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Bill Frisell il collezionista
Una ipotesi di lettura critica di un linguaggio che ha plasmato l'immaginario della musica.
Si può cominciare la recensione di un disco dalla sua foto di copertina? Cominciavo così la recensione di un CD di Cecil Taylor, One Too Many Salty Swift and Not Goodbye2 (HatOLOGY 2-599, 2004) nel numero 28 di Jazzit del 2005 e continuavo: "In questo caso la risposta è affermativa vista la pregnanza dell'immagine di Dany Gignoux. Si vede uno scorcio del palco con pianoforte e fari di illuminazione coperti da un telo di plastica per proteggerli da un probabile temporale estivo. Taylor (pantaloncini corti e immancabile cappellino) è seduto, le mani poggiate sulla tastiera lasciata scoperta. La foto si presta ad una lettura bi-direzionale: il telo può essere stato appena messo e cioè sta coprendo oppure sta per essere tolto. In un caso il movimento è introverso, nell'altro estroverso. Allo stesso modo la musica di Taylor può essere vista come uno scavo all'interno di sé oppure come una scoperta, una rivelazione, uno svelamento (svelare, letteralmente togliere il velo). La stessa ambiguità possiede il suo pianismo talmente radicale da essere iperpianistico e antipianistico allo stesso tempo come se, camminando su un nastro di Moebius, il punto massimo di arrivo coincidesse con il suo contrario. Taylor ha una velocità e un controllo stupefacenti, le sue ondate sonore, le bordate di suoni gravi, i trilli, le quantità impossibili di note e cluster che produce creano un flusso che sta tra l'abisso del caos e una inaudita perfezione formale."
Mi aveva particolarmente colpito insomma la foto che il produttore elvetico Werner Uehlinger, grande amante di fotografia, aveva scelto per illustrare il disco tanto da vedervi un legame non solo didascalico (mostrare il musicista o i musicisti che suonano nel disco) o genericamente accessorio (accostare un'immagine che rendesse gradevole il prodotto o che fosse più o meno attinente alla musica o all'idea che della musica si vuole veicolare). In quel preciso caso la fotografia assolveva sicuramente a queste due esigenze ma aveva in sé elementi tali da instaurare con la musica un rapporto dialettico forte fondato sulle rispettive autonomie e autosufficienze.
Il significato delle fotografie è determinato anche dall'uso che se ne fa. La foto di Gignoux quasi sicuramente non è stata realizzata per finire sulla copertina di un album ma è più facile che ambisse alle pagine di una rivista o di un libro fotografico. Pubblicata invece in un disco acquisisce una nuova vita. Viene percepita e dice a chi la guarda cose diverse. Se è una buona foto, e la foto in questione lo è senza dubbio, sarà in grado di generare un racconto, un movimento che espande lo spazio/tempo fisso e limitato dell'immagine fotografica.
Queste riflessioni sul rapporto tra fotografia e musica in relazione a quel particolare prodotto che è il disco si possono applicare anche al CD di Bill Frisell, History, Mystery, pubblicato dalla Nonesuch (7559-79943-7, 2008).
Si tratta di un doppio registrato prevalentemente dal vivo in diversi concerti da un'ottetto di musicisti che con il cinquantottenne chitarrista di Baltimora hanno un lungo e consolidato rapporto di collaborazione. Ron Miles alla cornetta, Greg Tardy al sax tenore e clarinetto, Jenny Scheinman al violino, Eyvind Kang alla viola, Hank Roberts al violoncello, Tony Scherr al contrabbasso e Kenny Wollesen alla batteria. Il leader come di consueto alterna chitarre elettriche ed acustiche e fa uso, moderato, di effetti loops.
Le musiche attingono alle composizioni che Frisell ha realizzato per gli spettacoli multimediali con il fumettista e illustratore Jim Woodring (che ha disegnato la copertina di Gone, Just Like a Train e per il quale il chitarrista ha realizzato le musiche allegate al suo volume "Trosper" per la Fantagraphics Book nel 2001) "Mysterio Simpatico" e "Probability Cloud" tra il 2002 e il 2006. Completano la scaletta quattro cover: la danzante ed esotizzante "Baba Drame" di Boubacar Traore, una superba e ultraromantica "A Change Is Gonne Come" di Sam Cooke e le raffinate riletture di "Jackie-ing" di Monk e "Sub-Conscious Lee di Lee Konitz.
