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Things We Like: Dicembre 2012 - Gennaio 2013

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Alberto Bazzurro

In un periodo dell'anno tradizionalmente piuttosto avaro di novità discografiche, l'ascolto più significativo—e per più versi sorprendente—è quello dell'ultimo album del pianista californiano David Haney, Day for Night at Jackstraw (Slam), inciso parte in trio nel 2000 e parte in sestetto nel 2008. Il trio, fulminante, vede Haney affiancato da una coppia di gloriosi figuri quali Julian Priester al trombone e Buell Neidlinger al contrabbasso, mentre il sestetto aggiunge due ance e batteria (ma trombone e basso passano in altre mani).

L'intero lavoro, assolutamente unitario a dispetto della forbice cronologica e di organico fra le due sedute (entrambe realizzate nello studio del titolo, in quel di Seattle), è attraversato da un sano gusto sperimentale, sia sulle sonorità che sugli incastri e le dinamiche. Ci sono segmenti più aerei e altri più nervosi, quasi incandescenti, peraltro sempre governati da un aplomb e una lucidità assolutamente invidiabili. Veramente un signor disco. Oltre tutto quasi a tradimento, come detto, visto che almeno a chi scrive il nome di Haney era tutt'altro che familiare.

Enrico Bettinello

Il 2013 si apre curiosando nel web!

Un proposta "underground," nel vero senso della parola?

La trovate alla fermata della 42ma Strada della metropolitana di New York e risponde alla voce ancora fantastica di Geechee Dan, 72 anni, vero e proprio soul man sconosciuto ma da non perdere.

Se non ce la fate a fare un salto nella Grande Mela, il New York Times lo ha ripreso per voi.

È tra i siti più indispensabili della rete. Stiamo parlando di UbuWeb, vera e propria manna di filmati e documenti audio sulle avanguardie del '900. Una di quelle "magie" in cui si potrebbe passare dei giorni intrappolati e felici.

Il blog di Frieze ha intervistato l'anima di UbuWeb, Kenneth Goldsmith, sempre interessante.

Sempre in tema di interviste, da riscoprire un'intervista che Ben Sidran ha fatto a Art Blakey nel 1982. Il bel sito BlankOnBlank la ripropone sia in audio che in trascrizione.

Tra le curiosità che circolano invece su YouTube, da non perdere questo video del 1973 che vede Lee Konitz alle prese con un tributo a Charlie Parker. Oltre all'ottima musica e alla fantastica band (con Cecil Payne al baritono, Howard McGhee e Jimmy Owens alla tromba, Joe Carroll alla voce, Ted Dunbar alla chitarra, Richard Davis al basso e Bernard Purdie alla batteria), il video vale anche per l'esilarante "gag" del microfono che non sta su e per Konitz che fa ascoltare un nastro con i Supersax che suonano un tema di Parker armonizzato. Buon divertimento!

In arrivo anche il documentario sul trombettista Clark Terry, Keep On Keepin' On, che incrocia le vicende del fantastico musicista con quelle di un suo studente non vedente. Ecco il trailer.

Luca Canini

VIDEO (LIVE). Molto se n'è scritto e ancora di più se n'è parlato. A ragione. Perché The Idler Wheel Is Wiser Than the Driver of the Screw and Whipping Cords Will Serve You More Than Ropes Will Ever Do di Fiona Apple (lunghetto il titolo) è un gran bel disco. E questa versione live di "Anything We Want" è da brividi.

DA VEDERE (PROSSIMAMENTE). Arriverà anche a Milano "Fratto_X," l'ultimo spettacolo di Antonio Rezza e Flavia Mastrella. Una gran bella notizia per noialtri nordici. Un paio di assaggi: assaggio1, assaggio2.

LIVE (D'ANNATA). Un po' di Al Green, che non fa mai male. "Love and Happiness".

ASCOLTI (IMPRESCINDIBILI). Metà dei Cinquanta. Shorty Rogers alla testa di un quintetto stellare: Shelly Manne alla batteria, Courtis Counce al contrabbasso, Pete Jolly al pianoforte e Jimmy Giuffre a tenore e clarinetto. Il brano è "Martians Go Home".

