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Tobia Bondesan: Frenesia Creativa

Tobia Bondesan: Frenesia Creativa

Courtesy Luciano Rossetti

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Ci concentriamo su quella che chiamiamo "Now Music," con riferimento alla natura profonda ed effimera della musica che ancora non ha un nome
Lo devo all'amico Vladimiro Pelliciardi se anni orsono ho conosciuto l'esistenza del collettivo BlueRing Improvisers e se, nel primo anno del Covid, ho avuto l'occasione di incontrare a Bologna i giovani Tobia Bondesan e Giuseppe Sardina. Pelliciardi è un personaggio poliedrico, vulcanico, dalle iniziative imprevedibili: nell'arco di oltre un quarantennio ingegnere, sassofonista, insegnante, trakker su percorsi estremi... Per quanto ci concerne, è stato soprattutto direttore artistico, assieme al compianto Alessandro Sirna, del memorabile Jazz on Q.BO' nella Bologna di metà anni Ottanta, di Jazz at the Rock alla Rocca Sforzesca di Imola dal 1986 al 1994 e di altre rassegne concertistiche. In anni più recenti ha trovato il suo buen retiro nei colli senesi, oggi nell'isolata località La Cetina, dove il cellulare non è raggiungibile. Non ha mai perso però il contatto con la musica più attuale, proponendosi fra l'altro come sponsor economico e mentore del Now Music Festival a Sovicille, oltre a curare la rassegna pianistica Piani diversi.

Questa doverosa precisazione, che può apparire fuori luogo, testimonia come nel nostro appartato mondo jazzistico i fili s'intrecciano continuamente fra esperienze, personaggi, memorie e prospettive di ieri e di oggi. Veniamo ora a Tobia Bondesan, contraltista, compositore e leader nato a Poggibonsi nel 1990, che in quest'ultimo decennio ha maturato un rodaggio importante attraverso situazioni molto diversificate e qualificate che vale la pena di approfondire. Negli ultimi tre anni ho avuto l'opportunità di ascoltarlo in diversi contesti sia dal vivo con vari gruppi, soprattutto formazioni orchestrali, sia su dischi che documentano le sue svariate collaborazioni, partendo dalla sperimentazione collettiva all'interno dei BlueRing Improvisers fino ad arrivare ai più mirati sodalizi con Silvia Bolognesi e con suoi coetanei. Delle molteplici tappe della sua formazione e della sua intensa attività professionale parliamo nell'intervista che segue.

All About Jazz: Cominciamo con una domanda impegnativa per te, che hai già alle spalle una carriera prolifica di una decina d'anni. Molti dei nomi emergenti venuti alla ribalta negli ultimi anni hanno maturato la loro esperienza all'estero (Federico Calcagno, Francesca Remigi, Ilaria Capalbo...). Tu non hai mai avuto il desiderio o la concreta possibilità di trascorrere fuori d'Italia un lungo periodo formativo? Escludi che possa avvenire nel prossimo futuro?

Tobia Bondesan: Credo che ognuno debba trovare il suo percorso. Per collaborare con certi artisti basta organizzarsi, il dove si sta è abbastanza relativo. Personalmente ho un amore per la diversità culturale frammentaria dell'Italia: nella babele di dialetti e piccoli centri di questo paese risiede un modo di fare musica del tutto peculiare, generato da personaggi completamente originali, potenti e anarchici che hanno dovuto sviluppare un loro linguaggio. Se poi parliamo delle difficoltà della vita lavorativa è un altro discorso, ma credo rimanga un buon posto dove trovare la propria strada. E poi, per quanto mi riguarda, a trentatré anni come artista cerco la serenità, un centro: quest'aura di eterno ragazzo è sminuente, dà vita a un limbo inconcludente. Ammiro comunque molti artisti che hanno trovato all'estero un proprio sviluppo artistico o professionale. Anche a me piace aprirmi a quello che succede in Europa e ho stretto dei contatti con vari musicisti che non vedo l'ora di coltivare. Mi piace pensare ad un'esperienza fuori dall'Italia come a una possibilità attiva, una felice prospettiva, non come una via di fuga.

AAJ: Ripercorriamo allora le tappe principali della tua formazione in Italia. Da un punto di vista tecnico-estetico e professionale, cosa ti hanno lasciato gli studi alla Siena Jazz University e al Conservatorio G. B. Martini di Bologna?