Se si escludono questi quattro brani le loro durate variano da meno di un minuto ai quattro minuti, superati solo in tre occasioni. Insomma si tratta in prevalenza di piccoli e piccolissimi quadri, miniature sonore nelle quali Frisell si trova perfettamente a suo agio e dove il suo pensiero compositivo si esprime con compiuto equilibrio.
Se la scelta dei brani altrui sembra essere stata compiuta in modo tale da fornire un quadro dei riferimenti del musicista, l'attenzione alle musiche folcloriche, alla black music popolare e al jazz moderno più intellettuale, sono quelli da lui firmati che ne rivelano l'identità. Per chi conosce i disegni di Woodring, i suoi coloratissimi paesaggi fantastici e surreali, le favole crudeli, le bizzarre creature, le visioni lisergiche di sogni infantili appare chiaro il tono generale della musica.
Amore per le melodie chiare, interesse per i semplici riff, la ripetitività, le atmosfere oniriche, i recuperi della musica popolare tradizionale americana, il tango, il valzer. Tutto con un'approccio che guarda con distacco intellettuale la materia trattata così che risulti essere completamente altra rispetto alle sue origini.
Melodie da circo alla Nino Rota verrebbe da dire, ovvero melodie che ci fanno pensare al circo ma che così, al circo, non le avremmo sentite e non le sentiremo mai.
Cosa evoca allora Bill Frisell con questi suoi carillon per ottetto?
Guardiamo le foto del disco. Sul fronte e sul retro due bambini. Uno è accovacciato tra i ciuffi d'erba davanti ad un bancone che sembra essere di una fiera, scorgiamo alcune foto di persone e la scritta Mistery of Birth, che ci riporta al titolo del disco. Sul retro una bambina seduta di spalle ad un piano verticale appoggiato ad una parete tappezzata a fiori. La bambina ha un grembiule a quadretti, macchiato; le calze cadenti e gli scarponcini slacciati. La bambina non guarda dritta in macchina, il bambino sì ma entrambi hanno un'espressione assorta in chissà quali pensieri, né triste né divertita. Le foto sono in un nitidissimo bianco e nero e chiunque le daterebbe tra gli Anni Trenta e Quaranta.
All'interno del CD ci sono altre due foto: sono due paesaggi rurali. Case, negozi, pali elettrici, un'automobile parcheggiata, strade deserte. Nessuna presenza umana. Paesaggi antropizzati ma senza la presenza dell'uomo. Anche in questo caso stile architettonico e insegne ci fornisco la datazione dello scatto fotografico.
Queste foto evidentemente non sono state scattate per comparire in una copertina di un disco di un musicista di jazz e dunque la scelta di usarle ci dice qualcosa sulle intenzioni estetiche di chi ha compiuto questa scelta. Mentre la foto di Gignoux rimanda direttamente al musicista e dunque appartiene all'ideale romantico di aderenza tra arte e vita, tra artista e opera che è esattamente quello che informa la musica di Cecil Taylor per il quale la sua musica è esattamente biografia sonora senza mediazioni in questo caso siano in un altro universo di riferimento. In questo disco invece le immagini non rimandano al musicista e nemmeno ad un ambiente musicale lontanamente assimilabile a quello nel quale vive.
Il collegamento avviene ad un altro livello.
Le foto provengono dagli archivi della Farm Security Administration, attualmente custoditi dalla Library of Congress, ente creato nel 1935 sotto la presidenza Roosvelt e diretto da Roy Emerson Stryker. La finalità di questo ambizioso e fortunato progetto era quello di documentare le aree rurali e i problemi rurali degli Stati Uniti. Al progetto lavorarono molti celebri fotografi tra i quali Russell Lee (autore delle due foto con i bambini), Jack Delano e Walker Evans (autori delle due foto di paesaggi).
Fu uno sforzo grandioso che coinvolse anche scrittori e che ebbe vasto ascolto nell'opinione pubblica. Si trattò di una grande operazione culturale progressista tendente a documentare, promuovere e migliorare.
