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Un'opera di Rob Mazurek a Reggio Emilia

Un'opera di Rob Mazurek a Reggio Emilia

Courtesy Carlo Sgarzi

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Rob Mazurek
Teatro Ariosto
This Ever Existence Flare
Reggio Emilia
8 novembre 2025

"Quest'opera moderna, sperimentale e multimediale comporta la creazione di partiture musicali e visive inerenti al concetto di Astropocene, e a come gli esseri umani progrediscano in direzione di questo paesaggio spaziale esterno in evoluzione." Questo fra l'altro si legge nel programma di sala di "This Ever Existence Flare," opera in tre atti (eseguita senza intervalli) di Rob Mazurek alla sua prima assoluta. Questo ambizioso lavoro è frutto di una coproduzione fra AngelicA Centro di Ricerca Musicale di Bologna, che ha ideato l'evento, e la Fondazione I Teatri di Reggio Emilia, che l'ha inserito nella rassegna Festival Aperto. Per altro la genesi dell'opera ha preso le mosse da una collaborazione del marzo 2024 fra il musicista e AngelicA: in quella occasione, propiziata da Fabrizio Puglisi insegnante al Conservatorio di Ferrara, Rob suonò in duo con il pianista per poi dirigere una formazione di studenti di quell'istituzione, in cui spiccava un quintetto di cantanti. Da lì è nata l'idea di Massimo Simonini, direttore artistico del Centro bolognese, di commissionare l'incarico per allestire un'opera; ...anche con la sottintesa intenzione di ingaggiare un'ideale e polemica battaglia contro le istituzioni italiane che investono in produzioni molto costose per i repertori dell'opera lirica per lo più appartenenti alla tradizione già consolidata.

Quanto ai testi concepiti da Mazurek, essi fanno riferimento a un personaggio immaginario, il poliedrico brasiliano Helder Velasquez Smith, autore fra l'altro del libro "Book of Sound"; in questa figura e nel suo testo il trombettista sembra voler occultare se stesso e la propria multiforme attività creativa. Sta di fatto che di tutta l'operazione il sessantenne artista interdisciplinare americano è stato il prevalente artefice e regista, firmando musiche, libretto, scenografia e video. Quello che fin da subito è risultato di sicuro impatto è stato l'aspetto visivo e scenico, basato su mezzi tanto semplici quanto efficaci, gestiti con l'assistenza del tecnico video Mathieu Constans. A destra e a sinistra del palcoscenico pendevano trasparenti velari davanti al grande schermo sullo sfondo; su di essi veniva proiettata a velocità per lo più frenetica una fantastica varietà di immagini generate al computer, astratte, ora geometriche ora più organiche, frammentate e montate con un'inquadratura centrale o più spesso secondo trame orizzontali o verticali. Il tutto ha creato una variopinta, frastornante, singolare, mai banale stratificazione di percezioni caleidoscopiche in perenne mutazione.

Questa visione spaziale proiettata nel futuro si è messa in relazione, più o meno stretta, con la trama musicale, concepita come una sequenza di scene e interpretata da un'inedita formazione cosmopolita, la cui denominazione "Immortal Birds Bright Wings" suona fantasiosa e significativa. Oltre a Mazurek, la cui tromba crepitante, gli interventi all'elettronica e l'autorevole direzione sono emersi con determinazione, anche se solo a tratti, ogni membro rivestiva un suo ruolo e un suo peso specifico: Fabrizio Puglisi al pianoforte, ma anche indispensabile assistente musicale nella fase di preparazione, Koun Jeong al pianoforte elettrico e al gayageum, tradizionale cetra coreana, Pasquale Mirra al vibrafono, Danilo Gallo al basso elettrico e contrabbasso, Cristiano Calcagnile alla batteria e Mauricio Takara, forse più appartato, alle percussioni e percussioni elettroniche. Elementi tutti noti, molto validi e ben affiatati, anche in considerazione del fatto che lo spettacolo è stato montato durante una residenza di una settimana.

Nel contesto strumentale da loro ordito, prevalentemente sostenuto, armonicamente e timbricamente vario, talvolta con spunti melodici e ritmici rilevanti, sono emerse in maggiore evidenza due componenti. A Damon Locks, la cui declamazione filtrata dall'elettronica e le movenze di danza hanno dato vita alla figura immaginaria del demiurgo Smith e al suo "Book of Sound," ha fatto riscontro il quartetto di voci femminili—Rachele Amore, Silvia Fiume, Elisa Giovanditti, Alessandra Franchina, provenienti dal Conservatorio di Ferrara—che, con compattezza e risvolti personali al tempo stesso, con varie aggregazioni e adeguate modulazioni, ha interpretato testi poetici tratti dal libro "Flitting Splits Reverb Adage" dello stesso Mazurek.

Fra le varie sequenze musicali di questo viaggio interculturale e fantascientifico senza tempo ne sono spiccate alcune più mirate ed evocative. In un quadro di sapore orientale, le quattro cantanti, che si fronteggiavano accovacciate a terra, hanno intonato una melodia dolce e statica, di vibrante lirismo, facendo ala alla suonatrice coreana, che si è prodotta in un indispensabile e limpido assolo pizzicando il gayageum. Con un repentino salto, si è passati dalla cullante atmosfera orientale a un più incalzante episodio africano, in cui una fitta poliritmia veniva tramata dagli strumentisti, alle prese con una variegata gamma di percussioni e con mimetici effetti dell'elettronica, mentre al contempo le cantanti, dopo aver abbozzato una danza tribale, si sono sintonizzate su un canto reiterato. Altri passaggi o interventi del collettivo e dei singoli potrebbero essere segnalati, ma, puntando a una sintesi, mi preme sottolineare una caratteristica specifica di questa "opera jazz." A differenza di tante altre esperienze analoghe tentate da famosi jazzisti nel passato, Mazurek, avvalendosi della sua solida formazione in ambito musicale come in quello artistico, è approdato ad un lavoro composito e multimediale di visionaria originalità, che, soprattutto, non strizza mai l'occhio a un'impronta di derivazione colta e accademica alla ricerca di una malintesa rispettabilità.

Rimane solo il rammarico che, al momento, la rappresentazione al Teatro Ariosto sia stata l'unica occasione di assistere a "This Ever Existence Flare." Ritengo invece che non sia un'utopia ipotizzare che, in Italia come in Europa e ovunque, altre istituzioni o festival mirati potrebbero essere interessati a mettere in scena questo lavoro complesso, ampiamente strutturato e unico nel suo genere. Non resta che auspicare che in futuro tutto questo possa avvenire.

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