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Ambrose Akinmusire: il cuore emergente
Le sensazioni che la musica Gospel mi dà sono le stesse che provo ascoltando la musica suonata dai grandi del Jazz. È comunque Gospel, anche se suonato con uno strumento.
"Il mio strumento preferito è il violoncello," dice il giovane e spigliato musicista intervistato nel suo appartamento a Manhattan agli inizi di Febbraio, che si definisce, scherzando, "un jazzista ibernato." Californiano d'origine, mal sopporta le rigide temperature di New York. "Non risco ad andare d'accordo con gli strumenti a corde. Suono il piano e so suonare svariati strumenti, incluse le percussioni. Ma con gli strumenti a corda non c'è niente da fare."
Esordisce così Ambrose Akinmusire, trombettista di talento, una delle proposte più interessanti sulla scena Jazz internazionale. L'affermazione può spiazzare, ma è in linea con alcune peculiarità di questo ventottenne da molti considerato un astro nascente. Già acclamato trombettista alla fine del liceo, a Berkeley, ha ricevuto proposte per borse di studio dalla Manhattan School of Music, dal Berklee College of Music e dalla New School. "Ma volevo fare il matematico. Volevo andare a Stanford e studiare matematica," dice.
Ha scelto di frequentare la Manhattan School of Music, ma a differenza della maggior parte degli altri studenti, Akinmusire si considerava uno spirito libero. Il modo in cui si rapportava alla tradizione Jazz e cercava di combinarla con la sua creatività hanno creato non pochi contrasti con i suoi insegnanti. Nel 2007 ha vinto la prestigiosa Thelonious Monk International Trumpet Competition ma, dice Akinmusire, "avevo scelto di suonare la tromba solo perché aveva tre pistoni, tutto qua. Per me suonare uno strumento piuttosto che un altro è un fattore secondario. Mi considero un musicista, un artista: suono la tromba e mi piace farlo, ma non è il mio strumento preferito."
Affermazioni del genere possono far pensare che Akinmusire sia uno di quegli artisti, dei quali si dice: "Ah sì, quegli artisti eccentrici." Ma non è così. È invece un musicista molto serio che fa propria la missione di cambiare il Jazz riproponendo una libertà di espressione che a suo parere si sta perdendo. Una persona onesta e profonda di animo nobile. È anche estremamente affabile e sempre pronto a ridere, oltre che molto concreto. Non si prende troppo sul serio, nonostante la serietà che mette nella sua arte e la sua capacità di impegnarsi al massimo. Ma di certo Akinmusire è uno capace di rompere gli schemial punto che probabilmente mal sopporta il fatto di essere etichettato come uno "capace di rompere gli schemi."
E ha le idee molto chiare, anche se non convenzionali, riguardo al suo modo di interpretare la musica e il suo stile musicale. Parlando con Akinmusire non si può fare a meno di riconoscere come da un lato si lasci guidare da ciò che sa e sente, ma da un altro sia ben conscio di avere ancora molto da impararee molte possibilità di crescere. Sul suo modo di suonare dice, "Qualche volta mi va di suonare in modo molto semplice e diretto. Altre in modo molto articolato. E non ci trovo nulla di male. Un modo fa risaltare l'altro e viceversa." Dice a un certo punto, "Mi esercito molto per riuscire a togliere quell'effetto metallico dalle manialmeno posso fingere di suonare il violoncello."
Akinmusire si è fatto conoscere molto in fretta. Il suo nuovo disco, When the Heart Emerges Glistening (Blue Note, 2011), pubblicato in Aprile, non può che accrescerne la notorietà. È uno dei migliori album del 2011, di quelli che non si dimenticano facilmente. Il disco, realizzato da un gruppo affiatato e prodotto dal pianista Jason Moran, è un'opera davvero ispirata. Come una suite, racchiude umori e dialoghi differenti. E l'esecuzione è notevole.
