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Dentro al "Nuovo Monastero" con Nels Cline
Intervista di Rex Butters
Nels Cline ha recentemente festeggiato il suo cinquantesimo compleanno con un concerto in compagnia del fratello gemello Alex al Cryptonight di Los Angeles - locale del produttore Jeff Gauthier, titolare dell'etichetta Cryptogramophone - dimostrando di essere in piena forma. Musicista eclettico, è capace di passare dai suoni ed effetti rumoristici creati usando utensili da cucina sulla sua chitarra preparata, ad interventi pieni di pathos che arricchiscono i brani di Willie Nelson, per poi suonare rock con i Wilco, oppure dare una sua rilettura delle musiche di Miles Davis, John Coltrane, ed ora di Andrew Hill. Per la Cryptogramophone ha da poco realizzato New Monastery: A View into the Music of Andrew Hill, in compagnia di Scott Amendola e Devin Hoff - rispettivamente alla batteria e al contrabbasso, già suoi colleghi nel gruppo Nels Cline Singers - oltre al contributo di Ben Goldberg al clarinetto, Bobby Bradford alla cornetta e Andrea Parkins alla fisarmonica. L'anno scorso il suo The Giant Pin (Cryptogramophone), con i Nels Cline Singers, è comparso in varie classifiche dei migliori dischi dell'anno.
Abbiamo incontrato Cline per parlare di New Monastery mentre, indaffaratissimo, si preparava a partire per un tour di un mese con i Wilco.
All About Jazz: Quando hai deciso di dedicare un tributo ad un musicista poco noto, hai vagliato una lunga lista di nomi?
Nels Cline: Ci ho messo tre secondi per decidere di lavorare alle musiche di Andrew Hill, senza neanche sapere che Ben [Goldberg] in passato aveva suonato con lui. In seguito, quando stavo valutando quali pezzi avremmo suonato, ho realizzato che avevamo bisogno di un trombettista. Non ero sicuro se Bobby Bradford volesse fare qualcosa del genere, ma l'ho chiamato lo stesso e lui si è dimostrato entusiasta. Non ero mai riuscito a registrare con Bobby in tutti questi anni in cui ci è capitato di suonare assieme.
Ricordo la prima volta che ci siamo incontrati: io avevo diciott'anni e, ora che ci penso, lui è stato il primo vero musicista jazz con cui abbia suonato. Avevo fatto una audizione con lui, senza però riuscire ad ottenere il posto. Nonostante tutto fu molto gentile e, in effetti, lui e John Carter hanno sempre dimostrato interesse sia verso me che verso mio fratello, incoraggiandoci molto. Perciò è stato un vero onore per me che lui faccia parte del progetto, e scoprire quanto ne fosse coinvolto.
In qualche modo è successa la stessa cosa quando ho registrato Interstellar Space (Atavistic) con Gregg Bendian. C'erano tutta una serie di presupposti di cui io in un modo o nell'altro non ero venuto a conoscenza. Per quanto riguarda questo lavoro su Andrew Hill, non sapevo che lui avesse un album in uscita per quest'anno [Time Lines - N.d.T.]. Non sapevo neanche che Antony Braxton avesse fatto un disco con le sue musiche (un disco che sto ancora cercando). Ieri qualcuno mi ha detto di aver sentito che il sassofonista Peter Apfelbaum sta lavorando a degli arrangiamenti della musica di Hill. Insomma, senza saperlo faccio parte di una crescente tendenza spinta dall'energia di Andrew Hill e, personalmente, ritengo che non possa che essere una cosa positiva.
Quando mi è venuta l'idea, volevo che fosse la musica di qualcuno ancora in vita, perchè di solito tendiamo a dare enfasi al fatto quando un grande musicista muore. So di aver partecipato a questo genere di omaggi a persone scomparse, e certo non c'è niente di sbagliato in tutto questo, ma penso che sia sintomo di debolezza umana rendere omaggio sempre e solo ai morti. E' incredibile quanta gente non conosca affatto Andrew Hill, fra quelli a cui ho parlato del progetto, e questo mi porta a credere di aver fatto la cosa giusta. Non perchè pensi di gettare nuova luce sul suo lavoro, o attirare l'attenzione di un pubblico più ampio verso Andrew Hill, ma perchè ritengo che l'architettura e il contenuto delle sue composizioni e del suo stile hanno qualcosa in cui noi, come interpreti, possiamo inserirci subito.
E penso di aver avuto ragione. Certo, il nostro è stato un approccio più free jazz, l'intento non era quello di ricreare una sorta di session Blue Note (tra l'altro non abbiamo usato solo materiale Blue Note). Usiamo l'elettronica e non c'è il pianoforte, ma sono convinto che ognuno riesca a cogliere l'essenza dei brani, l'originalità, e spero ne siano nate delle nuove versioni che il pubblico possa apprezzare. Non c'è nessun pretesa di rivelare qualcosa di nuovo, solo delle versioni di brani fatte per appagarci come individui e colletivamente come ensemble.
AAJ: Hai imparato i pezzi sullo spartito o ad orecchio?