NOVITA' (DAL FREDDO NORD). Mats Gustafsson e la sua Fire! Orchestra. Il disco d'esordio, Exit! è uscito da poco per la Rune Grammofon. Ne parleremo a breve su queste pagine. Nel frattempo, godetevi questo estratto live.

Maurizio Comandini

Sono passati trent'anni dalla pubblicazione del primo album di Stevie Ray Vaughan, Texas Flood. E la Sony lo ripubblica oggi in edizione deluxe con l'aggiunta di una bonus track ("Tin Pan Alley") e soprattutto con un secondo CD allegato che riporta un concerto inedito che vede Stevie Ray in gran forma. La registrazione è di buona qualità e risale al 20 di ottobre del 1983. La location è Ripley's Music Hall di Philadelphia. Spettacolare.

Le crociere non ci hanno mai particolarmente attirato. E dopo l'inchino, tragico e demenziale allo stesso tempo, del comandante Schettino, ci attirano ancora di meno. Forse una eccezione si potrebbe fare per una crociera che offre come attrazione musicale una band non proprio scontata come Medeski, Scofield, Martin & Wood. Questa bella sorpresa era a disposizione di chi si è messo in viaggio dalla Florida sulla nave MSC Poesia a partire dal 7 gennaio. Per noi rimasti nelle brume dell'Italia reale, e anche di quella figurata, rimane la possibilità di scaricare il concerto dal sito http://bt.etree.org. Sono documentate due serate, quella inaugurale del 7 gennaio e quella della sera successiva. Per chi vuole esagerare lo stesso sito rende disponibile anche la serata del 6 gennaio, a terra, a Fort Lauderdale. Una prova generale alla quale Scofield arriva in ritardo verso la fine del primo set. Non sappiamo se il ritardo era giustificato, ma sappiamo che i quattro musicisti si intendono a meraviglia e sanno rendere ancora eccitante la formula della jam band.

Libero Farnè

I Like... Nino Migliori

Mi sono sempre rifiutato di pensare che il jazzfan o gli addetti ai lavori siano delle monadi, dei monomaniaci che non vedono altro al di fuori del jazz. In realtà ognuno di noi vive di jazz come di un'infinità di altre cose: si ascoltano CD e concerti, ma si va anche al cinema e a teatro, si pratica il nuoto o lo sci, si collezionano pipe o etichette della frutta, si leggono romanzi o saggi di astronomia, si fa politica o meditazione trascendentale... Per questa ragione mi sia concessa una digressione rispetto al jazz. Questo mese segnalo una mostra unica e imperdibile: l'antologica di Nino Migliori, visitabile a Palazzo Fava di Bologna fino al 28 aprile.

Nino Migliori (classe 1926) non è definibile come il più importante fotografo italiano, ma piuttosto come uno dei più grandi artisti della fotografia a livello mondiale; nel senso che per lui il mezzo fotografico non è solo un modo di vedere, interpretare e registrare la realtà (che è già di per sé uno dei peculiari obiettivi del fotografo), ma è sempre stato un materiale da elaborare, trasformare, creare. Fin dagli esordi nel 1948, a fianco di una momentanea esigenza neorealista, ha sentito il bisogno espressivo di intervenire sulle pellicole fotosensibili con le tecniche più disparate: abrasioni, cancellazioni, pirogrammi, ossidazioni, cellogrammi, sovrapposizioni, ingrandimenti, videografie... Per lui agire sulla fotografia è un work in progress che nei decenni lo ha portato ad affrontare temi ricorrenti come "l'autodeterminazione della materia" o "la sottrazione e accumulo della memoria".

Visitare la mostra bolognese (ripeto imperdibile per chiunque abbia un minimo di interesse per l'arte e la fotografia) significa ripercorrere tutte le fasi e le tendenze della ricerca artistica degli ultimi sessant'anni: dal realismo analitico alla sperimentazione gestuale e materica dell'Informale, alle esasperazioni Kitsch della Pop Art, alle rigorose analisi dell'Arte Concettuale, alle intriganti soluzioni della nuova astrazione e nuova figurazione, fino ad includere la scultura e le coinvolgenti installazioni ambientali. Il tutto sempre vissuto e reinterpretato in prima persona dalla sensibilità artistica di Nino Migliori, che non esclude una certa dose di ironia e autocritica.