"Voglio cambiare il Jazz," dice il trombettista con naturalezza, senza arroganza o supponenza. Sa cosa vuol dire e sa ciò che vuole. "E se non ci riuscissi, vorrei almeno stimolare qualcun altro a farlo cambiare o almeno progredire. Credo che sia rimasto uguale a se stesso per anni, mentre il Jazz degli esordi viveva un rinnovamento ogni decina d'anni. Credo che questo accada ancora nella musica classica, nell'Hip Hop, in ogni altro genere musicale. Il Jazz invece non progredisce e secondo me la colpa è delle istituzioni musicali.
"I giovani cominciano a guardare con occhio critico quanto gli viene insegnato. Penso che questo sia il primo passo verso il cambiamento in generale, ed è particolarmente vero nel caso del Jazz," dice Akinmusire. "Penso che stia davvero cambiando. Uno dei miei sogni è, quando sarò vecchio, di poter andare ad una jam session e ascoltare musicisti che suonano come... loro stessi. Cercando di prevedere come suoneranno, e non ascoltare pianisti che suonano tutti come Herbie Hancock o Brad Mehldau, percussionisti che suonano come Tain (Jeff Watts), sassofonisti che suonano come Kenny Garrett o Mark Turner e Coltrane, a seconda che suonino il sax alto o il sax tenore. No, non è il tipo di musica che vorrei ascoltare... Almeno vorrei poter dire, 'Ricordo quando le cose hanno cominciato a cambiare. E ricordo che è stato anche un po' merito mio.' Questo è il mio desiderio."
Akinmusire ha le idee chiare. "So esattamente cosa e come vorrei cambiare: vorrei che ognuno si sentisse a suo agio nell'esprimere se stesso. Tutto qui. Se succederà, allora la musica potrà cambiare. Voglio che ognuno sia se stesso... che possa capire e saper esprimere la musica che ha dentro. Tutto qui." E mentre lo dice vedi che si rende conto che è una cosa più facile a dirsi che a farsi, un obiettivo quantomeno ambizioso.
Il suo nuovo CD, pubblicato dalla Blue Note, When the Heart Emerges Glistening, fa chiaramente parte del viaggio verso l'individualità e la scoperta. Il titolo, dice, "ci ricorda la necessità di essere presenti, impegnati ed onesti, non solo nella musica ma anche in tutto ciò che si fadi esserlo sempre, con naturalezza... Tutti vogliono essere perfetti: 'So tutto. Sono in gamba.' Ma in realtà nessuno è perfetto. Abbiamo tutti dei lati negativi. Ogni giorno bisogna tentare di diventare una persona migliore, ma se non si è onesti con se stessi non ci si può riuscire. Questo intendo con 'glistening' ["splendente," N.d.T.]. Si splende perché si è nuovi. Se riesci a tirar fuori il cuore, questo splenderà. È una cosa legata al vivere l'attimo... Si tratta di accettarsi di chi si è, piuttosto che fingere di essere qualcun altro, o - peggio - nascondere certe parti di sé."
Della band protagonista di questo ottimo album fanno parte anche il sassofonista Walter Smith III, il pianista Gerald Clayton, il batterista Justin Brown e il contrabbassista Harish Raghavan. "Sono fortunato di avere una band, una vera band. Ci conosciamo da così tanto tempo. Suonavamo insieme prima di firmare per la Blue Note, e suoneremmo insieme con o senza Blue Note. Sono in una situazione invidiabile, circondato da musicisti che credono davvero che si debba innovare e sviluppare cose nuove." L'aver scelto come produttore Jason Moran, che è un altro musicista molto creativo, è significativo.
Dice Akinmusire, "Jason è per me fonte di ispirazione sin dai tempi delle superiori. Ho potuto suonare con lui alcune volte. È la persona alla quale so di poter chiedere un consiglio, sia per la mia carriera sia per la musica. Il solo fatto che sia presente, la sua energia, sono di aiuto quando si tratta di essere a proprio agio suonando in studioche per me è l'ambiente più difficile nel quale suonare. E questo vale per molti altri musicisti. Jason riesce sempre a dare il massimo anche in studio, senza problemi. E il solo fatto che fosse presente ha dato al disco quel qualcosa di speciale."