TB: Al primo anno del triennio alla Siena Jazz c'era grande aspettativa; penso che sia stato in quel momento che ho deciso che sarei diventato un musicista professionista. Percepivo tangibilmente una comunità di studio nella musica: c'era come una sorta di valore intrinseco nell'abnegazione delle ore passate sullo strumento. Sono stati per me anni di continua formazione: frequentavo sperimentatori che mi hanno aperto la testa, partivano le mie prime esperienze come leader di gruppi o orchestre. Ho capito che la mia vita si legava indissolubilmente alla musica, dentro e fuori delle accademie. Mi sono laureato nel 2015 come primo studente in assoluto della Siena Jazz University con una tesi sui collettivi di improvvisatori. Subito dopo, durante il biennio al G.B. Martini di Bologna, sono stato apprezzato e accolto sulla scena cittadina, ho ricevuto le conferme e la spinta di cui avevo bisogno, suonando con musicisti di ogni tipo. Il conservatorio è stata un'ottima base di partenza per inserirmi nell'ambiente.

AAJ: Una delle tue prime iniziative è stata la fondazione del collettivo BlueRing Improvisers. Ci puoi ricapitolare la sua storia: quando e da chi è stato fondato, con che obiettivi ed estensione territoriale, con quali attività laboratoriali, concertistiche, discografiche?

TB: BlueRing è un'associazione di musicisti che si occupa di ricerca, attiva in Toscana ed Emilia-Romagna: ci concentriamo su quella che chiamiamo "Now Music," con riferimento alla natura profonda ed effimera della musica che ancora non ha un nome. Abbiamo iniziato a riunirci circa dieci anni fa; frequentavo gli ambienti dell'improvvisazione libera e sulla scia di queste realtà che ci affascinavano, io e mio fratello fondammo il collettivo. La formula degli incontri d'improvvisazione, che ci portiamo dietro tutt'ora, è socializzante ed inclusiva: i nomi vengono mescolati e i gruppi formati per estrazione. C'erano sempre moltissimi partecipanti e dopo alcuni mesi avevamo decine di musicisti e altri performer. Poco tempo più tardi nacque la BlueRing Orchestra, una formazione variabile che lavorava sui linguaggi dell'improvvisazione, documentata da BlueRing Vol. 1 edito dalla Rudi Records nel 2016.

L'ingresso di Giuseppe Sardina nell'organico coincise con la nascita dell'Associazione. L'estate successiva in provincia di Siena organizzammo Impro Summer Artist Residency, una residenza artistica molto partecipata che ormai da sette anni coniuga natura, ricerca, interdisciplinarità. Abbiamo poi prodotto il disco Materia (Aut Records, 2020), una ricerca sull'arte rivoluzionaria di Alberto Burri, realizzata con un tentetto che comprende anche nomi noti come Giancarlo Schiaffini e Silvia Bolognesi. Inoltre abbiamo aperto un bando per la realizzazione del progetto BlueRing-Underwood, ricevendo più di ottanta candidature. I sei artisti selezionati hanno condiviso la registrazione di questo lavoro, uscito sotto forma di libro stampato a mano ad opera dell'artista Marta Viviani (Aut Records, 2022). Nell'ultimo anno infine sono nate BlueRing—Electronics, curata da Cristiano Bocci, che a breve pubblicherà il suo primo album e la BlueRing Records, uno spazio con cui vogliamo dare voce a lavori autoprodotti e indipendenti.

AAJ: Un aspetto che balza agli occhi nel tuo curriculum è la partecipazione a molte formazioni orchestrali: BlueRing Orchestra appunto, Fonterossa Open Orchestra diretta da Silvia Bolognesi, Tower Jazz Orchestra con sede a Ferrara, Orchestra Creativa dell'Emilia-Romagna diretta da Fabrizio Puglisi... In sintesi quali differenze sostanziali riscontri fra queste formazioni?

TB: Negli ultimi anni mi sono concentrato sull'acquisizione di un linguaggio personale e mi piace pensare che chi mi ha chiamato a suonare lo abbia fatto cercando il mio preciso contributo. La BlueRing Orchestra attualmente non ha una formazione stabile e si riunisce in occasione degli incontri dell'omonimo collettivo: tengo un laboratorio dove esplico il mio metodo d'improvvisazione condotta, dopo di che facciamo un concerto di un'ora. È una realtà aperta, con molti giovani, piena di concentrazione ed entusiasmo.

