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Simone Zanchini

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Sono ancora in molti ad associare, più o meno inconsciamente, il suono della fisarmonica con musiche popolari, magari in ambientazioni da balera e orchestre di liscio, oppure da bistro parigini intrisi di Musette. Forse dimenticano che la fisarmonica si studia anche nei conservatori italiani e che all'esame di diploma si porta l'Arte della fuga di Bach.

Ancora più improbabile e inverosimile sarebbe sembrata fino a un paio di decenni fa l'idea della fisarmonica come strumento nel jazz, e addirittura inconcepibile il pensare che questo strumento legato a doppio filo alla musica da ballo popolare avesse avuto un ben che minimo ruolo nel bebop degli anni d'oro.

Eppure qualche isolato fisarmonicista, misconosciuto ai più, ebbe il coraggio di gettarsi col proprio strumento nel crogiolo ribollente di idee e creatività che fu la scena bebop degli anni '40 e primi '50 e nel modern jazz degli anni successivi.

Due nomi in particolare sono passati alla storia, seppur come jazzisti "minori" - per aver reinventato la fisarmonica come strumento jazz e per aver gettato le basi del suo vocabolario espressivo e stilistico in questo campo. Vocabolario che, anche per le caratteristiche timbriche dello strumento, venne mutuato soprattutto dagli strumenti a fiato (e in particolare dal loro re incontrastato: il sax.

Questi due nomi sono quelli di Frank Marocco e Art Van Damme, forse non a caso - considerato il loro strumento - entrambi di origine europea.

Ed è ascoltando le cassette con le registrazioni di questi due musicisti che Simone Zanchini, uno dei migliori interpreti attuali dello strumento su scala internazionale, durante gli anni dell'adolescenza si è costruito un modello a cui ispirarsi per poter diventare quello che fino a non molto tempo fa sembrava una contraddizione in termini: un fisarmonicista jazz.

Nel suo percorso e nella sua formazione musicale, Zanchini ha attraversato tutte le esperienze e i ruoli tipici e atipici di questo strumento. Diplomato con lode in fisarmonica classica al Conservatorio di Pesaro, a partire dall'adolescenza si è fatto le ossa per anni nelle orchestre di liscio.

Dopo aver studiato armonia e improvvisazione jazz ha avviato la propria carriera di solista suonando con numerosi gruppi e musicisti, e fondando ben presto un trio stabile col sassofonista Emiliano Rodriguez e il contrabbassista Roberto Bartoli, trio che poi si è allargato a quartetto con l'arrivo di Ettore Fioravanti alla batteria. Con questa formazione - dal nome Terre di mezzo - ha collaborato con Gianluigi Trovesi, e la serie di collaborazioni importanti si è allungata comprendendo fra gli altri, Paolo Fresu, Bruno Tommaso, Enzo Favata e Antonello Salis.

Da quest'ultimo in particolare Zanchini ha tratto il gusto per le turbolenze e le intemperanze espressive, la provocazione, lo sberleffo e la tensione permanentemente alta nell'improvvisazione.

Attraverso Salis è avvenuto l'incontro con Han Bennink e da qui la collaborazione con musicisti internazionali, già attiva da anni, ha fatto un salto di livello e si è progressivamente intensificata.

Parallelamente, dal 1999 Zanchini fa parte dell'Ensemble Strumentale Scaligero che riunisce i solisti dell'orchestra del teatro La Scala di Milano, ed è un interprete fra i più sensibili ed espressivi del repertorio di Astor Piazzolla, sebbene non ami molto il cliché - affermatosi da un po' di tempo - del fisarmonicista dedito a riprodurre indefinitamente il repertorio e lo stile del maestro del tango.

Negli ultimi anni ha iniziato a sperimentare le sonorità elettroniche, in particolare nei propri progetti solistici, con l'uso di effetti e di una fisarmonica MIDI, per lacerare e oltrepassare l'orizzonte sonoro tipico della fisarmonica e l'immaginario timbrico in cui tende a rimanere imprigionata.

Da tutte queste esperienze e influenze Zanchini ha ricavato uno stile maturo, ricco e multiforme benché assolutamente riconoscibile e personale, una capacità di giocare con registri diversi e anche lontani fra loro, e di passare dall'uno all'altro con estrema naturalezza, padronanza e autenticità. Questo, insieme al suo strabiliante virtuosismo strumentale, fa di lui uno dei migliori fisarmonicisti attuali su scala mondiale.

