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Südtirol Jazzfestival Alto Adige 2023 - Seconda parte

Südtirol Jazzfestival Alto Adige 2023 - Seconda parte

Courtesy G. Pichler

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Alto Adige
Bolzano, Altre Sedi
30.6-9.7.2023

La nuova fase del Südtirol Jazzfestival Alto Adige, con l'avvicendamento quest'anno alla direzione artistica, passata da Klaus Widmann a tre suoi giovani e collaudati collaboratori, è avvenuta nel segno della continuità. Si è mantenuta la proposta per tanti versi vincente, che ha caratterizzato gli ultimi tre lustri, con più di cinquanta concerti, spalmati in dieci giorni, collocati non solo nei teatri e nelle piazze, ma dentro le cornici più varie della provincia di Bolzano, dal rifugio di alta montagna alle fortezze, dal borgo medioevale all'azienda agricola o vinicola, dai laghetti alpini alle abbazie, dalle fortezze alle grotte dell'attività mineraria.

Continuità anche nell'impostazione artistica, concentrata come sempre su musicisti giovani, spesso conosciuti molto poco dall'abituale pubblico del jazz. Favorendo i loro contatti e la nascita di nuove collaborazioni, sponsorizzate dal festival. Quest'anno, le presenze già conosciute e apprezzate erano quelle di alcuni musicisti frequentatori della rassegna, tornati a calcare gli spazi concertistici magari affiancati a nuovi, inediti compagni di avventure sonore. È il caso di quello che vorremmo subito definire come uno dei momenti più coinvolgenti e degni di menzione del festival: i due appuntamenti riuniti sotto il titolo di Jazz at the Fortress.

Dentro il forte di Fortezza, dove il dedalo di stanze, gallerie, scale, cortili e piazzali, volte a botte, anfratti e sale espositive è stato letteralmente espugnato dai tre musicisti che lo hanno trasformato nel loro palcoscenico mobile. Dan Kinzelman al sax tenore, Filippo Vignato al trombone, Glauco Benedetti alla tuba hanno tracciato itinerari differenti, camminando negli spazi del forte, in un continuo gioco a sorpresa con il pubblico, il quale vagava incuriosito e stimolato, secondo traiettorie diverse e intrecciate, nel tentativo di inseguire echi sonori, scie e rimbalzi di motivi che si avvicinavano, si affiancavano e si allontanavano. Il risultato, suggestivo e surreale, era di una percezione e fruizione diversa per ogni ascoltatore.

Un'esperienza musicale condotta con grande perizia e senso esplorativo da ottimi musicisti. Gli stessi che sono stati protagonisti della seconda parte di quel pomeriggio, questa volta con un palco tradizionale, all'aperto tra i muri del forte medio, di fronte a un pubblico stipato ed estasiato. In scena era il sestetto Ghost Horse dello stesso Kinzelman, che ai musicisti già citati affianca Gabrio Baldacci alla chitarra baritono, Joe Rehmer al basso acustico ed elettrico, Stefano Tamborrino alla batteria. Il gruppo, rodato da anni, ha presentato musica densa di stimoli, raffinata e ricca di dettagli, sempre estroversa e significativa. In certi casi l'esuberanza degli intrecci ritmici ricordava una festa caraibica, ma questo era soltanto uno dei tanti ingredienti sapientemente calibrati in un piatto davvero pregevole.

Il nostro resoconto non può essere che parziale e frutto di sintesi selettiva. Da un lato perché si affianca a quello di Libero Farnè, che ha seguito e commentato per All About Jazz un'altra sezione del programma. Dall'altro, perché, di fronte a tale quantità di proposte, si impone una doppia selezione, di scelta preventiva a quale presenziare e, successivamente, dell'opzione di quale rendere conto. Qui entra in gioco tutta l'arbitrarietà del lavoro critico, che già nella sua etimologia evoca la scelta, la separazione. Non me ne voglia, quindi, chi avrebbe concentrato il proprio interesse su altre rotte.