N.C.: Ecco quello che ho fatto, dato che sono una specie di idiota. Incontrai Andrew Hill molti anni fa, al Festival Jazz di Skopje in Macedonia, dove suonavo con gli Interzone di Gregg Bendian, mentre lui era lì con il suo trio. E' stato proprio piacevole incontrarlo, ma sono sicuro che lui non se lo ricordi. Conosco un paio di persone che hanno suonato con lui, Marty Ehrlich ad esempio lo fa ancora di tanto in tanto. Così ho pensato che potevo scoprire di quanti di questi pezzi lui aveva ancora le musiche, ma Ben Goldberg mi disse che era convinto che fossero andate distrutte in un incendio del suo garage qualche anno fa. I miei tentativi di contattare Andrew telefonicamente non ebbero successo, non riuscivamo mai a trovarci. Dato che si avvicinava sempre più il momento in cui avrei dovuto registrare, non potevo fare altro che sedermi e trascrivere le musiche dal disco per poi arrangiarle. Per questo è possibile che ci siano delle note sbagliate, dato che la parte che riguarda l'armonia e gli accordi è molto soggettiva, ed io ero molto interessato a capire alcuni dei suoi concetti armonici. Sapere quello che pensava poteva aiutarmi a capire meglio. Quindi quello che sentite è di fatto quello che io sono riuscito a cogliere, contando anche sull'apporto del gruppo a cui ho chiesto non solo di lavorare sulle loro parti ma anche di darmi le loro osservazioni.
Sono molto aperto ai suggerimenti. Uno dei modi in cui abbiamo affrontato i brani - e questa era una mia idea - è stato quello di fare delle suite utilizzando i vari temi, in modo da avere degli assoli che facessero da collegamento da un pezzo all'altro. Non solo sentivo che questo poteva essere il modo di interazione più adatto come musicisti, ma penso che rappresenti anche il modo di essere della musica di Andrew adesso, anzi già da un pò. Penso che il brano "Spectrum" contenuto in Point of Departure (Blue Note, 1964), che noi non facciamo, sia un ottimo esempio che indica la direzione che stava prendendo la sua musica: più episodica e più libera.
Penso che il mio lavoro rifletta ciò che è stata la musica di Andrew Hill negli ultimi vent'anni, specialmente per gli ensemble allargati. Vorrei aggiungere che i brani che ho scelto non sono una raccolta dei miei preferiti, ma pezzi che sapevo che avremmo suonato bene, senza rovinarli. Ad esempio, Bobby Bradford come trombettista non ha lo stesso stile di Dave Douglas, ma quello che mi interessava era che mettesse la sua voce a disposizione della musica, non che si perdesse in un intricato groviglio di parti per tromba.
Volevo semplicemente che tutti si sentissero a proprio agio, senza pensare di dover fare delle acrobazie. Questo perchè la musica di Andrew è in parte ardua, ma una buona parte invece è molto diretta, cantabile, con delle armonie meravigliose. Inoltre volevo inserire qualche stranezza, come la versione di "McNeil Island" dal disco Black Fire (Blue Note, 1963), che noi facciamo in duo, chitarra e clarinetto, sulla quale Ben ha commentato: "Nessuno aveva mai rifatto questo brano". E' stato divertente.
C'è una parte in un brano, del quale non sono sicuro neanche come si pronunci il titolo, per la quale ho lasciato diversi messaggi alla segreteria telefonica di Andrew, e che mi sarebbe veramente piaciuto avere. Il brano, "Not Sa No Sa", ha una parte iniziale molto veloce, così ho chiamato Marty Ehrlich che però ha rigirato la cosa a Ron Horton. Ognuno di noi era in tour, e quindi non ottenni la musica molto in fretta. Così, quello che sentite ora è una versione da leggenda metropolitana sfilacciata. E' andata proprio così.
All'inizio volevo fare anche un pezzo dal disco che realizzò con un quartetto jazz e un quartetto d'archi, che si può sentire in One for One in un album degli anni settanta [Ndr: di fatto si tratta di un brano apparso sia sull'album omonimo che su Cosmos entrambi pubblicati dalla Blue Note]. Mi sarebbe piaciuto avere le partiture originali della sezione archi, invece che provare a trascriverle. Avremmo dovuto prendere un quartetto d'archi, ma poi avevamo superato lo spazio disponibile sul disco. Volevo proprio aggiungere questa sorta di decorazione extra al disco, e ora tutti mi dicono che di sicuro potrò farlo in un secondo volume.
AAJ: Sembra che i dischi di Hill pubblicati della Palmetto abbiano riportato l'attenzione su di lui.
N.C.: Mentre mi trovavo a Toronto qualcuno mi diede una copia del magazine CODA, per farmi notare che il nostro The Giant Pin era in alcune classifiche di fine anno, e lì ci ho trovato anche The Day the World Stood Still (Stunt, 2003) del Andrew Hill Jazz Octet plus 1. Visto che compariva in una classifica ho provato a cercarlo, ma non sono riuscito a trovarlo. Alla fine un amico l'ha visto comparire su ebay e lo ha acquistato per me.