E il cerchio iniziato con l'ascolto e l'ammirazione della musica di Art Van Damme e Frank Marocco si è chiuso pochi anni fa con la realizzazione di un disco in duo con Marocco - Be Bop Buffet - prima, e con un omaggio a Van Damme - Fuga per Art - poi.

Fra i suoi vari progetti attuali, uno che ha acquistato una particolare rilevanza è il quartetto che Zanchini guida insieme al chitarrista Ratko Zjaca, nato durante il periodo trascorso in Olanda, dove il chitarrista croato vive da anni. Del quartetto fa parte anche un'icona del jazz statunitense, il batterista Adam Nussbaum, insieme al contrabbassista Martin Gjakonovski, macedone residente in Germania, attivo da dieci anni anche nel trio del pianista Antonio Faraò.

Il quartetto ha pubblicato da alcuni mesi un CD d'esordio, The Way We Talk, per l'etichetta tedesca In and Out Records, ed è attualmente impegnato in una serie di concerti in giro per l'Europa.

Abbiamo fatto una chiacchierata con Zanchini lo scorso dicembre per approfondire la sua attuale visione musicale, il bilancio delle sue esperienze trascorse e presenti e le prospettive future del suo percorso musicale.

All About Jazz: Il quartetto di cui sei co-leader con Ratko Zjaca è la prima formazione internazionale di cui sei anche leader, a parte il duo con Frank Marocco. Com'è per te questa esperienza? C'è qualche differenza a lavorare in modo stabile con musicisti stranieri rispetto a quelli italiani?

Simone Zanchini: Be,' in realtà non è un'esperienza completamente nuova per me, perché è dal 1999 che mi trovo spesso a lavorare con musicisti stranieri. Anzi, devo dire che negli ultimi anni si è notevolmente incrementato questo tipo di collaborazioni: pur essendo un musicista italiano, lavoro più all'estero che in Italia. Questo quartetto, rispetto alle altre collaborazioni già esistenti, ha la caratteristica di essere veramente eterogeneo, perché ognuno viene da un paese diverso. Senza dubbio è una cosa che arricchisce: arricchisce innanzitutto la musica, e poi anche dal lato umano. In questo quartetto ci sono un croato trapiantato in Olanda [Ratko Zjaca, N.d.R.], un macedone trapiantato in Germania da più di vent'anni, quindi ormai è un macedone tedesco [Martin Gjakonovski, N.d.R.], un americano newyorchese [Adam Nussbaum, N.d.R.] e un italiano... Insomma, una bella mistura! Questo senza dubbio ha portato ricchezza; Martin Gjakonovski e Adam Nussbaum hanno dato dei suggerimenti preziosi, anche se fondamentalmente il quartetto è mio e di Ratko e i pezzi sono tutti nostri. Ma anche già un croato-olandese e un italiano sono una bella miscellanea... Inoltre lo stile compositivo mio e di Ratko sono molto diversi, ma sono accomunati da una linea diciamo "mediterranea," nel senso di "non nordica," visto che Italia e Croazia alla fin fine sono divise solo da un mare che è praticamente un lago; quindi in qualche modo c'è una linea comune, soprattutto una sensibilità melodica in ambito compositivo, che ci unisce; anche se Ratko è un musicista molto diverso e per certe cose anche lontano da me. Questa linea comune, a detta anche di altri, è un po' il punto di forza del nostro disco, unito poi a tante contaminazioni che provengono da tutti questi paesi. In tutto questo, il jazz resta fondamentale: il drumming di Nussbaum, un batterista leggendario, è inconfondibile. Forse l'ingrediente vincente della nostra ricetta è questa creatività moderna e con un occhio rivolto al Mediterraneo, sostenuta da una ritmica assolutamente jazz.

AAJ: Be,' nel CD ci sono alcuni pezzi, come ad esempio "Out Of Body," dove si sentono gli echi dei quartetti di Wes Montgomery e Jimmy Smith e del soul-jazz degli anni '60... Il vostro suono sembra prettamente jazz.

