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George Cables e Bill Stewart al Camera Jazz & Music Club di Bologna

George Cables e Bill Stewart al Camera Jazz & Music Club di Bologna

Courtesy Sergio Cimmino

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George Cables Quartet; Bill Stewart Trio
Camera Jazz & Music Club
Bologna
27 novembre e 13 dicembre 2024

Davvero atipico e sbilanciato il modo con cui è stato concepito il calendario del Bologna Jazz Festival 2024, che abbiamo già recensito nella sua parte preponderante. Per quanto riguarda la sua durata, il frontespizio del programma cartaceo portava genericamente "ottobre—novembre," ma altri due concerti si trovavano inseriti (fra l'altro ambedue con errori nell'indicazione della data) alla fine della presentazione di tutti gli altri; connotati dalla titolazione "Two more," quasi fossero un insperato bonus del festival, essi si sono svolti a una certa distanza temporale dagli eventi precedenti. I due appuntamenti, tenutisi al Camera Jazz & Music Club, in pieno centro storico del capoluogo emiliano, hanno proposto gruppi americani stimolanti e degni di un approfondimento per motivi diversi.

Il quartetto dell'ottantenne George Cables, compositore, pianista e leader che non ascoltavo da tempo e che ho trovato ancora nel pieno delle sue capacità espressive dopo oltre sessant'anni di attività, ha fatto tappa a Bologna durante un tour che, oltre a quelle italiane, prevedeva cinque serate all'Half Note Club di Atene ed altre in Germania ed Austria. Su un repertorio composito, Cables è risultato l'autore dei brani più rimarchevoli, a volte dedicati a storici colleghi. Oltre a un'apprezzabile sapienza armonica, come pianista ha sciorinato un procedere ritmicamente brioso, ma a tratti anche complicato da un avventuroso intreccio delle due mani. Notevole e funzionale il trio che lo sosteneva.

Il linguaggio al tenore e al soprano di Piero Odorici, di casa al Camera Club, di cui è il titolare, si è imposto non tanto per l'avventurosa spericolatezza o per un velleitario rinnovamento, bensì procedendo con un andamento disegnato con signorile lucidità e sostenuto da un sound pieno e risoluto; una modalità espressiva ora compassata ora più dinamica, ma sempre aderente ai temi. Ragguardevole anche il pizzicato deciso e secco, esteso su un ampio registro, del contrabbassista Josh Ginsburg, anche se il suo sound risultava un po' alonato nella posizione in cui mi trovavo. La grande esperienza e versatilità ha reso il batterista Jonathan Barber elemento affidabile e ideale in un contesto come questo; in un brano in duo con il leader è emerso un suo pregevole assolo eseguito sulle pelli a mani libere. Nel complesso il quartetto ha offerto un concerto compatto e tonico, caratterizzato dalla consapevole e orgogliosa aderenza a un modello classico, a un'espressività immediata e schietta.

Oltre due settimane dopo lo stesso Club ha ospitato il Bill Stewart Trio, che nel 2018 ha inciso un album a tutt'oggi rimasto inedito. Il combo ha dimostrato motivazione e una stretta coesione nell'affrontare un repertorio basato su original, del leader e del sassofonista Walter Smith III, ma che ha recuperato anche "Theme for Ernie" del dimenticato chitarrista e compositore Fred Lacey. Se il valore di Stewart e del contrabbassista Larry Grenadier è ben noto da decenni, motivo d'interesse per me era ascoltare dal vivo il tenorista quarantaquattrenne Smith III, messosi in luce in molti dischi propri e di altri gruppi e leader, firmando quest'anno un pregevole album per la Blue Note. Dopo l'esposizione dei temi, limpida e decisa, il suo fraseggio si è inoltrato in una ricerca improvvisativa che, partendo da un atteggiamento sornione e ondivago, quasi d'attesa, si è poi scatenato, spesso raddoppiando il tempo, in veloci e organiche sequenze di note, piene di virtuosismi e di piccole trovate eccentriche. Questo eloquio, sul suo Selmer del 1949, era accompagnato da un sound personalissimo, per lo più morbido e avvolgente, che negli sviluppi più tonici ha preso inflessioni trascinanti, ora d'impulsiva determinazione ora di volatile leggerezza.

La funzione di sostegno e solistica di Larry Grenadier è emersa in ogni brano, elaborando un ineludibile tessuto connettivo e prendendo assoli avvincenti col suo pizzicato diretto e ben definito nel dare un senso preciso alle sue vigorose visioni interpretative. Infine non c'è bisogno di ribadire la maestria del cinquantottenne leader; il suo drumming, sempre improntato ad un senso ritmico incalzante e propulsivo, si è mosso con grande inventiva su pelli e piatti, dando corpo a idee anomale e accenti di straordinaria potenza alternati a impalpabili raffinatezze con le spazzole. La compattezza di questo trio, formato da tre forti personalità in perfetta simbiosi fra di loro, ha donato un concerto denso e coinvolgente, forse non memorabile in senso assoluto, ma dimostrazione alta e autentica di quanto può esprimere l'attualità jazzistica statunitense. La sera successiva la formazione ha replicato la propria esibizione spostandosi al Torrione Jazz Club di Ferrara.

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