Akinmusire fu contattato nel 2009 da Bruce Lundvall della Blue Note e ha lavorato al progetto per un anno, registrato nell'autunno del 2010. In quel periodo ha composto molto, e con le idee ben chiare circa il materiale da includere nell'album. "Tutto ciò che abbiamo registrato è contenuto nel disco. Non abbiamo lasciato fuori alcun pezzo," dice. "I primi due giorni abbiamo registrato ognuno per sé. L'ultimo giorno abbiamo suonato insieme, tutti nella stessa stanza. Alcuni dei brani, come 'The Walls of Lechuguilla,' e i miei duo con Gerald, 'What's New' e 'Regret,' li abbiamo suonati insieme, senza alcuna post-produzione."
"Confessions to My Unborn Daughter" è un brano molto interessante e melodico, nel quale la musica di Akinmusire e Smith si intreccia sapientemente con il ritmo. Smith si cimenta in un assolo coinvolgente, sinuoso, che si sviluppa accrescendo la tensione. La tromba di Akinmusire si apre a definire i confini della sua composizione, tornando poi al suo centro prima di volare via. A quel punto il brano si fa maestoso. Il dialogo musicale all'interno del gruppo è irresistibile e si mantiene per tutta la durata del disco, sia che si tratti della band al completo sia che si tratti del piano e della tromba soltanto. I brani si susseguono fluenti. L'atmosfera cambia. Momenti eterei cedono il passo ad esplorazioni più incisive. Clayton dà prova del suo tocco attraente e delle sue brillanti invenzioni. I ritmi di Brown e Raghavan sostengono pur adattandosi alla melodia. Akinmusire è appassionato e imprevedibile. Vigoroso, pungente e stentoreo. E talvolta docile come un gattino. I duetti di piano e tromba sono formidabili e incantevoli.
Particolarmente intrigante è la simbiosi tra Smith e Akinmusire. Il sodalizio ha origini lontane. Suonano insieme da anni, dai tempi della Manhattan School of Music e del Monk Institute. E troviamo Akinmusire nel nuovo CD di Smith, III (Criss Cross Jazz, 2011). "Qualcuno lo definirebbe il mio 'braccio destro,' ma non basta: è parte di me, e io son parte di lui," dice Akinmusire. "Quando suoniamo, l'intesa è incredibile. Non dobbiamo dirci nulla. Non discutiamo a priori. Suoniamo insieme e basta, e succede qualcosa di magico. Sono sempre felice di dividere il palco con lui."
Uno degli obiettivi del trombettista era il seguente: "Volevo che fosse una cosa veranuda e cruda. Magari manca qualche nota e qualche passaggio è un po' ruvido." Spiega, "Era qualcosa che prima di allora mi mancava. Sia nel Jazz che nel Pop penso che si sia persa la capacità di vivere l'attimo. Mi mancava, e ho voluto catturarlo in questo album." Dalla composizione all'organizzazione dello studio, Akinmusire guarda sempre avanti. Ma non ha un obiettivo rigido, fissato, rimane comunque aperto. "Non credo di avere un mio stile nel comporre, piuttosto penso di avere un mio concetto. Non è ancora pienamente formato, e il mio scopo è di catturare un mood e lasciare che si sviluppi. Voglio che ogni volta che lo riaffrontiamo sia un'esperienza diversa dalla precedente. Se lo abbiamo suonato a Gennaio e lo lasciamo lì fino a Dicembre, voglio che in quegli undici mesi sia cresciuto."
Spiega, "Assegno dei ruoli ai componenti della band, ma tento di non dirgli cosa fare di preciso, perché altrimenti si sentirebbero costretti e limitati, e non riuscirebbero a far sviluppare il brano. Dico, 'Questo è il piano. Più o meno e così.' E un momento dopo dico esattamente l'opposto. 'È swing, ma è anche straight.' Giusto per fargli capire cosa intendo... Credo che la composizionee la musica in generale non sia una scienza esatta. Non è una linea retta, è un cerchio. Come la natura. Un albero non è rigido, ma ondeggia. Ecco cosa cerco di ottenere con la mia musica. E lascio anche dei momenti di silenzio in ogni mia composizioneuno spazio per me e per l'ascoltatore... Includo sempre una pausa, magari solo un momento senza melodiaper un sospiro.