S.Z.: Sì, lo è. Ma ci tengo sempre a precisarlo, perché purtroppo non tutti gli ascoltatori e gli addetti ai lavori hanno le orecchie per ascoltare al di là della superficie. Purtroppo quando c'è una fisarmonica, anche se suonata in modo moderno, contemporaneo, avanguardistico e tutto quello che vuoi, solo perché c'è il suono di questo strumento la tua musica viene immediatamente etichettata come un qualcosa che ha a che fare col folklore o col popolare. E' incredibile come il suono di questo strumento basti per far scattare automaticamente nella testa delle persone il riferimento a un certo contesto musicale.

AAJ: Dunque la fisarmonica nel jazz è ancora vista come un elemento alieno?

S.Z.: Purtroppo per certi versi è ancora così. Fortunatamente negli ultimi anni le cose sono molto migliorate, sono stati fatti molti passi avanti, la gente si è un po' più abituata. Però in certi paesi - e uno di questi è l'Italia - e in certi ambienti culturali è ancora vista così. Purtroppo ci sono ancora dei discografici che, se gli mandi un lavoro dove c'è la fisarmonica, per partito preso ti dicono: "Ma no, a noi la fisarmonica nel jazz non piace". Però ci tengo anche a sottolineare che grazie allo sforzo di diverse persone - e senza falsa modestia fra questi mi ci metto anch'io - in questi dieci anni le cose sono cambiate molto.

Vorrei però ricordare che viviamo in un Paese dove, con la riforma del Conservatorio che sta per passare in Parlamento ed entrerà in vigore forse già da quest'anno, gli unici due strumenti che sono stati esclusi dall'insegnamento jazz sono la fisarmonica e il flauto. Con la riforma, un ragazzo che entra al Conservatorio potrà scegliere fra un percorso di studio classico o jazz, direttamente sullo strumento: quindi per esempio potrà scegliere fra pianoforte classico o jazz, saxofono classico o jazz, ecc. E' stata inserita la cattedra jazz per tutti gli strumenti tranne la fisarmonica e il flauto. Ne abbiamo parlato insieme a Bruno Tommaso, che è direttore di dipartimento al Conservatorio di Pesaro, dove io per ora insegno alla cattedra di jazz ma dopo la riforma non potrò più; siccome il flauto e la fisarmonica sono gli unici due strumenti che sono stati esclusi, e siccome iniziano tutti e due con la f, secondo noi l'unica spiegazione logica è che l'impiegato del ministero che stava facendo la lista quando è arrivato alla f ha ricevuto una telefonata e l'ha saltata!... Noi cercheremo in ogni modo di far riesaminare questa decisione, ma sembra ormai definitiva; anche perché per cambiare dovrebbe ripassare la legge alla Camera, poi al Senato... Con tutto quello che sta succedendo nel nostro Paese, credo che i problemi di una fisarmonica e di un flauto siano l'ultima preoccupazione... Fatto sta che se passa questa cosa, avremo una normativa che durerà decenni e che taglia fuori il nostro strumento.

Comunque, per tornare ai miglioramenti di cui dicevamo prima, è stata proprio la In and Out - una delle più importanti etichette jazz tedesche - che quando ha sentito questa miscela fra la mia fisarmonica e la chitarra di Ratko (che è assolutamente jazz, perché Ratko è proprio uno scofieldiano), se ne è innamorata; sono stati proprio loro a chiamarci e a dire che volevano fare un disco come questo. Il che vuol dire che ci sono anche persone che di fronte a una proposta originale drizzano le orecchie, indipendentemente dal fatto che si tratti di una tromba, di un fagotto, di un oboe o di una fisarmonica. Soprattutto in nord Europa devo dire che la situazione è migliore che da noi. Mi dispiace dirlo perché io amo il mio Paese, ma non si può negare che il nord Europa su certe cose ha meno schemi, meno gabbie, meno steccati, meno vincoli mentali; badano più alla sostanza e all'oggi. Io ho vissuto più di un anno ad Amsterdam e ho avuto modo di vedere dall'interno cosa significa vivere in un Paese nord-europeo, culturalmente molto più aperto di un Paese mediterraneo come l'Italia o la Spagna.

AAJ: Cosa pensi che ti sia rimasto di quell'anno vissuto in Olanda, sia nella tua visione musicale sia per le opportunità che ha reso possibili?

