di unire suadenza lirica e colpi di scena tecnici, innalzando la tensione dinamica con il tambureggiamento della mano sinistra che dava al piano il fragore di un'orchestra. In seguito, lavorando sulle corde, invertendo le mani sulla tastiera e percuotendola con ritmi cangianti, ha stupito per abilità tecnica. In altri momenti, rielaborando in modo singolare composizioni storiche di grande bellezza, ha mostrato più a tutto tondo la propria creatività, come quando ha interpretato "En la orilla del mundo," brano di Matin Rojas e Pablo Milanes reso celebre da Charlie Haden, variandone progressivamente ritmi e forme fino a trasformalo in un canone di gusto barocco. Concerto oggettivamente di alto livello, graditissimo e acclamato dal pubblico, che ha esaltato le indubbie qualità del pianista, al quale si può fare un solo appunto: la mancanza, sotto lo scintillio delle continue invenzioni tecniche, di una precisa idea poetica che desse loro pieno senso e coerenza. Segno forse della necessità di far maturare ancora un po' l'identità del proprio modo di intendere il piano solo.

Un'identità che non faceva difetto ad Alessandro Lanzoni, che ha concluso la serie di concerti nel tardo pomeriggio della domenica. Il pianista, di casa alla Sala Vanni, è attivo ormai da diversi anni in piano solo—situazione a cui nel 2016 ha dedicato un disco, Diversions, e nella quale l'avevamo già apprezzato nel 2019 al festival Genius Loci. Lanzoni ha iniziato con una suite aperta da un ostimato ritmico percussivo, proseguita con transizioni frammentate di gusto contemporaneo, poi con un blues prolungato e variegato, infine concluso da un frammento di Monk. Quasi quaranta minuti di musica senza interruzioni, un po' alla Jarrett. A seguire, "Nocturne n. 8" di Lowell Liebermann, già nel disco, e un altro suo brano, più recente, articolato e ricco di sorprese, sebbene relativamente tradizionale. Curiosa la presenza, come nei due concerti precedenti, di un brano incentrato sulla timbrica e sviluppato lavorando con la sinistra sulle corde e con l'altra mano sui tasti; diversamente dai colleghi, però, il pianista fiorentino non ha usato l'artificio solo come introduzione, ma ha condotto la sperimentazione sonora a lungo, limitando l'uso di entrambe le mani a piena tastiera al solo finale, nel quale ha comunque ancora sviluppato il lavoro timbrico, facendo risuonare lo strumento con una potente opera di tambureggiamento. Il concerto si è concluso con un omaggio a Coltrane, mentre i bis—per ulteriore affinità a Jarrett—hanno dato spazio a due ballad, "What Kind of Fool Am I?" e una composizione di Cole Porter.

Tre eccellenti concerti e, più in generale, un bello spaccato del lavoro che si può svolgere in solitudine sulla tastiera, del quale attendiamo un nuovo episodio il prossimo anno.

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