Ma restiamo ancora un momento sulla nostra prima traccia, quella degli artisti già conosciuti, per incontrare la vocalist francese Leïla Martial, che in uno dei concerti d'apertura del festival, al centralissimo Parco Cappuccini di Bolzano, è stata partecipe dell'incontro inedito con la berlinese Kid Be Kid, cantante e pianista. Quest'ultima non si è fatta intimidire dal virtuosismo straripante della Martial, fatto di vocalizzi flessibili e spericolati, di emissioni multifoniche, ottenute mescolando difficili tecniche del corpo, e strumentazione elettronica. Si è anzi ben rapportata a quella profusione torrenziale, giocando con i chiaroscuri del proprio pianoforte e con i colori melodici della voce, con l'uso dell'elettronica in modo soprattutto ritmico, tra inserti contemporanei, invenzioni di tinte folkloristiche, qualche pennellata di pop accattivante. Un set breve e vivace, che ha mostrato intelligenza e reciprocità nel dialogo.

Ancora Martial e ancora nomi già apprezzati, con il trio Oliphantre, che allinea Francesco Diodati alla chitarra e Stefano Tamborrino alla batteria. Forte di un rodaggio di almeno quattro anni, propiziato dallo stesso Jazzfestival dell'Alto Adige, la formazione si muove su multistrati sonori con disinvoltura e grande sintonia, stemperando gli ingredienti sperimentali con l'estroversione ritmica (fondamentale ancora un volta il lavoro di Tamborrino) e la costante invenzione creativa. I brani di Diodati erano tratti dal recente CD, pubblicato dalla Jazz Engine. Lo stesso Diodati era coinvolto, in duo con il batterista Alexander Yannilos in un'intensa operazione estemporanea di sonorizzazione, del cortometraggio dal titolo "Mit dem Motorrad über die Wolken," con la motocicletta sopra le nuvole, del 1926. Vi si narra, con immagini ricche di seduzione e di ritmo, un viaggio pionieristico di tre motociclisti da Vienna alle Dolomiti ampezzane. Efficace e sensibile il lavoro dei due musicisti, sulle immagini delle motociclette che percorrono strade sterrate, sobbalzando e alzando masse surreali di polvere, tra le nuvole e i profili scultorei di alcune delle cime più famose e belle del mondo.

Nella rassegna che elegge a punto di forza la promozione di incontri inediti tra giovani musicisti, non poteva mancare una serata dedicata all'esperienza Euregio Werkstatt, promossa e sponsorizzata dallo stesso jazzfestival nel 2017, che ha favorito il contatto e la collaborazione tra giovani musicisti di Trentino-Alto Adige, Svizzera, Austria, e la nascita di tante formazioni. La Euregio Collective Night proponeva tre concerti, in cui erano coinvolti il trio del batterista austriaco Max Plattner, con un Fabian Rucker dal fraseggio fitto e trascinante al sax alto, il quartetto Wild Brush con la grintosa e solida bassista Ruth Goller e il quartetto del contrabbassista bolzanino Marco Stagni, nel quale ancora la presenza di Plattner mostrava la sensibile versatilità del musicista, in un programma ben articolato tra jazz, blues e progressive rock, con gli ottimi Matteo Cuzzolin al sax tenore e Philipp Ossanna alla chitarra.

Tra le piacevoli scoperte, non sono mancati musicisti provenienti dall'area francese, in particolare il trio La Litanie des Cimes, un organico strumentale di stampo cameristico, con Clément Janinet al violino, Elodie Pasquier ai clarinetti e Clement Petit al violoncello, per una musica che, con ottimi impasti d'insieme e interventi solistici brillanti, gira con grazia e convinzione, attorno a cenni minimalisti, contemporanea, blues, poliritmie africane e latine. C'è più di un riferimento all'etnia immaginaria di Michel Portal e Louis Sclavis. Restando in territorio transalpino, il set del giovane pianista David Tixier, in duo con la batterista Lada Obradovic, ha manifestato ciò che spesso si verifica in queste generazioni: un'alta preparazione tecnica, che ha ancora bisogno di tempo per maturare in un'autentica narrazione.

In conclusione, questa ampia passerella di giovani ha messo in evidenza alcune tendenze, che già da qualche tempo si fanno strada: l'uso sempre più ampio e frequente di pannelli di controllo, pedaliere ed altri supporti elettronici, spesso utilizzati in modo non banale; la penetrazione sempre più massiccia di ritmi e riff rock, funk, hip-hop; la tendenza a costruire un linguaggio universale, che utilizza un ampio ventaglio di generi e stimoli, ma nei casi più consapevoli cerca una nuova sintesi, nuovi significati.

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