S.Z.: Be' intanto, proprio per rimanere sull'attuale, proprio la collaborazione con Ratko è nata in Olanda. Ci conoscevamo già, perché da anni abbiamo un workshop jazz in Slovenia; però ovviamente il fatto che io vivevo stabilmente in Olanda ci ha dato la possibilità di collaborare molto più assiduamente: io ero ad Amsterdam e lui a Rotterdam, che è a mezz'ora di treno, quindi potevamo vederci spesso e suonare nei club. Ovviamente ho avuto l'opportunità di fare altre collaborazioni. Sul piano culturale, questa esperienza mi ha ulteriormente aperto la testa. Vorrei però anche dire che l'Olanda è un Paese che presenta anche difficoltà: io ho faticato a viverci un anno, perché non c'è solo la musica, c'è anche la vita, e col clima e l'atteggiamento sociale che si respirano lì non mi sono trovato molto bene.

Una cosa che lì fortunatamente manca è la mentalità "gerarchica" un po' provincialotta tipica dei musicisti italiani, che quando raggiungono un certo livello e conquistano certi ambienti, poi non si abbassano più ad altri. Io per esempio in Olanda ho cominciato ad andare alle jam session, cosa che prima non facevo, perché anch'io in Italia ero parte di questa mentalità, ero restio ad andare alle jam session perché dicevo che il mio strumento non si sentiva bene, insomma facevo un po' lo schizzinoso. Poi quando sono arrivato in Olanda, ovviamente non è che avessi la possibilità di suonare subito, quindi l'unica occasione di suonare era fare delle jam. Allora andavo alle jam e mi capitava di trovare magari Han Bennink o Michael Moore o altri musicisti di questo calibro, che magari quel giorno erano a casa, non sapevano cosa fare e allora andavano alla jam. E alla jam trovi di tutto: il livello generale è alto, ma comunque ci trovi anche il ragazzino che sta studiando. Prova a immaginare da noi una cosa così, che il musicista affermato va a farsi la jam col ragazzino di turno... Non esiste!

Questa è una cosa molto bella del nord Europa: più sostanza. La musica è innanzitutto divertimento, creatività. Prima viene quello; poi c'è anche tutto il resto, e quindi anche la posizione che hai raggiunto, il rispetto che meriti, tutto quello che vuoi. E anche questo penso che sia un motivo che mi porta a suonare spesso all'estero.

AAJ: Col quartetto state continuando i concerti? Avete dei progetti dopo il tour?

S.Z.: In realtà, non dico che dobbiamo ancora cominciare ma... c'è ancora parecchia carne al fuoco. Abbiamo fatto un paio di piccoli tour in Olanda e in Germania; per il 2011 sono in cantiere due o tre tour importanti: un piccolo assaggio a fine marzo, con un paio di concerti in Croazia e uno in Germania, e poi in estate suoneremo in giro per l'Europa. La distribuzione In and Out è molto capillare, il disco sta andando bene; anche in Italia: devo spezzare una lancia a favore della distribuzione italiana, che è dell'Egea e devo dire che stanno facendo un buon lavoro e se ne stanno prendendo cura con molta attenzione. Speriamo che questo porti anche a concerti in Italia; per ora il quartetto sta lavorando prevalentemente in Olanda, Germania, e qualcosa in Croazia grazie ai contatti di Ratko e devo dire anche miei perché io lavoro in Croazia e Slovenia da più di dieci anni e forse ormai sono conosciuto più lì che in Italia, anche per le piccole dimensioni di quei Paesi. Confidiamo comunque di fare delle date italiane nel 2011.

AAJ: Sei riconosciuto come uno dei migliori fisarmonicisti a livello internazionale oltre che jazzista di prim'ordine; hai sviluppato un tuo stile personale pienamente maturo e riconoscibile. A questo punto verso quali direzioni vorresti proseguire il tuo percorso musicale?