Anche la Fonterossa Open Orchestra è un fenomeno sociale non comune, in cui coesistono un largo numero di musicisti tra professionisti e non, una vera e propria comunità. La conduction di Silvia Bolognesi trasmette energia, un'empatia straordinaria. Abbiamo registrato un disco uscito per Fonterossa Records e nel 2022 abbiamo lavorato sulla musica di Mingus.

La Tower Jazz Composers Orchestra, almeno per organico, è una big band più tradizionale: di casa al Torrione Jazz Club di Ferrara esprime tutta la forza di un'orchestra che suona musica scritta e arrangiata dai suoi componenti. Sono ormai decine le composizioni eseguite grazie alla direzione energica di Alfonso Santimone e Piero Bittolo Bon. Abbiamo suonato in festival importanti con ospiti illustri e registrato un album.

Con l'Orchestra Creativa dell'Emilia-Romagna parliamo invece di una formazione modulare con alcuni musicisti fissi. È composta da artisti straordinari e lascia molto spazio alle peculiarità di ognuno. Sotto la direzione di Fabrizio Puglisi abbiamo potuto affrontare la musica "creativa" di molti grandi artisti internazionali; ricordo a tale proposito il memorabile omaggio a Julius Hemphill che a fine febbraio ha aperto la Grande Notte del Jazz a Brescia con l'Orchestra diretta dall'ospite Marty Ehrlich.

AAJ:...Mi sembra che ci siano altre collaborazioni importanti da ricordare.

TB: Sì, si può citare anche la mia presenza nel 2021 nell'Orchestra Nazionale Jazz dei Giovani Talenti diretta da Paolo Damiani, un gruppo di giovani veramente preparati con cui abbiamo suonato nei più importanti festival italiani e non solo, e l'ensemble Tabula Rasa di Stefano Battaglia, del quale faccio parte da qualche anno. Con lui si lavora sull'improvvisazione non idiomatica, assieme a musicisti di estrazione diversa, riuniti in un organico molto vario, con i quali siamo anche entrati in sala d'incisione.

AAJ: Ma la tua più importante e impegnativa esperienza orchestrale suppongo che sia stata l'arrangiamento e la direzione della versione per orchestra dell'opera autobiografica "Windward Passages" di Dave Burrell, andata in scena al Teatro Valli di Reggio Emilia nell'ottobre 2022, con lo stesso autore al pianoforte. Cosa ci puoi raccontare di quel lavoro?

TB: Quando hanno deciso di affidarmi la direzione di "Windward Passages" per me è stata una grande gioia. Dave mi ha detto che gli piacevano i miei lavori e che aveva fiducia che potessi dare nuova vita a quest'opera, così mi ha dato carta bianca. Anche sua moglie Monika Larsson, librettista dell'opera che racconta la vita e le vicende di una famiglia afroamericana, ha dato il suo benestare. Il corpus del 1978 è monumentale: ho impiegato molto tempo a capire come ridurre il tutto a uno spettacolo di un'ora e mezza senza perderne il senso. Ho scelto dodici brani, cercando di usare il materiale composto da Burrell in modo rispettoso, ma attuale. Ho lasciato ampi spazi per momenti di improvvisazione che facessero da collante tra le linee scritte, i temi e le armonie. Quando un'opera è così legata alla vita di un artista è difficile modificarla senza stravolgerla: è stata una grande soddisfazione ricevere i ringraziamenti sinceri di Dave e Monika. Una parte cruciale è stata la scelta dell'organico che comprendeva giovani professionisti del jazz, improvvisatori con grandi idee, e durante l'intensa residenza prima dello spettacolo abbiamo lavorato in un clima di condivisione assolutamente creativo e sereno. Il concerto è stato un vero successo e stiamo aspettando l'occasione per ripetere questa esperienza. Dave intanto ha voluto includermi nel suo quartetto italiano e in altri progetti: è una collaborazione importante, che spero possa dare ulteriori frutti.

AAJ: Parliamo ora delle tue numerose collaborazioni e progetti per piccoli gruppi, più o meno consolidati, già documentati su disco o di prossima pubblicazione. Potremmo partire dal trio Beast Friends con Silvia Bolognesi e Giuseppe Sardina alla batteria.

TB: È per me un periodo molto intenso e di crescita. Sto suonando con artisti con cui condivido passioni e visioni, mi sento fortunato. Ho registrato molti lavori che usciranno nei prossimi mesi: mi sembra che abbiano una loro coerenza, definendo una direzione. Si tratta per lo più di gruppi in cui a fare da collante è la convinzione sul materiale e sull'approccio, moltissima onestà intellettuale: sarebbe bello vederli nei cartelloni dei festival.