Angelo Leonardi

Alcuni ricordi del 2012.

Cantanti - Mentre il grande Mark Murphy continua a esibirsi con esemplare dignità, a dispetto dei problemi di salute (il 21 maggio del 2012 al Blue Note di New York s'è celebrato il suo ottantesimo compleanno), il suo massimo erede, Kurt Elling, trova la consacrazione con l'album 1619 Broadway: The Brill Building Project, uscito in ottobre. Sul versante del canto jazz maschile, il 2012 è stato significativo anche per l'affermazione di Gregory Porter e non è un caso che entrambi siano stati invitati alla recente edizione di Umbria Jazz Winter.

Il Brill Building è l'edificio di Manhattan in cui hanno operato decine di studi di registrazione ed edizioni musicali che hanno sfornato dalla metà degli anni trenta ai settanta il meglio della pop music statunitense: in quello stabile hanno lavorato Jimmy Van Heusen, Burt Bacharach e Hal David, Paul Simon, Leiber e Stoller, Laura Nyro, Carole King e Gerry Goffin, Johnny Mercer e da lì sono usciti classici come "So Far Away," "On Broadway" o "Come Fly with Me". L'omaggio di Kurt Elling a quella stagione è tra i migliori album vocali del 2012.

Fado - Cosa resta del fado portoghese a 13 anni dalla morte di Amalia Rodrigues? Molto più di quanto si pensi. In questi anni sono emerse cantanti di valore come Mariza, Cristina Branco o Ana Moura ma la più appassionante è Carminho, nome semplificato di Maria do Carmo Carvalho Rebelo de Andrade. Figlia della famosa Teresa Siqueira, Carminho ha debuttato nel 2009 all'età di 25 anni rivelando enormi potenzialità. Oggi dimostra l'intensità espressiva di una grande interprete e si prospetta come l'erede di Amalia Rodrigues. Le sono bastati due dischi (Fado e Alma) per raggiungere i vertici del fado contemporaneo, conquistando gli appassionati di questa musica. Il 13 dicembre è uscita una nuova edizione di Alma in cui collabora con Chico Buarque, Milton Nascimento e Nara Caymmi. Saudade e Fado tornano a incontrarsi.

Concerti - Un'esibizione da ricordare, anche perchè è passata del tutto inosservata, è quella di Shai Maestro all'ultimo Verona Jazz di fine giugno. Sarebbe lungo spiegare i motivi che hanno portato alla "morte" delle storica rassegna, ridotta a un piccolo contenitore dove il jazz ha ormai un ruolo effimero. La presenza del pianista israeliano va però ricordata: già ascoltato con Avishai Cohen, debuttava in Italia in veste di leader, nel trio con Jorge Roeder al contrabbasso e Ziv Ravitz alla batteria. Cinquanta minuti di musica concentrata e suggestiva, con melodie cantabili contrapposte a ritmi danzanti che si snodavano in dinamiche variopinte, con ottima tecnica e maturità espressiva. Un repertorio che riproponeva i temi del suo bel disco Ziv Ravitz .

Incisioni - Pubblicato di recente dall'etichetta Parco della Musica, Puglia Jazz Factory è un pregnante progetto che vede assieme i sassofonisti Gaetano Partipilo e Raffaele Casarano con il pianista Mirko Signorile, il contrabbassista Marco Bardoscia e il batterista Fabio Accardi.

Roberto Paviglianiti

Il nero è il colore che si addice a questo mese di gennaio, sarà che faceva buio presto, sarà che la notte il suono si propaga diversamente, come mi spiegò una volta Patrizio Fariselli.

Take #1: Omar Sosa nelle sue varie sfaccettature: gli africanismi di Tales from rhe Earth, con Mark Weinstein in un viaggio sonoro caleidoscopico e multiforme; il dialogo con Paolo Fresu in Alma, dove anche Jaques Morelenbaum contribuisce a creare uno strato solido di emozioni fatte di lievi accenni; la solitudine raffinata di Calma fino alla stretta attualità di Eggun, dove il continente nero ritorna miscelandosi con l'anima di Miles in un intreccio elettrico che lascia segni evidenti.

