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Rufus Reid: Live in Vienna

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Rufus Reid

Live in Vienna

MVD Visual

(2006)

Valutazione: 4 stelle

Scrivere su Rufus Reid comporta un preambolo sul personaggio: noto e raffinato contrabbassista, stimatissimo turnista al fianco di figure di primo piano della scena jazzistica americana, in particolar modo Dexter Gordon, Stan Getz, Dizzy Gillespie e Art Farmer, virtuoso strumentista la cui personalità si inserisce nel contesto della tradizione afro-americana bebop, hard bop e post bop e nello specifico della grande scuola contrabbassistica degli Oscar Pettiford, Ray Brown - che, come spiega lo stesso Reid nella breve intervista inclusa, costituisce il vero punto di riferimento stilistico - e Paul Chambers, ma anche didatta e pubblicista di risonanza internazionale, il cui manuale, "The Evolving Bassist" (1974), si è, insieme, guarda caso, al precedente "Bass Method" di Ray Brown (1963), imposto come lo strumento didattico fondamentale per l'approfondimento delle tecniche contrabbassistiche/bassistiche in ambito jazzistico.

Dato questo preambolo ci accorgiamo che Rufus Reid è un musicista dalla spiccata personalità musicologica, il cui virtuosismo strumentale, che si palesa anche in una concezione tecnica assolutamente innovativa, soprattutto nel sapiente utilizzo dell'arco e della crab-technique del M.° Rabbath, di cui è stato allievo - a tal proposito si osservi l'utilizzo del puntale piegato che sorregge lo strumento, caratteristico della scuola del maestro siriano -, non è mai fine a se stesso, ma si insinua in una sagace rielaborazione di caratteristiche stilistiche ormai ben assodate nella tradizione jazzistica afroamericana, anche se Mr. Reid è Mr. Reid, ed il linguaggio bop si amplia nelle sue mani ad una più libera concezione dell'espressività armonica e melodica; il contrabbasso viene ridefinito come voce melodica e solistica, un percorso che ricontestualizza lo strumento in un'accezione semantica rinnovata, anche se in maniera assai diversa dalla modalità a cui pervengono a ciò i contrabbassisti dell'aria free degli anni '60, quali Scott la Faro o Charlie Haden o Mark Johnson, ovvero con una costante e ricercata maggiore attenzione alla forma ed alla struttura.

Questa idea si palesa subito fin dalla prima song, "Come Out and Play", dello stesso Reid, dal tema e dai sapori chiaramente parkeriani, ripetuto da contrabbasso e piano all'unisono, durante l'assolo della quale lo sfogio di competenze tecniche virtuosistiche diventa per il contrabbassista un momento puramente funzionale all'esposizione di una linea melodica che non si allontana mai dalla concretezza della struttura armonica, basata per gran parte su un gioco di accordi discendenti di 1/2 tono.

Bisogna dire che in questo gioco risulta assai efficace la presenza ritmica dell'eclettico batterista John Hollenbeck, batterista oramai di primo piano, e del viennese Fritz Pauer, spiccata personalità solistica cresciuta al fianco dei più grandi jazzisti dell'area be bop. "Ode to Ray" è un brano dedicato al mito-mentore Ray Brown, nel quale, all'introduzione malinconica e triste pronunciata dall'archetto di Reid, segue l'enunciazione del tema e l'improvvisazione da parte di Pauer, con toni evocativi assai pronunciati, ai quali si associano in un gioco di reminiscenze stilistiche, batteria e contrabbasso, l'una mettendo in mostra una perfetta padronanza della ritmica swing, l'altro con quella tendenza a suonare il walkin' "sul battere", caratteristica principale dello stilema ritmico browniano.

Era ovvio poi, che, dopo due brani dai sapori così bop, non poteva mancare un classico del genere, quale "Cherokee", in cui Hollenbeck da particolare sfogo alla sua inventiva con un assolo molto ispirato. "The Peaceful Flame", che segue, invece, è una composizione che fa parte della Suite "Linear Surroundings", scritta da Reid per quintetto più quartetto da camera e qui riproposta in trio.

Chiude la performance un blues assai straniante, "The Meddler", la cui forma classica in 12 battute sorrette da una tradizionale armonizzazione basata sulla sequenza di tonica, sottodominante e dominante è stravolta da una metrica in 7/4 che viene ad essere alterata in 4/4 solo nelle due battute che fanno da ponte al riaffermarsi della tonalità: l'innovazione e l'evoluzione della tradizione.

Live in Vienna, costituisce quindi un documento veramente importante, che ci dà modo di osservare una delle personalità musicali più complete nel panorama jazzistico odierno.

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