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Emma-Jean Thackray al Bronson Club di Ravenna

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Emma-Jean Thackray
Bronson Club Ravenna
24.1.2020

Introspettiva e underground l'atmosfera al Bronson Club di Ravenna per il primo concerto in Italia della britannica Emma-Jean Thackray, compositrice, produttrice, poli-strumentista, cantante, bandleader nonché DJ fra le più talentuose e poliedriche dell'attuale panorama musicale. La platea dei presenti non è numerosa ma selezionata e trepidante nell'attesa di ascoltare un'artista emergente che si è fatta notare per un percorso insolito e variegato (la Thackray ha suonato con ottimi risultati sia nelle bande di ottoni che con la London Symphony Orchestra), per una serie di esibizioni dal vivo impattanti soprattutto dal punto di vista emotivo e per l'ottimo esordio su disco di Ley Lines del 2018.

Il successo di critica e pubblico della Thackray ha di recente valicato i confini nazionali britannici, soprattutto grazie all'attenzione da parte di Makaya McCraven e della International Anthem, che l'hanno prima coinvolta in Where We Come From, mixtape di incontro fra la scena jazz di Chicago e quella di Londra in cui la Thackray compare con il singolo "Too Shy," e poi inclusa, con una versione in 12'' dello stesso singolo, nell'omonimo split EP, che si avvale della preziosa partecipazione nel B side di Gilles Peterson oltre che, ovviamente, dell'onnipresente Re Mida McCraven.

Che ci si trovi di fronte a una capacità di creare e condividere musica che va ben oltre il talento e la genialità, è evidente fin dai primi eterei riverberi della tromba che la Thackray fa vibrare nell'aria per lanciare, in un inizio ipnotico e travolgente, "Ley Lines" e "Make Do," punti d'incontro fra le atmosfere di Sketches of Spain di Miles Davis e i grooves ossessivo-tribali di DJ Dilla.

È piuttosto il flusso di emozioni che si scambiano musicisti e pubblico la sorgente di energia che ramifica le melodie in spirali di improvvisazione: assistiamo infatti a un concerto senza setlist, qualcosa che nasce dal nulla, improvvisamente, senza preconcetti, e al nulla ritorna, dopo aver assunto forme nuove e inattese. I sospiri lirici della tromba sono a tratti interrotti per lasciar spazio ai beat e alle vocalizzazioni mantriche che sgomitano fra le trame sonore tattili intrecciate dalla batteria di Dougal Taylor e dalle tastiere di Lyle Barton; il tutto tenuto insieme dagli eleganti barriti al trombone di Ben Kelly, che si carica sulle spalle il ruolo strutturante del contrabbasso, favorendo però ritmi sincopati particolarmente adatti ai deragliamenti delle sonorità.

La dimensione live dimostra ancora di più che il tentativo di ingabbiare questo tipo di musica all'interno di un qualsivoglia genere è riduttivo oltre che fuorviante. Il termine "jazz-non-jazz" che una parte del mondo della critica ha coniato in riferimento alla musica della Thackray, sebbene evochi incisivamente l'mpossibilità di una forma stabile (e, del resto, non viviamo forse nel tempo della dispersione?), resta comunque un'etichetta. L'impressione durante il concerto è che questa musica, aldilà di ogni possibile analisi, sia un flusso in cui immergersi e nuotare, ogni bracciata un passo in avanti verso una zona più limpida dello sguardo.

Foto per gentile concessione di Bronson Produzioni.

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