"Cerco di suonare come se stessi conversando. A nessuno piace ascoltare qualcuno che non ti ascolta," dice ammiccando. "Non sono un grande oratore. Devo poter comunicare con qualcuno. In maniera reciproca. Quando suono, ascolto ogni battito delle percussioni, e ogni ottava suonata dal contrabbassoil suo staccato, i fraseggi del pianista. E non riuscirei a farlo se suonassi incessantemente un fiume di note in ogni assolo. Il mio modo di suonare non può prescindere da momenti di silenzio... In più cerco di ricordarmi sempre che per ogni cosa che faccio c'è anche l'opposto. Da un lato posso suonare in modo molto articolato, come si conviene ad un trombettista esperto, ma dall'altro voglio poter suonare come un principiante. Voglio che sembri che io non sappia suonare. Da un estremo all'altro. Che è anche il mio modo di vivere la vita. Ogni cosa che fai ha il suo opposto, e non ho preferenze né per l'uno né per l'altro."
È difficile per Akinmusire riassumere quali artisti lo abbiano maggiormente influenzato. Ha una esperienza così vasta ed una conoscenza così profonda del suo strumento, e ha tratto ispirazione da troppe fonti per poterle citare tutte.
"Non posso dire di avere tutti i dischi in circolazione, ma è abbastanza difficile trovare un disco che io non possegga," dice. "Ho cinque o sei hard disk pieni di dischi di Jazz. Ho ascoltato moltissimi trombettisti, da Louis Armstrong a Henry 'Red' Allen a Bix Beiderbecke. E riascolto spessissimo artisti quali Fats Navarro, Booker Little, Clifford Brown, Woody Shaw. E tra i viventi, Marcus Belgrave. E l'elenco potrebbe continuare all'infinito. Roy Hargrove mi ha molto influenzato. Lo conobbi alle superiori, mi ha sempre aiutato quando veniva in città. Lo stesso vale per Nicholas Payton e Wynton Marsalis. Terence Blanchard... Ho sempre cercato di conoscere anche gli artisti meno noti. Sono interessanti perché non suonano per la gloria o per il denaro, dato che nessuno li conoscesuonano per il gusto di farlo. Come Marcus Belgrave o Joe Wilder, figure davvero interessanti. Charles Tolliver, Don Cherry, Charlie Shavers."
Da esploratore quale è, Akinmusire ascolta ogni genere musicale senza preconcetti. Rock e Funk, Pop e classica, come Chopin. "Sono sempre interessato a quel che gli altri ascoltano: mi segno il nome e lo ascolto anche io. E se non mi piace, cerco di capirne il motivo. E poi via un altro.
"È stato il Jazz a trovare me, non il viceversa," dice. "Sono cresciuto in una chiesa Battista; mia mamma dice che mi ci portava già all'età di due o tre anni e che ogni volta correvo verso il pianoforte nel bel mezzo della funzione. Allora mi fecero prendere lezioni di piano e cominciai a suonare in chiesa all'età di quattro o cinque anni. Le sensazioni che la musica Gospel mi dà sono le stesse che provo ascoltando la musica suonata dai grandi del Jazz. È comunque Gospel, anche se suonato con uno strumento."
Alle medie cominciò a suonare la tromba e ad esibirsi in una band. Durante un corso estivo di Jazz, lui e il suo amico di lunga data Jonathan Finlayson erano seguiti da un tutor che aveva una grande collezione di dischi Jazz. "Era amico di Miles e di Eddie Henderson. Ogni fine settimana facevamo un giro al mercatino delle pulci alla ricerca di dischi. Ci spiegava la storia del Jazz. In effetti non ci ha spiegato granché la tromba dal punto di vista tecnico; ma ci ha fatto fare una full immersion nella cultura Jazz. Prima dell'inizio delle superiori ero un musicista Jazz, immerso in quella cultura. Non ho mai pensato che fosse una cosa da sfigati o qualcosa che i miei coetanei non potessero apprezzare, perché nella scuola superiore che ho frequentato (la Berkeley High School di Oakland) essere uno dei migliori musicisti Jazz era come essere un grande giocatore di football. Era forte.
