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Genius Loci 2024

Genius Loci 2024

Courtesy Alessandro Botticelli

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Complesso Monumentale di Santa Croce
Genius Loci 2024
Firenze
26-29 Settembre 2024

Per il settimo anno l'Opera di Santa Croce ha aperto gli spazi del meraviglioso complesso monumentale che circonda la basilica fiorentina per dar vita al caleidoscopico festival Genius Loci, due serate (e un'alba) di concerti, spettacoli teatrali, talking e dibattiti all'insegna della cultura, organizzati con l'attiva collaborazione di Controradio e dell'associazione La Nottola di Minerva, quest'anno dedicati al quanto mai delicato rapporto tra l'uomo e la natura.

Come nelle precedenti edizioni gli eventi si sono svolti in quasi contemporanea nel secondo chiostro della basilica, nella Cappella de' Pazzi, capolavoro rinascimentale opera di Filippo Brunelleschi —che viene riservata a particolari proposte musicali che possano valorizzarne le specificità acustiche —e nel Cenacolo, con lo spettacolare affresco di Taddeo Gaddi raffigurante l'Albero della Vita. E come in passato documenteremo gli eventi musicali, o quantomeno quelli che siamo riusciti a seguire, stante la contemporaneità di alcuni.

Nel chiostro il venerdì 26 era dedicato alla scena musicale inglese, con un'attualissima proposta di Nu Jazz, seguita da una formazione di storici protagonisti del progressive. La prima era quella guidata da Ruth Goller, bassista elettrica e cantante altoatesina da vent'anni residente a Londra, affermatasi nel 2021 con un lavoro in solo, Skylla, poi estesosi a quartetto in Skyllumina, pubblicato quest'anno da International Anthem, con la batteria di Emanuele Maniscalco le voci di Lauren Kinsella e Alice Grant. All'ascolto, però, il progetto ha profondamente deluso: le atmosfere notturne e i ritmi lenti sono parsi ripetitivi, privi di elementi significativi, gli intrecci tra le voci lassi e poco comunicativi, né sono bastati alcuni buoni interventi di Maniscalco a riscattare un set che non è mai riuscito ad accendersi.

Ben diverso il lungo concerto successivo, attesissimo da un pubblico assai folto e che vedeva di scena la band di John Greaves, protagonista del progressive fin dagli anni Settanta e bassista di gruppi come Harry Cow e i Genesis, nonché collaboratore di Robert Wyatt. E proprio alla musica di questi ultimi era dedicato un concerto che aveva sul palco altri protagonisti di quell'epoca, come la trombonista Annie Whitehead, già con Wyatt, il sassofonista Mel Collins e il chitarrista Jakko M. Jakszyk, entrambi parte dei King Krimson, e più giovani artisti della scena prog come il batterista francese Règis Boulard e la pianista e cantante italiana Annie Barbazza. Una formazione di grandi individualità che ha dato vita a un concerto intenso e di indubbia qualità, impreziosito da molti eccellenti interventi in assolo e molto apprezzato dai presenti —complice una selezione musicale che strizzava l'occhio anche alla nostalgia. Uno spettacolo che ha mostrato quanto ricca e profetica fosse la scena del progressive britannico, con i suoi intrecci multigenere e la qualità compositiva dei suoi rappresentanti, ma anche quanto fecondo possa essere oggi andare a riprenderne l'eredità artistica.

Sempre il venerdì, l'acustica risonante della Cappella de' Pazzi era riservata a Sliders, trio di tromboni composto da Filippo Vignato, Federico Pierantoni e Lorenzo Manfredini. L'atipica formazione, che è in piedi da qualche tempo e che nel corso dell'anno dovrebbe vedere l'uscita del primo album, ha svolto due set separati, alternando brani originali a singolari versioni di brani celeberrimi e bellissimi —su tutti, "Palhaço" di Egberto Gismonti —sempre giocando sui raffinati arrangiamenti che intrecciavano le tre voci, sfruttandone le molteplici possibilità timbriche anche differenziandone di volta in volta le modalità espressive. Nel secondo set, sempre più a loro agio nello spazio ricco di riverberi (in alcuni casi il ritorno delle note supera i quattro secondi), i tre si sono dedicati soprattutto a brani dal gusto quasi liturgico, che —riducendo l'aspetto ritmico e le sovrapposizioni delle note —permetteva loro di giocare con le eco e di valorizzare l'acustica, con i suoni che riempivano la cappella abbracciando gli ascoltatori, con effetti di grande fascino. Un bel concerto, dalla forte suggestione, di un gruppo che comunque è di grande interesse anche in spazi meno particolari e "difficili," del quale aspettiamo con curiosità la documentazione su disco.