Take #2: Poi c'è Gianluca Petrella con il suo esordio su Auand: su X-Ray si ascolta un grande Javier Girotto al baritono e si sente vibrare la caratura bluesy del trombonista pugliese.

Take #3: Tra le cose migliori del 2013 andrà inserito Gamak di Rudresh Mahanthappa, soprattutto perché mettersi a suonare David Fiuczynski è sempre un'ottima idea.

Paolo Peviani

Cinema: Django Unchained di Quentin Tarantino. D'accordo, è eccessivamente e gratuitamente pulp, citazionista, surreale. Ma è cinema allo stato puro, grandissimo cinema, con una colonna sonora spettacolare. Da John Legend a James Brown, da Richie Heavens a Johnny Cash, passando per Morricone, Bacalov, Jim Croce, Masamichi Amano...

E sinceramente non ho per nulla compreso la polemica "razziale" scatenata da Spike Lee su questo film. Innanzitutto perché nel film gli schiavisti - e più in generale i razzisti - sono tratteggiati come dei poveri idioti. E poi perché il cuore delle tesi del regista - sommariamente riassumibili in solo un nero può raccontare una storia legata alla schiavitù - ci sembra negare alla radice il diritto di ogni artista ad esprimersi nelle forme e modalità che ritiene più opportune. Parafrasando il ragionamento di Spike Lee in chiave musicale, sarebbe come dire che solo i neri possono suonare jazz, solo gli italiani possono cantare l'opera, ... Mah!

Ascolti: Eric Revis 11:11, Parallax (Clean Feed). Senza dubbio uno dei dischi più interessanti tra quelli pubblicati nel 2012. La fantastica sezione ritmica Eric Revis - Nasheet Waits intesse il canovaccio sonoro su cui si muove la strana coppia Jason Moran - Ken Vandermark. Ovvero: un linguaggio contemporaneo ma molto consapevole della tradizione, e la scena avant chicagoana più dura e pura. Basta questo per intuire che l'album si snoda lungo percorsi inconsueti ed intriganti. Da non perdere.

Letture: Julio Cortázar, "Il Persecutore" (1959, Einaudi). Bruno V. è giornalista e critico musicale, biografo e amico di Johnny Carter, pseudonimo dietro cui si riconosce chiaramente la figura di Charlie Parker. Bruno subisce il fascino di Johnny, è pienamente cosciente della propria incapacità di raccontarne il genio (che ama e allo stesso tempo invidia, pur temendone le derive autodistruttive), alterna manifestazioni di affetto a meschine considerazioni editoriali.

La categoria dei critici musicali - com'è facilmente intuibile dal titolo del libro - non ne esce affatto bene: "Penso malinconicamente che egli si trova all'inizio del suo sax, mentre io vivo costretto a contentarmi della fine. Egli è la bocca ed io l'orecchio, per non dire che egli è la bocca e io ... Ogni critico, ahimè, è la triste fine di qualcosa che cominciò come sapore, come delizia di mordere e di masticare".

Ma, nelle sue considerazioni, Bruno non risparmia nemmeno il pubblico: "Decisi di non alterare per niente la seconda edizione del libro e di continuare a presentare Johnny come in fondo era: un povero diavolo di intelligenza appena mediocre, dotato come lo sono tanti musicisti, tanti giocatori di scacchi e tanti poeti del dono di creare cose stupende, senza avere la più piccola coscienza (o al massimo un orgoglio di pugile che sa di essere forte) delle dimensioni della propria opera. Tutto mi induceva a conservare tale e quale questo ritratto di Johnny; non era il caso di crearsi complicazioni con un pubblico che vuole molto jazz, ma niente analisi musicali o psicologiche, niente che non sia la soddisfazione momentanea e ben ritagliata, le mani che marcano il ritmo, i visi che si rilassano beatamente, la musica che passeggia sulla pelle, entra nel sangue e nel respiro, e poi basta, niente ragioni profonde".

Neri Pollastri

Alessandro Bertinetto - "Il pensiero dei suoni. Temi di filosofia della musica" (Bruno Mondadori, Milano, 2012).