Parlando della sua scuola superiore, dice che "è un posto dove si coltiva l'arte, e gli studenti sono esposti a molti stimoli sin da subito. Ad ogni nostro concerto Jazz facevamo il tutto esaurito. Essere un musicista Jazz era una cosa forte. Non l'ho mai messo in discussione. E forse per questo ho imparato ad amarlo. Non ho mai avuto motivo di non amarlo. Ma molti miei coetanei associano il Jazz con gli anziani: una cosa poco interessante, che si tratti di Kenny G o del Jazz suonato dai nericose alle quali non pensano di potersi appassionare."
Negli anni dell'adolescenza ha ricevuto molti stimoli positivi, ma in un modo diverso rispetto a molti altri giovani musicisti. "Nessuno mi ha mai detto, 'Ecco, devi suonare la tromba così.' Quando Wynton e gli altri mi venivano a trovare, mi dicevano, 'Prendi questo libro.' E poi ero solo. Prendevo i libri e mi esercitavo. Tutto qui. Nessuno mi ha mai detto se quel che facevo era giusto o sbagliato. E gli sono grato per questo. Ho dovuto capire molte cose da solo." Akinmusire faceva in modo di andare a vedere trombettisti come Marsalis, Payton e Hargrove ogni volta che si esibivano a Oakland.
"Avevo una band Jazz, ed era molto bello. Ma non era come una scuola normale. Non c'erano lezioni teoriche. Ci riunivamo, aprivamo gli spartiti e suonavamo. Un approccio da genietti. Ho imparato da solo a leggere la musica e come suonare la tromba, persino l'armonia. Davvero una gran cosa."
Un giorno il grande sassofonista Steve Coleman tenne un seminario nella scuola frequentata da Akinmusire. E Akinmusire ricorda divertito che "Dopo il seminario disse, 'Mettiamo su una band.' Sono sempre stato un grande collezionista di dischi. Avevo tutti quelli degli M-Base. Avevo i suoi dischi fatti insieme a Dave Holland. Quindi pensavo, 'Ci sta prendendo in giro.' L'estate seguente ci chiamò per un tour. E a 19 anni andai in tour con lui per sei settimane. Non mi rendevo conto di cosa stesse succedendo. Era imbarazzante. Se esiste un rito di passaggio per diventare uomo, musicalmente parlando, quello è stato il mio. Dopo quelle sei settimane ero diventato maturo. Da quel momento facevo sul serio."
Di lì a poco passò alla Manhattan School of Music, dove ebbe insegnanti quali Cecil Bridgewater, Lew Soloff, Dick Oatts e Laurie Frink. Akinmusire descrive la Frink come "la donna che ha cambiato la mia vita come trombettista: la guru della tromba." Dice, "Ho studiato con lei per tre anni. Ha migliorato il mio modo di suonare la tromba in una maniera indescrivibile. Non dico che fossi un pessimo trombettista prima, ma di certo mi ha fatto capire che suonare la tromba era un'altra cosa."
Tra i suoi compagni di corso c'erano Smith, Aaron Parks, Miguel Zenon, John Benitez e Will Vinson. Avere intorno musicisti di quel calibro "era bellissimoe non dal punto di vista della carriera e dei soldi. Era la prima volta che stavo con musicisti provenienti da altre esperienze. Sai, si guarda al proprio orticelloti dici, 'Oh sì, così va bene.' Credi di sapere già tutto. Ma poi ti guardi intorno, sei a New York circondato da persone appassionate e volenterose come te, un'esperienza che ti ispira davvero," dice. Si esibì con Vijay Iyer e fecero anche un disco insieme (In What Language, Pi, 2003), lavorò con Lonnie Plaxico e Stefon Harris.
Con umiltà - aggiunge - "Sai, pensavo di suonare da schifo. Ma gli altri vedevano in me un potenziale che io non riuscivo a vedere allora. Molti di loro mi prendevano in disparte e mi incoraggiavanoStefon e Jeremy Pelt e gli altri che mi proponevano ingaggi. E questo mi aiutò molto."
