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Satoko Fujii Quartet
E’ stata l’unica data italiana all’interno del tour europeo di questa formazione giapponese che, a partire dalla sua costituzione nel 2001, ha ricevuto unanimi apprezzamenti da parte della critica e del pubblico internazionali. Ed è stata ospitata dall’Area Sismica, il club decentrato nel bel mezzo della provincia romagnola che da vari anni propone una programmazione concertistica di grande qualità: sul suo piccolo palco sono infatti passati alcuni dei maggiori nomi dell’avanguardia jazz e rock internazionale, e delle musiche di confine in genere.
Alla guida di questo quartetto è Satoko Fujii, una pianista che nel corso degli ultimi dieci anni ha ripetutamente mostrato di saper coniugare con invidiabile coerenza - in questa e altre sue formazioni - grandissime capacità compositive e improvvisative, ricorso a strutture articolate e ampia libertà d’invenzione collettiva, lirismo e angolosità, sensibilità cameristica ed apertura alle intemperanze e alla potenza sonora dell’avanguardia post-moderna al confine fra jazz e rock e fra Tokyo e downtown New York.
Il concerto è stato un’ulteriore conferma delle doti musicali della Fujii e dei suoi compagni. Attingendo al repertorio dei CD fin qui prodotti, il quartetto ha offerto al pubblico quasi un’ora e mezza di musica che si è mossa su un’ampia gamma stilistica ed espressiva: melodie estremamente limpide e raffinate, momenti di rarefazione impressionista, temi obliqui e inquieti, digressioni solitarie, dirompenti assalti sonori di sapore “rock” vicini all’improvvisazione collettiva in cui, anche quando uno dei quattro fungeva da solista dominante, il resto del gruppo forniva un background roccioso e incandescente, rinforzandosi e amplificandosi a vicenda l’uno con gli altri. A fare da trait d’union in tutto ciò, una capacità quasi stupefacente di mantenere un alto livello di tensione emotiva e di mutare il registro espressivo in modo molto fluido, dando un’impressione di grande naturalezza e continuità e senza forzature. Temi eterei che sfociano improvvisamente nel silenzio da cui sgorga un’escursione solitaria di uno dei musicisti, oppure che si frantumano e si scompongono in un magma improvvisativo; riempimenti e svuotamenti sonori; tensione e rilascio; dolcezza e furore. Tutto avviene con equilibrio e con gusto, anche quando si giunge al sovraccarico sonoro, senza artificiosità e con un forte senso di unitarietà del tutto.
Il musicista che nel corso della serata più si è distinto per intensità d’ispirazione e qualità del solismo è forse il trombettista Natsuki Tamura, marito della Fujii e suo partner abituale anche in musica. In alcuni momenti nella sua tromba si potevano rinvenire echi del Miles Davis più etereo e sospeso, in altri i fraseggi squillanti di Kenny Wheeler, a volte morbidi, altre invece con un sapore più acido. Del resto la sua tromba è stata accostata a quella un po’ di tutti i grandi maestri dello strumento. Ciò che comunque ha colpito di più è stata la sua capacità di mantenere una forte musicalità e - direi quasi - una grazia “sotterranea”, anche nei passaggi più spigolosi e dichiaratamente “free”, dove la tromba si arrampicava all’inseguimento delle note più acute. Al servizio di tutto ciò, una tecnica solidissima.
La Fujii ha scelto di non emergere dal sound complessivo creato dal gruppo, ritagliando per sé solo un intervento solista non accompagnato - peraltro splendido -, verso la fine del concerto, e preferendo piuttosto dare il suo poderoso contributo ai magmatici passaggi d’improvvisazione collettiva; ma è chiaro che la sua figura rappresenta il baricentro del gruppo. Non solo perché è lei la compositrice dei brani, e perché il pianoforte fornisce il tessuto connettivo armonico su cui poggia la musica; ma anche perché è lei che dirige il flusso sonoro e l’alternanza dei diversi momenti e dei cambi di registro all’interno delle articolate composizioni, assicurandone la fluidità di cui si è detto. Il suo stile pianistico, oltre ad essere assistito da una grande tecnica, è caratterizzato da un profondo spessore emotivo, e può spaziare da fraseggi tenui e lirici, a potenti ed aggressivi cluster, con una predilezione per un loro improvviso accostamento durante le improvvisazioni, creando effetti di lacerazione e di forte drammaticità.
La purezza sonora della Fujii è stata forse leggermente penalizzata da un problema di amplificazione, dovuto al fatto che nel mixaggio del suono si è dovuto tenere molto alto il livello del pianoforte, che in questo modo ha assunto una timbrica un po’ metallica. Tutto ciò per la necessità di sovrastare la batteria di Tatsuya Yoshida (noto per far parte del duo di avant-free-punk dei Ruins) che, pur non amplificata, tendeva a dominare la scena sonora. Questo dettaglio potrebbe anche segnalare un possibile problema nell’equilibrio del suono del gruppo nella dimensione live, ma è stato sicuramente causato ed enfatizzato soprattutto dalle piccole dimensioni della sala. Ma è comunque già un ottimo indizio (per chi non lo conoscesse) dello stile e della personalità musicale del batterista: un’incontenibile macchina ritmica all’insegna della potenza e delle forti dinamiche; una centrifuga che macina senza sosta brandelli di ritmi funky, rock, hardcore; un connubio fra intricati pattern di retaggio progressive e un impatto fisico e aggressivo in stile punk; erraticità coniugata a grande precisione; matematica e istinto. Forse l’unico termine che non fa parte del suo vocabolario espressivo è “swing”, e questo ha ovviamente un’influenza anche sul sound complessivo del gruppo, che talora potrebbe essere definito quasi una sorta di avant-rock acustico, o di rock suonato con la strumentazione jazz.
Del tutto acustico, in realtà, il suono non lo è, grazie all’apporto di Takehura Hayakawa al basso elettrico. Anch’egli un ottimo solista, anche se forse il meno incisivo dei quattro per intensità emotiva dello stile. Il suo fraseggio è ricco soprattutto di accenti blues e funky, oltre ad avventurarsi volentieri nei territori dell’informalità e della libera improvvisazione, ma con inflessioni più spesso rock che jazz.
Alla coppia Hayakawa - Yoshida è stata concessa anche una fuga improvvisativa in tandem, una cavalcata con tanto di basso distorto e batteria ipercinetica a scolpire un ritmo frenetico e permanentemente instabile. Una sorta di fugace materializzazione dei Ruins nel bel mezzo del concerto del quartetto, che poteva richiamare alla mente anche alcune digressioni di basso-batteria degli ultimi album dei Painkiller, ma sicuramente con un’efficacia ben maggiore.
In definitiva, il gruppo e la sua leader hanno dato prova di essere in piena forma creativa e di possedere una felice ispirazione senza cedimenti. A questo punto attendiamo con fiducia e curiosità gli sviluppi futuri.
Foto di Claudio Casanova [ulteriori foto tratte da questo concerto sono disponibili nella galleria immagini]
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