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Enrico Rava

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01. Tony Bennett - The Art of Romance (Sony - 2004).

E' un disco che non conoscevo, e devo ringraziare il patron della Philology che me l'ha inviato un paio di giorni fa. Bennett è accompagnato da una splendida orchestra diretta da Johnny Mandel (autore di quasi tutti gli arrangiamenti) e vi è la partecipazione in cinque brani di un Phil Woods strepitoso. Il disco è del 2004 quindi sia Bennett che Woods sono due ottantenni che ci portano a pensare che in realtà la vecchiaia non esiste. Tony Bennett non ha MAI cantato così bene, il suo stile si è asciugato lasciando da parte certe esagerazioni del passato, la sua voce è intensissima e emozionante. In quanto a Phil non ho parole per descrivere la bellezza del suo suono, la fluidità e la melodicità delle sue frasi.

02. Michael Jackson - Bad (Epic - 1987).

Non mi stancherò mai di ascoltare questo disco meraviglioso, forse il suo disco più bello insieme a Thriller. La collaborazione Jackson-Quincy Jones ha prodotto una musica sublime, piena di invenzioni e di sorprese. Più mi concentro su questo CD più scopro cose di cui non mio ero reso conto prima. Per me Michael Jackson è uno dei grandissimi artisti del '900.

03. Louis Armstrong - and His Hot Seven (1927).

Qui c'è poco da dire. Satchmo è il jazz, ed è il più grande di tutti. "Potato Head Blues" è, come dice Woody Allen, una delle ragioni per cui vale la pena vivere.

04. Bix Beiderbecke - I'm Coming Virginia (1927).

Anche qui siamo nel 1927 (evidentemente un anno magico). Ho scoperto questo brano quando avevo circa otto anni. Non so quante volte l'ho ascoltato. Sicuramente migliaia di volte e continua ad emozionarmi. Il gruppo è quello di Frankie Trumbauer, grandissimo sassofonista, quello che insieme a Bud Freeman ha praticamente inventato il fraseggio del sax, tanto da essere fonte d'ispirazione per Lester Young. Il tema lo suona lui, quasi una preparazione per la stupenda entrata di Bix che con poche note ci fa capire di essere un genio assoluto d'una modernità stravolgente.

05. Russ Freeman & Chet Baker - Quartet (Pacific - 1956).

Chet è al suo massimo. Non ha ancora perso la freschezza dei suo primi dischi (quelli con Mulligan) e ha guadagnato in solidità. Il controllo dello strumento è assoluto. In quanto a Russ Freeman è stato sicuramente uno dei pianisti e compositori più originali della West Coast. Io adoro in modo particolare il suo brano "Fan Tan" che qui viene suonato meravigliosamente da Chet.

06. Stan Kenton - New Concepts of Artistry in Rhythm (Blue Note - 1989).

Sempre Piangerelli mi ha fatto arrivare un disco che avevo perso anni fa e che non riuscivo a trovare da nessuna parte. Di questo musicista si è detto tutto il bene e tutto il male possibile. Sta di fatto che se effettivamente parte della sua produzione soffre di una pomposità e di un kitsch a volte insopportabili, ci sono invece delle cose sue assolutamente geniali, e la sua orchestra è stata la palestra per alcuni dei migliori jazzisti e arrangiatori del suo tempo ed è stata un po' la madre del jazz californiano. In questo CD trovo particolarmente interessante il brano "Prologue (this is an orchestra)". Una composizione di Bill Russo che fa da sfondo alla voce di Kenton che spiega come funziona un'orchestra, presentandoci le varie sezioni e quindi tutti i musicisti, per ognuno dei quali Russo ha scritto un breve "siparietto" pensato in modo da esaltare le qualità dei vari musicisti. Straordinario Lee Konitz che in uno spazio minimo riesce a raccontarci la sua storia. E Maynard Ferguson che in pochi secondi percorre tutto lo spazio tra la terra e la stratosfera terminando su un Sib triplo acuto. Così come Frank Rosolino riesce immediatamente ad entrare nel vivo del discorso con quella sua tecnica che ne faceva un trombonista unico.

07. Basso-Valdambrini - Quintet (Dejavu - 2009).

E' il 1959 e questi che sono tra i padri storici del jazz moderno in Italia, erano al massimo della loro popolarità benché all'epoca il jazz fosse ancora musica per iniziati. Vale la pena di parlare della copertina che rispecchia in modo fedelissimo quel periodo in cui il "look" del musicisti era un qualcosa di cui non si teneva minimante conto. Infatti Basso e Valdambrini sono seduti per terra in mezzo a una strada (evidentemente il traffico non era particolarmente intenso) e fingono di suonare. Valdambrini con un golfino rosso impiegatizio e Basso con una maglia a rigoni trasversali assolutamente improbabile. Ciononostante (tirez sur l'art director) il disco è molto interessante e ne consiglio vivamente l'acquisto. Un Sellani ottimo sia nei soli che nell'accompagnamento, un ritmica (Cazzola e Azzolini) con un bello swing, un Valdambrini padrone di uno splendido suono e chetbakeriano come non mai. Ma chi è veramente speciale è Gianni Basso. Suona con una naturalezza e una scioltezza fuori dal comune, un grande senso melodico e un bellissimo tempo. Se invece di essere a Milano fosse stato a Los Angeles sarebbe stato uno dei grandi californiani, tipo Bob Cooper o Bill Perkins.

08. Beatles - White Album (Capitol -1968).

Qui non ho niente da dire se non che si tratta di un capolavoro assoluto, in altre parole uno dei momenti musicali più alti del '900.

09. Chet Baker - Chet Baker Ensemble (Pacific - 1953 / ristampa 2004).

E' un CD del 1953 di Chet che non è particolarmente gettonato e che io adoro. Quattro fiati: Chet, Jack Montrose, Herb Geller e Bob Gordon. Al piano l'indispensabile Russ Freemanm, Joe Mondragon al basso e Shelly Manne alla batteria. Tutti supermusicisti. Arrangiamenti di Jack Montrose (lo stesso che avrebbe arrangiato il disco West Coast di Clifford Brown). Questo disco, che nelle sue varie vite (prima LP da 25 cm, poi un 30 cm con altre cose di Chet, poi un primo CD, poi un secondo della Fresh Sound che include anche il sestetto con Brookmeyer) mi ha seguito e continua a seguirmi nei miei innumerevoli spostamenti. Non ne posso fare a meno. Baker aveva ventiquattro anni e suonava da non crederci. Riusciva a materializzare sullo strumento qualsiasi frase gli passasse per la mente e non assomigliava a nessuno. Per me una continua fonte d'ispirazione.

10. Miles Davis - The Lost Quintet (1969).

E infine il grande, grandissimo, Miles con un CD tratto da un cofanetto di dodici dischi non facilmente reperibile. Forse solo on line. Si tratta del gruppo del 1969, con uno Shorter incredibile che ormai aveva superato sia l'influenza di Coltrane che i limiti dello strumento, un Chick Corea nel suo momento più splendido, un grande Dave Holland e un immenso Jack DeJonnette. La musica è a cavallo tra il Miles acustico e il Miles elettrico. Con una certa influenza del free jazz. Comunque un Davis con un controllo dello strumento che non avrebbe mai più avuto, un suono meraviglioso e quel senso del racconto e della drammaturgia che ne fanno secondo me il più grande musicista post bop e il trombettista moderno che amo di più.

Foto di Claudio Casanova

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