Akinmusire tornò sulla costa Ovest per conseguire una laurea alla University of Southern California e successivamente fece una audizione al prestigioso Thelonious Monk Institute of Jazz a Los Angeles. "Fu una delle esperienze più snervanti della mia vitaentrare nella sala e vedere seduti, ad un metro da te, Herbie Hancock, Wayne Shorter e Terence Blanchard con una cartelletta in mano," dice con un misto di soggezione e gioia. "Per l'audizione dovevamo suonare un pezzo di Wayne, e lui era seduto lì di fronteun bello stress." Ma fu accettato e si dedicò allo stesso tempo alla sua laurea e al programma del Monk, del quale Blanchard era il direttore artistico. Il programma era fittissimo, molto spesso dalle 10 del mattino alle 8 e mezza di sera, seguito dalle esercitazioni alla tromba.
"In quei due anni mi sono davvero spaccato la schiena. E Terence Blanchard mi è stato davvero d'aiuto. Lo considero il passo successivo nella mia crescita musicale. Prima di conoscerlo, avevo le mie idee su come suonare, una cosa sulla quale Steve Coleman insisteva. Ma poi frequentando una scuola ti mettevano sotto pressione affinché tu riuscissi a suonare in molti modi diversi e ti costringevano a rimetterti in discussione. Quando frequentavo la Manhattan School of Music ero una specie di outsider. Gli insegnanti o mi amavano o mi odiavano. La maggior parte mi odiava. Mi vedevano come un ribelle che metteva costantemente in discussione la loro autoritàcosa che in effetti facevo.
"E la cosa mi pesava molto. Durante un assolo, suonavo per il 75 per cento quel che sentivo dentro di me e aggiungevo un 25 per cento di tradizione solo per fargli vedere che ne ero capace. Quando poi andai al Monk Institute e incontrai Terence, mi fece capire che avevo qualcosa di speciale e che non dovevo aver paura di esprimerlo, al diavolo gli altri. Esprimere quel che si vuole esprimere. Questo è il vero significato dell'arte."
Dice che alcuni insegnanti a New York non scoraggiavano il suo approccio, "ma non lo incoraggiavano nemmeno." Gli dicevano, "'Ambrose, non conosci l'armonia. E devi tener conto della tradizione,'" ricorda. "E io pensavo, 'Senti, ho più dischi di te, e conosco la tradizione molto meglio di te.' Nelle scuole di musica mettono tutta l'enfasi sulla tradizione: rispetta chi ti ha preceduto. Ma non guardano l'altra faccia della questione: va bene rispettare chi ti ha preceduto, ma devi comunque andare avanti. Che è quello che hanno fatto i grandi del passato. Questa è una grave mancanza delle scuole di musica. Guardano solo al passato. Sono d'accordo a studiare i brani famosi, ma la musica deve andare avanti."
Ambrose non si arrese. "Quel diploma mi serviva, quindi non potevo semplicmente dirgli, 'Andate al diavolo. Io faccio a modo mio.' Perciò l'incontro con una persona come Terence capitò a fagiolo, così come la possibilità di suonare ogni giorno sviluppando le mie idee."
Nel 2007 vinse il premio Monk nella sua categoria e anche la Carmine Caruso International Jazz Trumpet Solo Competition. L'anno seguente uscì il suo album d'esordio, Prelude: To Cora (Fresh Sound New Talent, 2008), e si trasferì nuovamente a New York. "In realtà ero intenzionato a restare a Los Angeles. Facevo serate, suonavo anche del Pop. Suonavo con Macy Gray e con i Brand New Heavies, guadagnavo anche qualcosa. Non pensavo di tornare a New York, ma la mia ragazza (che frequentava l'università a New York) mi convinse a tornarci," commenta.
Akinmusire non perdeva occasione di esibirsi, e partecipò anche al tributo di Moran a Monk, "In My Mind: Monk at Town Hall," nell'ambito delle celebrazioni di quell'evento epocale del 1957. Gli ingaggi arrivavano, ma considerando il suo approccio poco convenzionale nota: "Non mi chiamano in molti per fare il sideman: forse perché sanno che anche se mi dicono cosa fare, alla fine suono come penso che sia meglio. E a molti non va giù. Se mi ingaggi, devi sapere che 'È Ambrose, prendere o lasciare.' Credo che questo sia il motivo per cui non sono quasi mai un buon sideman. Ma credo che molti mi rispettino. Ho molti amici musicisti."