Il primo disco ad uscire è stato il trio con Silvia Bolognesi e Giuseppe Sardina, registrato in molte sedute, portando ogni volta nuovo materiale, facendo esperimenti. Sono molto affezionato a questo disco: credo mantenga una veracità senza nessuna patinatura. È stato liberatorio, come accettare qualcosa che fa parte di noi e che ci unisce. Una produzione di Area Sismica con questo trio ci affianca all'attore Roberto Magnani su un testo di Pier Vittorio Tondelli. Fra le registrazioni di piccoli combo posso segnalare anche Vane, un disco con Francesco Cigana alla batteria, Glauco Benedetti alla tuba e Jacopo Giacomoni al sax, oltre a me al contralto. Una formazione insolita, che riserva sorprese.

Ci sono musicisti con cui sto lavorando bene, come Luca Perciballi, con il quale vorrei portare a compimento alcuni progetti, oppure Nazareno Caputo, con il quale registreremo a breve in duo. Prevedo nel corso dell'anno anche la registrazione di un progetto da leader, troppo a lungo rimandato. Sto inoltre preparando uno spettacolo in solo, un progetto complesso che mi vedrà suonare sax alto e soprano, strumenti analogici, oltre a gestire luci e video.

AAJ: Recentemente è stata pubblicata la registrazione a Pisa Jazz 2022 del tuo duo con Giovanni Maier: direi che si tratta di un'improvvisazione ora meditativa ora più esternata. Com'è nato questo sodalizio? Se ne prevede la continuazione?

TB:Collaboro con Giovanni dal 2020 e abbiamo capito di avere molto in comune, instaurando musicalmente un dialogo che non ha bisogno di altro. La naturalezza con cui suoniamo in duo è veramente bellissima, oserei dire innocente. È bastato inserire qualche semplice tema, poche idee, tutto è venuto da sé. Dopo alcuni concerti la sensazione è sempre quella di potermi buttare senza rete, in quanto Giovanni mi garantisce una solidità e allo stesso tempo una spinta verso l'ignoto meravigliose. Ci lega soprattutto l'amore per l'improvvisazione, come documentato nel recente Live in Pisa, pubblicato da Fonterossa Records. Mi ricordo in maniera quasi magica del concerto, il suono perfetto, il pubblico attento, una tensione tangibile. Stiamo lavorando per presentare l'album, spero che a breve potremo suonare nuovamente assieme.

AAJ: Anche il duo Brotherhood con tuo fratello Michele al contrabbasso ha visto l'edizione su disco: in questo caso mi pare che seguiate un percorso più intimo e sperimentale, meno "jazzistico." Il fatto che siete fratelli può aver contribuito a trovare un interplay spontaneo e continuativo?

TB: Con mio fratello c'è un rapporto particolare; il nostro passato e il nostro presente sono intrisi di musica. Da bambini compravamo i dischi a metà, costruendo il nostro mondo sonoro. Per molto tempo la nostra crescita è andata di pari passo, ci siamo sempre confrontati nello studio, nello sviluppo artistico, nelle idee, nei progetti. Nonostante le strade talvolta differenti non ci siamo mai persi, anzi, ci siamo dati stimoli a vicenda, arrivando alle stesse conclusioni pur partendo talvolta da punti distanti. Improvvisiamo da quando eravamo piccolissimi, sviluppando insieme un gusto per la musica libera. Nel progetto Brotherhood abbiamo sviluppato una sorta di ritualità, un modo per ristabilire una connessione profonda. Nel 2018 abbiamo pubblicato il nostro primo album, Oak (Aut Records), una fotografia delle tante esperienze musicali che abbiamo affrontato. Nel 2021 le prospettive erano cambiate ancora una volta e abbiamo deciso impulsivamente di tornare in studio, registrando un album di brevi improvvisazioni. Il disco si intitola Riverstone ed uscirà a breve per la neonata BlueRing Records.

AAJ: Altrettanto solido mi sembra il trio con Giuseppe Sardina e appunto tuo fratello Michele.

