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Col folk armeno nel cuore - Intervista a Tigran Hamasyan
Dopo alcuni dischi in trio e in quartetto (New Era e World Passion) il suo recente lavoro in solo pubblicato dalla Verve ( A Fable) ha rivelato al grande pubblico la sua originale vena creativa che lo porta a fondere climi musicali anche molto diversi tra loro. Nel suo più recente tour in trio, svoltosi nel mese di novembre, momenti di forte concitazione ritmica si confrontavano con abbandoni poetici di grande lirismo o con richiami al folklore della sua Armenia.
L'intervista si è svolta il 22 novembre 2011, prima del concerto di Tigran al 43° Voll-Damm Barcelona Jazz Festival.
All About Jazz: Tigran, che effetto fa trovarsi sotto i riflettori dei media come uno dei nuovi volti del jazz?
Tigram Hasayan: Non ho prestato davvero molta attenzione a questo fatto. Naturalmente apprezzo che la gente e la stampa siano interessati a me e alla mia musica ma realmente non è una cosa che mi procuri chissà quali emozioni...
AAJ: Dico questo perché quando si è giovani un successo improvviso può avere aspetti sconcertanti. Magari ci si sente caricati di troppa responsabilità...
T.H. No, no. La cosa su cui sono maggiormente concentrato è la musica, tutto il resto è realmente secondario.
AAJ: Parlami del trio che presenti in questo tour. È già una formazione regolare? C'è in progetto un nuovo album?
T.H. Con Sam Minaie suoniamo assieme già da alcuni anni, sia in trio che in altri organici e Nate Wood ha collaborato con me nel disco A Fable. Ci conosciamo molto bene ma non credo che registreremo un disco assieme. Ho in progetto la registrazione di un nuovo lavoro ma sarà un organico più ampio, un quintetto o un sestetto.
AAJ: Rimaniamo ancora in tema. Dopo quelli di Bill Evans, Keith Jarrett e Brad Mehldau quanti margini di creatività restano per il piano trio?
T.H. Beh, non credo che la storia del piano trio si sia conclusa! Ci sono ancora molte cose da esplorare con questa formula strumentale, che resta per me sempre affascinante.
AAJ: Ti consideri un musicista jazz o un musicista e basta, senza etichette?
T.H. Mi considero un musicista jazz. Mi considero parte della tradizione di questa musica anche se quello che suono, o che suoniamo stasera con il trio, non è ciò che si dice straight ahead jazz. Cerchiamo di vedere le cose da una prospettiva un po' diversa...
AAJ: Nel tuo album A Fable c'è una compositione di George Ivanovich Gurdjieff intitolata "The Spinners". Il tuo interesse per quest'autore include anche gli scritti di filosofia?
T.H.: Non sono un conoscitore della filosofia di Gurdjieff e in effetti ho letto solo un suo libro anche se conosco molte cose su di lui. La sua visione è fortemente spirituale ed il suo modo di scrivere è molto intenso. Ma la sua musica è particolarmente interessante e la sua figura mi ispira molto.
AAJ: Altri brani di quell'album, come quello che gli dà il titolo, sono tue composizioni fortemente influenzate dalla tradizione del tuo Paese...
T.H.: Si, "A Fable" l'ho scritto alcuni anni fa e mi è stato ispirato da racconti popolari e favole medioevali armene.
AAJ: Tornando al jazz, quali sono state le tue principali influenze?
T.H.: Bud Powell, Herbie Hancock e tra le generazioni più recenti Craig Taborn, Brad Mehldau e Vijay Iyer. Ovviamente tutta la storia del jazz è ricca di pianisti che sono stati fondamentali per la mia formazione come Thelonious Monk o Art Tatum. Ma le influenza sono state molte e non escluderei anche figure meno note, come Jan Hammer.
AAJ: So che in passato, negli ultimi anni Novanta, hai cantato in una big band. Com'è stata quell'esperienza?
T.H.: Si, avevo 9 anni ed ero ancora in Armenia. A quell'epoca studiavo più canto che pianoforte ed ho fatto esperienza per un po' di tempo in un'orchestra jazz.
AAJ: Ci sono molti riferimenti al folk armeno nella tua musica. Suppongo che quei canti popolari siano stati molto presenti nella tua infanzia...
T.H.: Si, assolutamente. Ho iniziato a scoprire la bellezza dei canti tradizionali armeni quando avevo tredici anni e grazie all'esempio di musicisti come Jan Garbarek e Keith Jarrett ho iniziato a interessarmi ad ogni tipo di folk music.
AAJ: Hai suonato altri strumenti altre il pianoforte?
T.H.: No, ho iniziato con il pianoforte all'età di quattro anni e non ho mai suonato altri strumenti musicali.
AAJ: Nella tua famiglia ci sono altri musicisti?
T.H.: Mio zio è stato un chitarrista rock e una nostra parente cantava in un gruppo folk.
AAJ: Preferisci esibirti in un club o dare concerti in un festival?
T.H.: Naturalmente l'atmosfera di un club è più intima e invita il pubblico a una maggiore partecipazione ma per me non c'è molta differenza. Per me suonare in qualunque palcoscenico è sempre bello.
AAJ: Tu hai vissuto per un certo tempo in Francia nel decennio passato. Ci puoi parlare di quelle esperienze musicali?
T.H.: Sono stato invitato in Francia da Stephane Kochoyan nel 2001, in quello che è stato il mio primo tour fuori dall'Armenia. Ho suonato con due differenti coppie di fratelli: prima con Philip e Christophe Le Van, carissimi ragazzi, e poi con Francois e Louis Moutin, con cui ho inciso New Era. La Francia mi ha accolto bene. Ho avuto modo di dare altri concerti e di suonare con musicisti di grande valore come Pierre Michelot e Daniel Humair.
AAJ: In conclusione, hai qualche musicista con cui ti piacerebbe suonare?
T.H.: Mi piacerebbe suonare con Zakir Hussain, il grande virtuoso indiano di tabla.
Foto di Vahan Stepanyan (la prima e la terza) e Juan Carlos Hernandez (la seconda).
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