Dice che le cose gli vanno bene e poi, guardandola con umorismo, dice, "Da un lato ci faccio caso e ci penso. Dall'altro no. Sono Ambrose, e continuerò a migliorarmi. Tra trent'anni sarò sempre lo stesso. E ti direi le stesse cose. Crederò sempre nell'arte. E mi eserciterò un sacco ogni giorno. Convinto della necessità di esprimere quel che ci si sente, al 100 per cento. Non cambierò."
Pur essendo felice del suo rapporto con la prestigiosa etichetta Blue Note, aggiunge, "Non mi ha cambiato e non mi cambierà. Ho visto l'effetto che può fare su altri della mia generazione. Cerco di non darci peso e di non pensarci troppo, perché ti può sopraffare. Ci sono già cascato una volta. I primi mesi ero stressato e non riuscivo a suonare. O meglio suonavo, ma non era facile come al solito, e tantomeno divertente. Così mi sono detto, 'Ehi, non puoi lasciare che questo ti cambi.' Ora la vedo così, e va bene." Aggiunge in modo deciso, "Ma se andasse male, lo accetterei."
Dopo l'uscita del suo disco, Akinmusire ha preso altre direzioni: sta componendo per un progetto per una big band che debutterà alla Carnegie Hall il 3 Dicembre prossimo, presentato da George Wein. Sta anche lavorando ad un progetto in duo con un pianista. Vuole anche lavorare con un cantante e ha già qualcuno in mente. E vuole anche lavorare con un quartetto d'archi. Si è già esibito al museo Rubin a New York, grazie ad un contributo dell'associazione Chamber Music America.
"Ho molti obiettivi. Alcuni più definiti di altri, ma prima o poi li perseguirò tutti," dice. Incluso un ritorno in California. Ma senza dubbio questo spirito interessante e imprevedibile continuerà a lavorare alla sua musica, esplorandone gli elementi e i confini.
"Il Jazz ha la capacità di far stare insieme le persone," dice Akinmusire. "Anche se penso che questa potenzialità si sia un po' persa. Ma mi piace l'idea di poterla ritrovare. Essere in grado di andare in Francia e suonare con dei musicisti Francesi senza sapere una parola di Francese. Per me è una cosa bellissima. Mi piace la sfida. Per far sì che la musica funzioni, devi entrare nella testa dell'altro. E così facendo impari un sacco sul loro modo di considerarsi e di vedere il mondo. E questo ti avvicina a loro. Sì, questa è la cosa che amo di più del Jazz: la capacità di far stare insieme le persone.
"Sono assolutamente ottimista sul futuro della musica in generale e del Jazz in particolare. Il Jazz non è affatto finito. Nessuno lo dirà più. Non dovrebbero dirlo neanche adesso, ma presto non potranno dirlo affatto."
Discografia Selezionata
Ambrose Akinmusire, When the Heart Emerges Glistening (Blue Note, 2011) Walter Smith III, III (Criss Cross, 2011)
Ambrose Akinmusire, Prelude: To Cora (Fresh Sound New Talent, 2008)
LeBoeuf Brothers, House Without a Door (LeBoeuf Brothers Music, 2009)
John Escreet, Consequences (Posi-Tone, 2008)
Josh Roseman, New Constellations: Live in Vienna (Accurate Records, 2008)
Alan Pasqua, The Antisocial Club (Crytogramophone, 2007)
Vijay Iyer - Mike Ladd, In What Language (Pi, 2003)
Aaron Parks, Shadows (Keynote, 2003)
Steve Coleman, Resistance Is Futile (Label Bleu, 2002)
Foto di Emra Islek (la prima), Yann Renoult (la seconda), Mark Ladenson (la quarta), Dan Kaufman (la quinta).
Traduzione di Stefano Commodaro
Articolo riprodotto per gentile concessione di All About Jazz USA.
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