Panoramica dell'estetica musicale classica e contemporanea, questo libro (forse non sempre semplicissimo per chi non sia avvezzo alle tematiche filosofiche) ha tra i numerosi pregi quello di mostrare fino a che punto la prassi improvvisativa (anche, ma non solo, jazzistica) faccia saltare i tradizionali assunti della filosofia della musica. Infatti, concludendo il lavoro, Bertinetto sottolinea che, nonostante i filosofi le dedichino pochissima attenzione, «la pratica dell'improvvisazione merita grande considerazione per lo studio del rapporto tra musica, emozioni ed etica, così come per una generale revisione del problema del significato musicale».

Una rivalutazione di questa prassi musicale che proviene quindi da un diverso ambito della cultura, finora poco vocato a occuparsene, che arriva dopo i numerosi e ben noti studi del filosofo Davide Sparti. Si noti che tra i temi trattati da Bertinetto c'è anche quello dello statuto di prassi sonore "di confine," come ad esempio le produzioni di Cage. Che, nella fattispecie, vengono da Bertinetto coerentemente ed efficacemente escluse dalla "musica," per essere assegnate invece al dominio delle "arti sonore non musicali".

I tre soprani.

Chissà come facevo a non conoscerlo ancora!" Three Blokes," tre tipi assai particolari, cioè Steve Lacy, Evan Parker e Lol Coxhill, che suonano assieme con i loro soprani a Berlino, nel settembre 1992. In realtà suonano per lo più a coppie, lasciando il terzo di volta in volta "in panchina" - ed è comunque uno spettacolo, un tripudio di sonorità, d'invenzioni e di interazione dialogica. Solo nell'ultima, breve traccia si ascolta l'inaudito: tre sax soprani - e di che qualità! - che suonano assieme, mescolando liberamente le loro frasi, perdendosi l'uno nell'altro. Una gemma da riscoprire e ricordare.

Dischi in arrivo.

Prosegue il viaggio di Stefano Battaglia nei luoghi immaginari: dopo The River of Anyder ecco, ancora per la ECM, Songways, sempre in trio con Salvatore Maiore e Roberto Dani. Proprio quest'ultimo, che del lavoro sul suono fa il centro della sua ricerca (clicca qui per leggere una sua intervista), ha uno spazio ancora maggiore, in un lavoro leggermente meno lirico e per questo ancor più aperto al suono dello splendido predecessore.

Adagio è la seconda uscita, a tre anni di distanza, del trio Black Coffee, ponte sull'Adriatico che unisce Daniele Di Bonaventura al bassista acustico Renato Svorinic e il batterista Jadran Ducic Cico. Originalissime e sottili riletture di musiche tradizionali dell'una e dell'altra sponda, bei brani originali del bandoneonista (e splendido compositore) marchigiano, ma anche la conclusione a sorpresa, prima con Charlie Haden e poi con Albinoni.

Luigi Santosuosso

Ho passato buona parte del 2012 a sospettarlo... Ma - un po' per scaramanzia, e un po' per riverente affetto nei confronti dei due club che più di tutti mi hanno formato musicalmente - non mi volevo sbilanciare. Ora non ho più dubbi. Finalmente New York ha trovato il successore ideale della Knitting Factory (quella dei primi tempi, s'intende) e del Tonic: stiamo parlando dello ShapeShifter Lab. Almeno per me e almeno simbolicamente, il passaggio del testimone c'è stato il 29 dicembre. Sul palco due band e vari musicisti strettamente legati a Knitting Factory e Tonic: primo set (ore 8.30) Dave Tronzo Trio (con Ben Perowsky e Stomu Takeishi) di nuovo insieme dopo 17 anni; secondo set (ore 10:30) Spanish Fly, una delle band più intriganti della scena downtown anni '90 con Steven Bernstein, Dave Tronzo e Marcus Rojas, ospite speciale Ben Perowsky (promotore della serata amarcord).

Il tutto, ovviamente, a Brooklyn (nella zona tra Gowanus e Park Slope sempre più affollata di club: a pochi passi si trovano Barbes, Issue Project Room, Brooklyn Lyceum, Korzo, Douglass Street Music Collective, Seeds, Tea Lounge, I-Beam, Union Hall, Littlefield, Roulette, BAM etc.).