TB: Con Giuseppe e Michele ho condiviso moltissimi progetti, abbiamo suonato tantissimo, integrando all'interno del trio altri artisti, aprendoci ai loro linguaggi. Abbiamo fatto moltissima ricerca, delineato un gusto comune e sperimentato le possibilità più varie del fare musica. La decisione di registrare un disco in trio è recentissima e quando ci siamo trovati a dover lavorare sul materiale per un progetto-disco con così tanti linguaggi e campi di ricerca affrontati in precedenza, ci siamo trovati in difficoltà. Ci siamo così concentrati sullo studio del ritmo, che nella nostra ricerca ha preso un senso molto ampio: non solo pulsazione, ma respiro, che ha a che vedere con il fraseggio, la ciclicità, il movimento del corpo, la danza. È nato Music for dance, risultato di un ennesimo sforzo per schivare gli automatismi, le definizioni; è uscito di recente per Barly Records, un'estensione di Encore Music, e presto lo presenteremo in Italia e probabilmente anche all'estero.

AAJ: Non solo per aver partecipato a Ornettiana di Nica Agosti o per aver interpretato "Lonely Woman" nel CD con Maier, ma per ricorrenti aspetti della tua pronuncia sassofonistica, con quelle note lunghe liriche o accorate, risulta chiaro il tuo riferimento a Coleman. Certo un modello imprescindibile, ma anche ormai lontano. Cosa ci puoi dire allora dei maestri dai quali sei stato consapevolmente ispirato sia nell'improvvisazione che nella composizione?

TB: Ho suonato il sax tenore fino alla fine dei miei studi accademici. Quando sono tornato all'alto, qualche anno fa, ho dovuto fare una riflessione importante sul perché di questa scelta e una revisione quasi forzata dei miei modelli sassofonistici, ritrovando attraverso il suono di alcuni altisti un nuovo amore per lo strumento. Tra questi, Coleman rappresenta il tentativo audace di raccontare una storia personale. Se la tradizione del jazz significa ricerca della diversità, del continuo rinnovamento, Ornette è uno di quegli artisti in cui riconosco l'amore per la tradizione e la voglia di guardare avanti; credo che questo atteggiamento debba essere un punto di partenza. A quattordici anni, quando in un turbinio di emozioni scoprivo per la prima volta i grandi del jazz, la sua voce mi sembrò particolarmente familiare e sincera. Oggi provo la stessa sensazione. Ovviamente non è l'unico: sono appassionato di molti autori, anche più contemporanei, senza parlare di tutti gli amici e i maestri che mi hanno lasciato un segno.

AAJ Per finire ricordiamo il Now Music Festival, che assieme ad altri organizzi in provincia di Siena. Ci puoi chiarire i suoi obiettivi e criteri? Cosa ci puoi anticipare sulla terza edizione che si terrà prossimamente?

TB: Da due anni BlueRing ha dato vita ad un festival indipendente, in decisa crescita grazie ad una programmazione attenta, contemporanea, che guardi con interesse alla scena nazionale degli sperimentatori, soprattutto giovani, in campo musicale e non solo. Anche per questa terza edizione il Festival si svolgerà nel Comune di Sovicille, in provincia di Siena, in sinergia con un territorio meraviglioso e pieno di storia: il teatro principale dei concerti sarà infatti la pieve medievale di Ponte allo Spino, uno dei gioielli delle campagne toscane, un luogo magico e suggestivo che rende unica questa manifestazione.

Siamo giunti all'edizione 2023 presentando un cartellone che coinvolge alcuni dei più interessanti giovani artisti della musica di ricerca e alcuni grandi nomi della musica improvvisata: la manifestazione si svolgerà in tre giorni consecutivi, dal 7 al 9 luglio, più un evento di pre-festival il 6, per un totale di 16 eventi ad ingresso gratuito, affiancati da eccellenze eno-gastronomiche locali. Il NMF ci colloca nel quadro dei collettivi europei e intende promuovere progetti coraggiosi e indipendenti: tra concerti mattutini, mostre d'arte, trekking, concerti-aperitivo, main set e serate di elettronica abbiamo cercato di dare un affresco alternativo e più completo possibile della Now Music! Pasquale Mirra, Luca Perciballi, Giulia Barba, Beatrice Arrigoni, Fabrizio Puglisi, Marta Raviglia, Daniele D'Alessandro, Camilla Battaglia, Francesco Chiapperini sono solo alcuni dei tanti artisti invitati. Per scoprire tutti i nomi e la programmazione del NMF23 invito chiunque volesse saperne di più a seguirci on line sui social di BlueRing o sul nostro sito blueringimprovisers.com.

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