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Spyro Gyra al Roma Jazz Festival 2022

Spyro Gyra al Roma Jazz Festival 2022

Courtesy Musacchio, Ianniello, Pasqualini, Fucilla

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Spyro Gyra
Roma Jazz Festival 2022
Auditorium
Roma
12.11.2022

Pochi gruppi, e non solo in ambito jazzistico, possono vantare una carriera altrettanto lunga di quella degli Spyro Gyra, che si avvicinano ai cinquant'anni di attività, iniziata nel 1974 con la fondazione della band da parte del sassofonista Jay Beckenstein e del tastierista Jeremy Wall.

Nel 1977 veniva pubblicato il primo album autoprodotto, che ottenne un immediato successo sull'onda crescente dell'allora nascente fenomeno fusion, di cui sono stati tra gli interpreti più celebrati dal pubblico (un po' meno dalla critica, che all'epoca non perdonava certe derive commerciali), e procurando al gruppo un vero contratto discografico grazie a una formula rivelatasi subito vincente, mescolando abilmente Rhythm & Blues con melodie semplici, ritmi accattivanti e sapori jazzistici. L'enorme successo commerciale ha procurato alla band una vasta base di fedeli supporters che hanno consentito a Beckenstein e compagni di rimanere in attività per tutto questo tempo.

A Roma si sono presentati nella formazione stabilizzata da tempo: accanto al sassofonista, che tiene saldamente in pugno le redini del gruppo sin dalla sua fondazione, troviamo il tastierista Tom Schuman, anch'egli presente fin dagli inizi, il chitarrista Julio Fernandez col gruppo dal 1985, il bassista Scott Ambush presente dal 1992 e l'ultimo arrivato, il batterista Lionel Cordew, unitosi nel 2015. La musica ci riporta subito ai tempi d'oro della fusion, riproponendo il consueto mix su cui la band ha costruito il proprio successo, con brani come "Shaker Song" (che apriva il primo album), "Morning Dance," "Catching the Sun" e "I Believe in You." Qua e là affiorano tracce di jazz (soprattutto negli assoli pianistici di Schuman), rock (negli assoli di Fernandez) e funk (col basso di Ambush) posti al servizio delle melodie affidate prevalentemente ai sassofoni (alto e soprano) di Beckenstein.

Un'ora e mezzo di musica dichiaratamente di puro intrattenimento, eseguita con indubbia professionalità e non priva di un certo gusto, ma senza una vera e propria personalità e troppo fossilizzata in se stessa, senza possibilità di una evoluzione d'altra parte non voluta né cercata. Entro questi limiti è stato un concerto tutto sommato piacevole, ma chi cerca dal jazz (e dalla musica in generale) un maggior coinvolgimento emotivo, più profondo e meno superficiale, farebbe meglio a cercare altrove.

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