Si tratta di un altro disco live con questi musicisti scandinavi, ben accolto dalla critica, ma comprarlo è stata una vera impresa. Andrew è nel mondo accademico da parecchio ormai, per questo non lo si vede più molto in giro suppongo, perchè sta insegnando. Ma pensa anche a tutti gli importanti artisti degli anni ottanta, durante gli anni di Reagan, che vedevo esibirsi in grandi spazi, mentre ora suonano in club da cinquanta-cento persone. Quanto tempo puoi campare in questo modo? La gente trova altro da fare per andare avanti.
AAJ: Hai già addocchiato qualche artista per un altro tributo?
N.C.: Ce ne sono due in effetti,e credo che questa faccenda diventi un pò pericolosa. Come sai, sono stato in due gruppi che facevano musica del periodo elettrico di Miles Davis: gli Yo Miles e il Silent Way Project di Marc Isham. Quando morì Tony Williams, io, mio fratello Alex e il pianista Wayne Peet suonammo l'Alligator Lounge, un omaggio al Lifetime reso ad una settimana dalla sua morte, praticamente senza fare le prove, del quale c'è anche una registrazione in giro. Poi ho fatto anche Interstellar Space con Gregg Bendian. Non vorrei diventare il re dei dischi tributo.
Il motivo per cui ho realizzato questo disco è che per via di Wilco e tutto il resto ultimamente c'è un pò più d'attenzione su di me, e allora ho voluto dire qualcosa riguardo alla musica che per me è importante e che non è stata presa in considerazione da chi mi ha valutato.
Ci sono altre due cose che mi vengono in mente e sono legate a quello di cui abbiamo discusso. Mi piacerebbe rifare, anche se sarebbe molto dura, The Horizon Beyond (Emarcy, 1966) del quartetto del chitarrista Attila Zoller. Si tratta di un disco magnifico ed estremamente cupo che ha esercitato una forte influenza su di me quando l'ho sentito negli anni settanta.
Poi volevo aggiungere che ho suonato con il chitarrista Jeff Parker. Lo scorso dicembre abbiamo proposto la nostra versione, in quartetto, del disco di Paul Bley Turning Point (Improvising Artists, 1964), che contiene composizioni di Carla Bley. L'ho trovata una cosa molto divertente, mi venivano molte idee. Con noi c'erano Nate McBride al contrabbasso e Frank Rosaly alla batteria, che io non conoscevo prima ma sono stati magnifici. Suonerei di tutto insieme a loro e a Jeff. Mi piace molto suonare con lui.
AAJ: La provenienza da Chicago si sente.
N.C.: Eccome. Penso che abbiano fatto molto per raggiungere questa considerazione di loro stessi, una sorta di impegno costante. Non penso che siano dei musicisti come un altro posto qualsiasi, penso che abbiano una identità propria. A Los Angeles ci sono molti grandi musicisti, ma non hanno una identità forte. Forse perchè a Los Angeles ognuno ha sempre voglia di attaccar briga sul fatto di essere di LA, e certo non gli viene nessun aiuto dall'esterno, dove nessuno pensa che succeda qualcosa di positivo a Los Angeles. Ovviamente la storia proverà che hanno torto.
Una delle cose che mi è sempre piaciuta del vivere a LA - e per qualche strana ragione ci ho vissuto tutta la vita - è che non solo ho sempre trovato qualche buon musicista con cui suonare - e ora ci sono più musicisti creativi che in passato - ma anche perchè ci troviamo tutti sulla stessa barca. Non c'è molta competizione, non ci si ammassa uno sull'altro per le stesse tre serate. Alla fin dei conti per che cosa dovremmo battagliare? Non è molto differente dalle altre grandi città americane, ma la percezione che si ha è importante. Nessuno fa soldi a palate suonando a New York City. Tutti vanno in Europa, in Giappone, ovunque, per essere pagati.
Discografia selezionata
Nels Cline, New Monastery: A View into the Music of Andrew Hill
Wilco, Kicking Television: Live in Chicago
Nels Cline - Wally Shoup - Chris Corsano, Immolation/Immersion (Strange Attractors, 2005)
Nels Cline Singers, The Giant Pin (Cryptogramophone, 2004)
Nels Cline - Andrea Parkins - Tom Rainey, Out Trios Volume Three: Ash and Tabula (Atavistic, 2004)
Nels Cline - Vinny Golia, The Entire Time (Nine Winds, 2004)
Nels Cline - Devin Sarno, Buried on Bunker Hill (Ground Fault, 2003)
Nels Cline Singers Instrumentals (Cryptogramophone, 2002)
Gregg Bendian's Interzone, Requiem for Jack Kirby (Atavistic, 2001)
Nels Cline, Destroy All (Atavistic, 2001)
Nels Cline, The Inkling (Cryptogramophone) (2000)
Interstellar Spaces Revisited (with Greg Bendian) (Atavistic, 1999)
Traduzione Stefano Sanna
Foto: Karen Cline (in alto) e Martin Morisette (in basso)
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