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Stefano Bollani solo

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Teatro Manzoni - Bologna - 16.01.2012

Non è una novità che Stefano Bollani sia chiamato ad esibirsi, spesso in solo, in rassegne di musica classica. Quello che in parte può stupire è che in queste occasioni il pianista non si presta a modificare di una virgola il suo repertorio, il suo approccio alla tastiera, il suo personaggio. Anzi forse è proprio per questa dimostrazione di coerenza che il successo ottenuto di fronte al pubblico della classica è perfino superiore a quello ormai consolidato, direi scontato, tributatogli dal pubblico del circuito jazzistico.

È quello che è capitato la sera del 16 gennaio al Teatro Manzoni di Bologna, dove Bollani ha tenuto una "carta bianca" all'interno della rassegna di musica cameristica organizzata già da un quarto di secolo dalla Fondazione Musica Insieme. Per tentare di soddisfare le richieste del pubblico (senza per altro riuscirci del tutto) gli organizzatori hanno aggiunto una sessantina di posti sul palcoscenico di fianco al concertista. Tale è infatti il richiamo esercitato oggi da Bollani, anche grazie alle recenti apparizioni televisive (è questa la comunicazione mediatica che determina automaticamente il parametro dell'attrattiva da parte di un pubblico trasversale, che trascende i generi musicali).

In Bollani coesistono varie anime, a nessuna delle quali egli intende rinunciare, sia nel disegnare lo svolgimento del concerto, sia nell'inserire repentine deviazioni e istantanee divagazioni all'interno della singola interpretazione, quasi a sostenere che l'intreccio fra i vari mood e approcci possibili è inscindibile; ogni idea riveste pari dignità ed esige di essere esposta. La sua personale e raffinatissima sensibilità interpretativa include e compenetra saldamente la narrazione distesa e la citazione gustosa, il rovello della ricerca aggrovigliata e la danza trascinante, gioia e ironia, poesia e meditazione. Per lui la tecnica pianistica non ha misteri, come gli sono del tutto naturali i meccanismi della comunicazione, tanto da dosare gli effetti e gli sprazzi umoristici con i tempismi perfetti dell'esperto entertainer.

Nei vari concerti si verifica comunque una conduzione della performance più o meno collaudata. Nella prima mezz'ora Bollani si presenta nei panni del concertista "serio," non solo esponendo una smaliziata tecnica strumentale, ma palesando anche concentrazione e profondità nella ricerca interpretativa. Poi si assiste ad un cambio di marcia, come se egli volesse dire: "Ora che ho dimostrato cosa sono in grado di fare, lasciatemi divertire!". Da quel momento in poi un umorismo contagioso e un pianismo brioso ed effervescente procedono di pari passo, trasformando il concerto in uno show irresistibile.

La cronaca dell'apparizione bolognese ripercorre necessariamente queste tappe, diventando quasi pleonastica. L'incedere misterioso dell'apertura, privilegiando la parte centrale della tastiera e il lavoro instancabile della mano sinistra a creare un variato bordone, ha introdotto il tema avvolgente e cadenzato della hit brasiliana "Chega de saudade," poi sviluppata con un cupo martellare su una scala dal sapore minimalista. Di seguito, una fase poetica e sospesa ha preceduto la versione di "Isfahan" di Billy Strayhorn, elaborata con un tocco percussivo e dissonante memore di Monk. La successiva interpretazione di "Sweet Georgia Brown" è risultata frenetica, contrastata e danzante.

Carpito il testo di una canzone di Jannacci, capitatogli come per magia fra le mani, lo ha letto al microfono con svagata nonchalance (ecco il momento di svolta nel concerto del Teatro Manzoni). Hanno fatto seguito una canzone di Modugno, una citazione degli Area, scaturita da un andamento movimentato, e un "The Man I Love" delicato nello svolgimento della mano destra, ma accompagnato da accordi marcati della sinistra, salvo intrecciare e deformare i ruoli delle due mani nel finale. E ancora, un arabescato e fantasioso Duke Ellington, una comica parentesi parlata, con la mano destra bloccata a ripetere una scala tratta da un successo dei King Crimson degli anni Ottanta, un immancabile, scatenato "Maple Leaf Rag".

Fino ad arrivare ai bis generosi. Ormai collaudata la prassi di chiedere al pubblico dieci titoli da interpretare; altrettanto ricorrenti i titoli suggeriti dagli spettatori (e scelti dal pianista): "Tiko tiko," il "Pinocchio" televisivo di Fiorenzo Carpi, "Copacabana," "Rapsodia in blu," "Estate,"... perfino "The Köln Concert". All'interno di questo gustoso collage è stata come sempre magistrale l'abilità nel passaggio fra armonie e melodie diverse. È apparso inoltre molto sottile il confine fra parodia e interpretazione: se i riferimenti a Paolo Conte e Fred Buongusto, ormai cavalli di battaglia attesi dal pubblico, sono risultati decisamente parodistici, quella di "Faceva il palo" di Enzo Jannacci si può forse considerare un'interpretazione personale, sbracata e scanzonata ma rispettosa dello spirito originario della canzone.

Altri due bis e un pubblico in visibilio hanno siglato due ore di concerto. Un déjà vu insomma, ma di qualità. D'altra parte ogni artista di razza non può fare a meno di ripetersi, ribadendo il proprio mondo espressivo, poetico e stilistico.

Foto, di repertorio, di Claudio Casanova.

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