Furono documentate le condizioni di vita delle classi popolari, si promosse il riconoscimento della loro dignità di esseri umani e cittadini e si migliorarono le loro condizioni anche grazie al consenso che queste immagini opportunamente pubblicizzate garantirono alle politiche sociali del governo. Quelle foto denunciavano una situazione intollerabile e allo stesso tempo ne mostravano la modificabilità. La chiave del messaggio era la bellezza. Queste persone povere e malvestite erano misere ma non miserabili, la loro povertà era dignitosa e dunque meritavano di essere aiutate. Quei paesaggi urbani con strade impolverate erano belli e quelle persone dai vestiti logori e dalle pelli rugose erano belle.
L'operazione rispondeva all'inossidabile ottimismo americano. Yes We Can!
Il fotografo non si immedesima nel soggetto, non partecipa emotivamente a quello che sta ritraendo. Quello che ci vuole mostrare è realtà distanziata da sé e da noi. Questo che vedete è. Non vi si chiede di coinvolgervi emotivamente con esso ma di trarne un giudizio.
Il mondo che vediamo non è il mondo caotico e distruttivo dell'emozione ma quello armonioso dell'ordine. Queste foto sono rigorosamente ordinate; in esse sembra che ogni cosa sia al suo posto in una quieta e naturale perfezione.
Torniamo alla musica. Ascoltiamo l'incedere delle marcette, le linee melodiche che si sovrappongono e si ripetono, il loop della chitarra. Ordine. Circolarità. Ma c'è anche in questa musica un'inquietudine, qualcosa di vago e irrisolto, qualcosa che appartiene al regno del sogno, della fantasia. Qualcosa che rimanda al mistero. Dicevamo che il significato delle foto è l'uso che se ne fa. Guardiamo le foto realizzate per un programma dalle finalità politiche e sociali stampate oggi sulla copertina di un CD di un jazzista intelligente e molto trendy.
I bambini. Le foto dei bambini hanno qualcosa di misterioso: gli sfondi sicuramente, il pianoforte ha come tutti gli strumenti qualcosa a che fare con il meraviglioso come le scritte alle spalle del bambino. Ma ancora di più il loro sguardo assorto, potremmo dire sognante, quei bambini sognano ad occhi aperti. Sono cioè lì ma anche in un altro posto. Come questa musica che suona una melodia che fa pensare ad una cosa ma non si è certi che sia quella. Sì, ci sembra che sia un'aria country ma il country non suona esattamente così, e quell'altra sembra proprio un blues e però...
Frisell gioca a evocare le musiche della tradizione, bianca e nera, ma non è un nostalgico, né un revivalista ma un artista postmoderno. Frisell è piuttosto un collezionista di musiche reali ed immaginarie. Come ha scritto Susan Sontag "ora che il corso della Storia moderna ha distrutto le tradizioni e disperso le totalità viventi nelle quali un tempo trovavano posto oggetti preziosi, il collezionista può mettersi in tutta coscienza a dissotterrare i frammenti più squisiti ed emblematici" [Nota 1]. Non avendo l'obbligo del valore socialmente riconosciuto di quello che raccoglie ma solo il valore che egli attribuisce alla sua personale collezione il musicista collezionista è libero di seguire il proprio intimo desiderio. Frisell su questo ha costruito album bellissimi come This Land (Elektra Nonesuch, 1994), sulla cui copertina campeggiava guarda caso un'altra foto di Walker Evans, e Quartet (Nonesuch, 1996) ovvero musiche composte per cartoni animati. History, Mystery non è visionario come Quartet e non ha l'ampiezza di sguardi di This Land eppure è intrigante proprio perché oscilla tra i due. "History/This Land" come aggancio alla storia, personale e collettiva e "Mystery/Quartet" come un volo nella terra dei sogni e delle visioni dei bambini, visioni di cartoni animati e fumetti. Il Paese meraviglioso di Little Nemo [Nota 2].
Roba per adulti saggi cioè adulti bambini.
Nota 1: Susan Sontag, "Sulla fotografia," Einaudi 2004.
Nota 2: Il fumetto "Little Nemo in Slumberland" di Winsor McCay fu pubblicato dal 1905 sul New York Herald. In episodi di una tavola si raccontavano le avventure in mondi fantastici del piccolo protagonista mentre sogna; ogni tavola si concludeva con il risveglio di Nemo.
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