Il club, oltre che studio di registrazione e galleria d'arte (al momento sulle pareti alcuni dipinti di Billy Martin dei MMW, che sembrerebbe influenzato a livello pittoriale dal suo ex leader nei Lounge Lizards, John Lurie), è stato lanciato un paio di anni fa dal bassista Matthew Garrison (tornato negli Stati Uniti alla fine degli anni '80 dopo aver vissuto per lungo tempo a Roma con la madre e le sorelle Joy, cantante, e Maia Claire, ballerina) e da Fortuna Sung. Dopo un periodo di ristrutturazione dello spazio e organizzazione interna, a febbraio del 2012 l'apertura ufficiale con una serie di concerti di sempre maggiore qualità e un ottimo mix di musicisti locali e stranieri (Francois Houle, Benoit Delbecq), ed un salutare scambio tra vecchi mostri (Tim Berne) della scena downtown e nuove speranze (Mary Halvorson, Jason Robinson).

La motivazione di Garrison e Sung è quella di ricreare l'aria che si respirava a Soho durante gli anni della scena Loft animata, tra gli altri, dagli illustri genitori di Garrison, Jimmy e Roberta. Come ci tiene a sottolineare lo stesso Garrison, "lo ShapeShifter Lab è essenzialmente ispirato alla scena dei Loft, la quale ha influenzato molti dei musicisti che ora suonano da noi o che, come me, hanno suonato alla Knitting Factory e al Tonic. È quindi un posto gestito da me e Fortuna con una visione del futuro fortemente legata alla storia della scena musicale newyorchese. È per questo che ci stiamo mettendo tutta la nostra passione."

Per chi non puo' andarci per motivi di distanza... buona parte dei concerti sono trasmessi in live stream su www.shapeshifterlab.com.

Ed il locale è pure molto più carino ed accogliente di Knitting Factory e Tonic... Il 2013 inizia quindi con tante aspettative! Nonostante la tristezza per la chiusura del leggendario Lenox Lounge ad Harlem e di un altro centro gravitazionale brooklyniano come lo Zebulon a Williamsburg, entrambi vittima dei costi d'affitto insostenibili (problema che sembra minacciare anche un'altra istituzione come la Jazz Gallery da poco spostatasi in un locale condiviso con una galleria d'arte vicino al Flatiron Building).

Un paio di eventi involontari che assicurano l'imprevedibilità delle scoperte (e riscoperte) musicali:

1. l'effetto domino delle convergenze parallele di Youtube, dove uno inizia a cercare materiale su Bill Frisell e mezz'ora dopo - seguendo i link 'suggeriti' dal motore di ricerca - si imbatte in un brano amato alla follia e non ascoltato da anni: "Ahmad the Terrible", dal disco (a mio parere) migliore di Jack DeJohnette con gli Special Edition: Album Album (ECM Records).

2. l'acquisto "sulla fiducia" di un CD di Barney Wilen fatto ad un saldo online della Downtown Music Gallery, Live in Paris 8 Janvier 1983 (Disques Futura et Marge). Il pretesto per l'acquisto era quello di mettere le mani su un'altro disco di uno dei miei sassofonisti preferiti. Il risultato è stato invece quello di ritrovarsi una registrazione vecchia 30 anni di Wilen con il gruppo elettronico sperimentale Dièse 440. Le foto del libretto mostrano apparati elettronici tipo laboratorio IBM anni '60. I sintetizzatori hanno un suono inevitabilmente datato ma i tre scienzati pazzi, Michel Bertier, Guillaume Loizillon e Claude Micheli, ne traggono sapientemente atmosfere di grandissima presa. L'effetto? Una specie di Spring Heel Jack ante litteram per poco meno di un'ora di sperimentazione senza rete in cui Wilen si dimostra improvvisatore feroce e senza paura. A chiudere gli occhi si potrebbe pensare alla colonna sonora di un film di fantascienza vintage dedicato alla vita di uno Stan Getz dal DNA ibridato con i geni di Gato Barbieri e Jan Garbarek prima di essere teletrasportato su un pianeta in cui lo spirito della New Thing viene tenuto in vita da sciamani alle prese con strumenti elettronici... A chiudere gli occhi ancora di più si riesce anche ad immaginarsi cosa possa essere successo in quello stesso 1983 quando Wilen suonò a Cannes una maratona di 24 ore con Archie Shepp salito sul palco per il rush finale. E non ci si può che rammaricare al pensiero di quello che si sarebbe verificato se, sempre nel 1983, un decennio dopo la sua fase africana, Wilen fosse veramente riuscito a duellare con Fela Kuti sugli Champs-Elysées, come aveva intenzione di fare... Insomma, Wilen è un musicista da riscoprire, ben oltre il periodo giovanile alla corte di Miles.