S.Z.: Mah, in generale - e non è che me ne vanti - sono abbastanza indisciplinato, è raro che mi metta a studiare apposta sullo strumento per cercare qualcosa di nuovo; sono sempre cose che mi arrivano un po' addosso. Certo, mi arrivano anche attraverso le esperienze; devo dire che questi dieci anni di esperienze internazionali mi hanno dato tantissimo. Se devo pensare a me proiettato nel futuro, dal punto di vista stilistico e strumentale, m'immagino sempre di più in quella zona di confine tra jazz e musica contemporanea, intesa soprattutto come musica scritta, legata quindi alla tradizione della musica colta, perché alla fine il mio background classico è presente nel mio modo di suonare. Un obiettivo a lungo termine quindi potrebbe essere questo. Già lo sto un po' facendo, ma mi piacerebbe approfondirlo ulteriormente. Però sai, a volte siamo noi a decidere facendo progetti in una direzione piuttosto che un'altra, ma altre volte è la vita che fa i suoi giri e ci porta dove noi non pensavamo. Io non avrei mai pensato in vita mia di fare un disco con Adam Nussbaum, che è un batterista straordinario ma mainstream; che poi si è invece rivelato una persona curiosa, che ha voglia di sperimentare nonostante anche la sua età avanzata, e questo ha portato ricchezza. Per farti un esempio di quello che voglio dire, ho incontrato per la prima volta Gabriele Mirabassi alcuni anni fa in un locale di Bologna, e lui mi fa: "Ah Zanchini, finalmente t'incontro! Sei uno dei miei fisarmonicisti preferiti!" Al che io gli dico: "Eh no! Scusa eh, hai fatto i dischi con tutti i fisarmonicisti della terra, sono l'unico che non hai chiamato, non mi puoi dire che sono il tuo fisarmonicista preferito!" Poi parlandone mi spiegò seriamente cosa intendeva dire. Per un musicista come lui, bravissimo, ma con uno stile che dà grande importanza alla purezza del suono, al camerismo ecc., dire che apprezza uno come me, che sono tutto dall'altra parte, sembra strano; e invece è venuto fuori che lui fa quello perché la vita l'ha portato in quella direzione, ma evidentemente dentro di lui c'è anche il desiderio di urlare verso direzioni diverse.

Comunque, per tornare alla tua domanda, diciamo che quello che m'interessa è cercare - se mi sarà possibile, mi rendo conto che è un obiettivo ambizioso -, di tracciare sempre di più una strada di modernità per la fisarmonica, attraverso questa bivalenza fra il jazz e la musica contemporanea. Un po' lo sto già facendo, però, nel tempo, vorrei riuscire a portarla sempre più in quella direzione. Il mio sogno sarebbe far avanzare la fisarmonica su questa strada fino al punto di non dover più sentir pronunciare la parola "folkloristico" solo perché c'è il suono della fisarmonica, anche quando è suonata in maniera diversa.

AAJ: A proposito di musica scritta, parlando della tua musica e del tuo stile, come normalmente succede coi jazzisti, di solito si parla d'improvvisazione. Ma mi piacerebbe sapere anche come affronti tu la composizione. Hai dei metodi precisi? E' più un lavoro metodico, di studio, o intuitivo e istintivo?

S.Z.: Tutte e due le cose. L'input iniziale è sempre istintivo: mi parte un'idea, a me piace dire "un ronzio" nella testa, e se c'è un pianoforte a tiro, mi ci butto e cerco di codificare questo ronzio. Io compongo solo al piano, non uso la fisarmonica...

AAJ: Ah, perché?

S.Z.: Guarda, non lo so, è una cosa istintiva, è stato sempre così. Forse inizialmente per comodità. O forse perché mi piace distaccarmi dal mio strumento. Uno dei complimenti più belli che mi hanno fatto è stato dire che io sono un musicista che suona la fisarmonica. Questa è una cosa che mi piace molto e cerco di starci attento, nel senso che lo strumento, per quanto suonato in maniera alternativa, comunque ha delle sue caratteristiche e ti porta in certe direzioni. Ecco, il piano è un buon vincolo, per me che non sono neanche un pianista: lo suono, ci metto bene le mani sopra, l'ho studiato, ma non mi sento assolutamente un pianista; è un buon vincolo che mi tiene distaccato dalla strumentalità e più legato alla musica. E' un po' come se scrivessi senza lo strumento, a tavolino, come fanno i compositori classici; però a tavolino completamente non ne sono capace, ho bisogno di mettere le mani su uno strumento che mi dia dei riferimenti, allora il pianoforte è un buon canale in questo senso.