Sempre nella Cappella de' Pazzi, il giorno successivo era di scena un'altra, ma ben diversa, formazione atipica: Naom, duo di percussioni composta dal vibrafonista Nazareno Caputo e dal batterista Omar Cecchi. Presenti con un doppio, imponente set di percussioni —vibrafono, marimba, gong per Caputo, batteria, gong, triangoli e una molteplicità di altri oggetti per Cecchi —i due hanno ripreso e riadattato agli spazi la loro ricerca su ritmi e timbri che ha già dato per frutto il recente album Radici, uscito per Aut Records. In questo caso i set separati sono stati addirittura tre e, come nel disco, hanno spaziato dalle ispirazioni contemporanee a quelle indiane, con l'uso del konnakkol (l'espressione vocale dei ritmi attraverso fonemi), passando per altre tradizioni musicali. Il tutto arricchito dall'improvvisazione, che qui ha preso più ampio spazio per la necessità di tener conto degli effetti sonori della particolarissima acustica della cappella. Il risultato è stato di fatto eccellente, perché la miriade di timbri sprigionati dalle molteplici percussioni si è avvalsa degli spazi, componendosi —anche grazie all'atteso ascolto reciproco e alla grande intesa dei due artisti —in affascinanti affreschi sonori. Assai apprezzati, a dispetto della loro inusualità, dal pubblico presente, ma anche da chi, come chi scrive, conosceva bene il loro disco, che ne ha nondimeno apprezzato l'adattamento agli spazi e l'estensione in direzioni acustiche nuove.

Nel chiostro il venerdì prevedeva due concerti, come quelli del giorno precedente ai confini con il jazz. Il primo era quello di The Bass Gang, quartetto di soli contrabbassi italiani che mescola in modo personale e spettacolare musiche di ogni genere e provenienza. Con grande maestria tecnica —Antonio Sciancalepore, Andrea Pighi, Alberto Bocini e Amerigo Berardi hanno ruoli di spicco in alcune delle maggiori orchestre classiche nazionali —i quattro hanno presentato una serie di suite di brani perlopiù noti, ora dedicate ad autori, come quella che raccoglieva alcune famosi temi di Morricone, ora a temi —come quelle sulle stagioni, nelle quali si saltava da citazioni di Vivaldi a canzoni popolari o classiche sull'argomento. Tutto molto divertente e ben eseguito, colto ma senza troppa serietà, per uno spettacolo adatto a tutti i palati.

Su un piano diverso, ma in qualche modo parallelo, il concerto successivo, in scena il Maurizio Geri Swingtet. La formazione, rinnovata rispetto al passato, vedeva accanto al chitarrista e cantante pistoiese la fisarmonica di Giacomo Tosti, il contrabbasso di Pippi Dimonte e il clarinetto di Nico Gori, e ha alternato composizioni di Geri —come quella dedicata al cane Tito, che per anni non raramente saliva sul palco in occasione dei bis —a noti brani delle più diverse provenienze, come canti della tradizione, una canzone di Paolo Conte e l'ellingtoniana "Caravan," interpretata con ritmi un po' manouche e con assoli strepitosi di un Nico Gori che, da par suo, ha impreziosito l'intero concerto.

A concludere la serata, prima del concerto finale di Andrea Motis all'alba, nella magica cornice del cenacolo è andato in scena il concerto del trio world composto dal griot gambiano Jabel Kanuteh, cantante e suonatore di kora maliano, dal multistrumentista maliano Kalifa Kone, alle prese con djembé, ngoni e flauti, e dal batterista e percussionista italiano Marco Zanotti. Ritmi e timbri tipicamente africani, non molto "addomesticati" e fortemente ispirati a danze rituali, alle quali contagiosamente invitavano gli ascoltatori. Un sipario ideale per una manifestazione votata alla comunicazione e all'intreccio tra le arti e le culture, tra il sacro e il profano, che anche quest'anno ha visto una folta partecipazione e ha avuto riscosso un chiaro successo.

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