31 gennaio: grande attesa e curiosità per una serata con Henry Threadgill in rarissima versione sideman, ospite speciale dell'emergente pianista cubano, oltre che suo protegé e compagno di label alla Pi Recordings, David Virelles. Prima ventina di minuti con i soli Virelles, Andrew Cyrille, Ben Street, Román Díaz e Roman Filiu a suonare musica dall'intrigante Continuum. Poi Threadgill sale sul palco e da ospite ruba la scena al padrone di casa. Emaciato... Forse non sta molto bene di salute... o magari 68 anni non sono pochi... Il suono del suo flauto e del suo sax appare inizialmente stridente in quanto lanciato senza tanti complimenti in una direzione completamente diversa da quella appena ascoltata. Il resto della band segue fedelmente i brani composti da Threadgill per loro, una musica fatta di quegli andamenti angolari e frammetati che hanno reso famoso il musicista di Chicago. La cosa più sorprendente è tuttavia lo stesso Virelles che traduce al piano la filosofia threagilliana in maniera rispettosa e allo stesso tempo personale. A tratti sempra di ascoltare un Very Very Circus fatto di 88 tasti di ebano e avorio. Sotto molti aspetti un esperimento più profondo e meno muscolare di quello realizzato da Vijay Iyer su Accelerando con la reinterpretazione di "Little Pocket Size Demons" (dal disco 'elettrico' dei Very Very Circus Too Much Sugar for a Dime - Columbia Records 1993). Per Threadgill una conferma. Il suo sax alto è ancora un'arma letale. Per il pubblico una chicca dalle mille sfaccettature, non ultima proprio la scoperta della scrittura di Threadgill per uno strumento, come il piano, con il quale non si è confrontato a sufficienza. E - forse proprio per tutti questi motivi d'interesse - il pubblico comprendeva un gran numero di musicisti (tra i tanti, Tim Berne, Oscar Noriega, Jim Black, Jonathan Finlayson, Miles Okazaki etc.) Per una versione di Virelles ed i suoi Continuum al Village Vanguard (ma senza Threadgill) andate sul sito della National Public Radio.

Giuseppe Segala

Gennaio, mese della Memoria. Quale occasione migliore per leggere le pagine di un diario? In questo caso un diario che per la precisione di scrittura, per la forza di analisi, per la cura formale ha la dignità di un'opera letteraria (d'arte) compiuta. John Cheever, "Una specie di solitudine" (Feltrinelli). Non ci sono date, nel diario di Cheever, solo indizi sul tempo: "Sto seduto in terrazza a leggere dei tormenti di Fitzgerald. Io sono, lui era, uno di quegli uomini che leggono le tragiche vite di scrittori alcolizzati, autodistruttivi, con un bicchiere di whisky in mano e le guance bagnate di lacrime".

L'ascolto correlato è quello di un Chet che amo particolarmente, quello del duo con Paul Bley, "Diane". Persone che sanno cesellare il materiale di cui sono depositari, al pari di Cheever. "You Go to My Head"...

Altro cesellatore, nell'argento vivo, è Thomas Chapin. I tre dischi straordinari di Never Let Me Go (Playscape Recordings), da poco pubblicato di cui parleremo più in dettaglio nei prossimi giorni.

Tutti se ne sono andati, resta solo il vecchio Paul, che osserva, forse con un mezzo sorriso.

Foto di Davide Susa (Battaglia) e Dragan Tasic (Sosa).

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