Home » Articoli » Live Review » Evan Parker Solo
Evan Parker Solo
ByUn’ora scarsa di musica, ma ad alta intensità, quella proposta al Musicus Concentus di Firenze da Evan Parker, in uno dei suoi spettacolari concerti per sax soprano solo.
Dopo la morte di Steve Lacy, Parker è uno dei pochi specialisti - e certo tra i più autorevoli - di questa particolare performance (clicca qui per leggere la recensione del suo più recente lavoro in solitudine Time Lapse), che unisce alle difficoltà della presentazione sul palco di un unico strumento quelle intrinseche al soprano, strumento ostico per eccellenza (clicca qui per leggere cosa ne pensa un sopranista italiano, Gianni Mimmo).
Ma Parker - “una leggenda”, come è stato giustamente sottolineato durante l'introduzione al concerto - ha sviluppato ed affinato un linguaggio suo proprio, che poggia sull’uso intenso della respirazione circolare, degli armonici e dei sovracuti. Grazie a questo, le sue apparizioni in solo sono qualcosa di assolutamente particolare, che in alcuni momenti danno la sensazione della presenza sul palco di più strumenti che suonano contemporaneamente, e che anche scenicamente sono fortemente coinvolgenti, per la “fusione” tra musicista e strumento che Parker riesce a trasmettere.
Il concerto alla Sala Vanni è iniziato con un lungo brano, quasi venti minuti, durante il quale Parker ha ripreso fiato non più di tre o quattro volte, per il resto procedendo in respirazione circolare senza soluzione di continuità. Un prolungato flusso sonoro ricco di colori e screziature, dalle quali emergevano a momenti piccole frasi e, soprattutto, ritmi, grazie all’intercalare del registro basso e di quello alto. Straordinario al punto di vista tecnico, Parker ha però messo la sua abilità al servizio di una comunicazione coerente e pulsante, a momenti quasi ipnotica.
Nel secondo brano, più breve (una decina di minuti), si è passati ad un omaggio a Monk, trasfigurato però dal linguaggio parkeriano e dal quale trasparivano accenni lacyani. La presenza, specie nella fase iniziale, di stacchi e di una maggiore accentazione delle frasi, con una cadenza ritmica più “normale”, ha avuto un effetto quasi straniante, dopo l’intenso e ininterrotto brano precedente.
Diretto ed esplicito omaggio a Lacy il terzo, breve pezzo, di neppure cinque minuti. Ma, anche qui, che Lacy! Ben diverso dall’originale, privo delle sue normali pause, avvolto nel “mantello” di armonici e sovracuti tessuto dal “sarto” Parker, tanto da renderlo sì riconoscibile, ma al tempo stesso anche ben altro dal Lacy che conosciamo. E sorte analoga, poco dopo, è toccata a Dolphy.
Uno spettacolo, quindi, straordinario e unico, che infatti ha visto un pubblico numeroso e entusiasta, nonostante non si trattasse certo di musica “facile”, ‘ché anzi richiedeva estrema attenzione d’ascolto. Buona notizia, anche se al cospetto, comunque, di una “leggenda”.
Foto di Claudio Casanova
Tags
PREVIOUS / NEXT
Support All About Jazz