Quindi la composizione parte così istintivamente; poi dopo diventa qualcosa di più ricercato, soprattutto negli ultimi anni, certo non tanto quando ho scritto "Valzer storto" [uno dei primissimi brani di Zanchini per fisarmonica, N.d.R.] nel 1987. Tra l'altro ho scoperto che ultimamente è un pezzo suonatissimo tra i fisarmonicisti di un certo tipo, quelli che cercano una strada che non sia per forza il tango... Da quegli anni lì sono cambiate un po' di cose: adesso c'è anche una componente un po' più intellettuale nel mio modo di comporre, che ha bisogno di più cerebralità, di ragionamento, soprattutto quando i pezzi iniziano a diventare complessi; e non è il caso di quelli di The Way We Talk, che non sono pezzi semplici, ma neanche le cose più complicate che scrivo. Quando compongo cose più contemporanee a maggior ragione ho bisogno di usare anche il cervello; l'istintività da sola non basta più perché devi fare dei calcoli di funzionamento della struttura del brano, che sono necessari quando la musica diventa più complicata.

AAJ: In The Way We Talk ti sei portato dietro qualcosa delle esplorazioni elettroniche che hai fatto in altri progetti, con un uso (sebbene più leggero) di effetti applicati alla fisarmonica. Questa della sperimentazione timbrica ed elettronica è ancora una strada che vuoi approfondire, e se sì, cosa ti piacerebbe fare?

S.Z.: Sì, dal punto di vista sonoro l'elettronica è quello che mi stimola di più, usata però sempre sul mio strumento, e spero che si senta su questo disco, dove il suono della fisarmonica spesso è un po' trasformato dall'uso di effettistica. In realtà per gran parte del disco ho usato il suono naturale, acustico della fisarmonica, però non capita quasi mai di sentire una fisarmonica che su quattro o cinque tracce di un CD è trasformata; la fisarmonica è sempre usata solo al naturale per dare il colore dello strumento, che è così tanto caratterizzato che i compositori lo vogliono e gli basta così. Invece io faccio il lavoro opposto: proprio perché il suono della fisarmonica è così caratterizzato, per snaturare questa sua caratteristica cerco di usare delle macchine che lo trasformano, non però fino al punto che non si capisca più che è un suono di fisarmonica. Questa strada la continuo, anche se ho lasciato da parte l'ostentazione dei primi anni con l'uso di macchine completamente elettroniche, computer ecc. Adesso sono rivolto a un'elettronica più leggera e plasmata sul suono del mio strumento.

AAJ: Oltre al quartetto con Zjaca ci sono altri progetti che t'impegnano in questo momento? Hai altri progetti discografici in cantiere?

S.Z.: Sì, adesso a gennaio esce Progetti 2, che è il seguito di un mio vecchio disco. Uscirà per una piccola etichetta romana, non avrà la portata internazionale di The Way We Talk, però ci tengo perché raccoglie tutti i progetti di questi ultimi dieci anni; sono passati otto anni da Progetti 1 e avevo voglia di fare un secondo volume perché in questo ci saranno progetti del tutto diversi e volevo documentare l'evoluzione che c'è stata.

Poi, appena avrò tempo da dedicarci (ma più che altro tempo ed energie interiori) mi piacerebbe registrare Elettrotico, [progetto nato come trio con Andrea Alessi al basso e Mirko Sabatini alla batteria, N.d.R.], che è diventato un quintetto con Giovanni Falzone alla tromba e Mauro Ottolini ai tromboni. In quel gruppo uso solo una fisarmonica MIDI, quindi dal suono particolare, anche compositivamente parlando. Si discosta molto dal jazz: al di là delle improvvisazioni collettive free, compositivamente ha più a che fare con l'hip-hop o con un certo rock. E' difficile per un fisarmonicista che ha fatto studi classici e che appartiene al mondo jazz trovare un discografico disposto a pubblicargli un progetto così; è un disco pretenzioso, anche dal punto di vista del mercato, ma è un disco che mi piacerebbe pubblicare, spero entro il 2011.

Poi c'è tanta carne al fuoco che però ancora non vede risvolti discografici imminenti. C'è un progetto molto bello con Emilio Galante dedicato alla musica del Brasile contemporaneo, c'è un progetto dedicato a Django Reinhardt, che forse registreremo nel 2011. Poi la In and Out parla già di un secondo disco del quartetto, che vuole essere un gruppo consolidato, e per esserlo bisogna avere più di un disco all'attivo.

Foto di Schindelbeck (la terza), Davide Susa (la quarta) e Dragan Tasic (la quinta e l'ultima).

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