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Ritorno all'uomo. Zappa e l'Ensemble Modern, otto anni dopo.
Cominciò tutto nove anni fa, quando l'Ensemble Modern decise di contattare Zappa e chiedergli un progetto per il gruppo. Gli sviluppi furono abbastanza rapidi e nel giro di poco più di un anno e mezzo si arrivò al trionfale debutto di The Yellow Shark a Francoforte, il 17 settembre 1992. Tutto ciò costituisce ordinaria amministrazione per gli archivi della storia della musica. Ma c'è qualcosa di eccezionale e in qualche modo rivoluzionario celato nella storia interna di questo evento, nel suo backstage, qualcosa che è all'origine di questo emozionante sequel, a nove anni di distanza.
Indiscutibilmente l'Ensemble Modern era allora ed è ancor oggi non solo la migliore fra le orchestre che si dedicano alla musica contemporanea, ma anche la più versatile nell'affrontare i più diversi generi musicali. Nel 1991, quasi per affinità elettiva, questa eccezionalità fece rotta verso un'altra eccezione: questo compositore baffuto, nativo di Baltimora e divenuto famoso come rockstar. Ciò che ha reso assolutamente speciale questo incontro non è stato però il solito, inflazionatissimo contaminarsi di musica d'arte e musica rock. L'eccezione - e la fortuna - stanno soprattutto nell'incontro di due mentalità e di due metodi di lavoro rigorosissimi e perfettamente complementari. Il rapporto che di norma si instaura fra un compositore e un'orchestra assomiglia a un matrimonio di interesse. Il rapporto intercorso fra Zappa e l'Ensemble Modern fu invece un matrimonio d'amore.
Da più di trent'anni Zappa scriveva partiture e da quasi altrettanti anni sbatteva il muso contro l'impossibilità di ottenerne un'esecuzione fedele. La storia del ménage di Zappa con l'establishment orchestrale - dalla Los Angeles Philharmonic, alla London Symphony, all'Ensemble Intercontamporain, passando per disavventure ad Amsterdam, Vienna, Varsavia, Syracuse, ecc. - è una storia amarissima. Fra le categorie che Zappa ha detestato maggiormente, forse ancor più dei politicanti corrotti e pedofili, dei trafficanti di droga, degli sbirri nazistoidi, delle teenagers che sognano di essere baciate da un bagnino e dei comitati di mamme contro la pornografia della musica rock, sono proprio loro: gli orchestrali o per meglio dire, quella orchestral stupidity che ne è la quintessenza istituzionale e per la quale Zappa ha coniato un aforisma perentorio: "These European orchestras are a pain in the ass". Non è una questione di persone, di capacità individuali. È una questione di abitudini mentali indotte e di organizzazione del lavoro all'interno di un sistema che non ammette deroghe, in una realtà dove il tempo è denaro. Le orchestre sinfoniche eseguono per lo più musica di repertorio, con tempi di prova ridotti al minimo indispensabile. Nel caso di una nuova partitura, per quanto complessa, essa viene tendenzialmente affrontata in modo analogo, a meno che non ci siano soldi, molti soldi per pagare prove supplementari. Ma poche prove producono esecuzioni inadeguate. Il risultato è quella avvilente mediocrità che imperversa nelle esecuzioni di musica nuova. Una situazione che i compositori, pur di vedere eseguita la propria musica, accettano di buon grado, presentandosi regolarmente, dopo una prima (e spesso ultima) scalcinatissima esecuzione, al consueto rituale fatto di inchini e sorrisi. Zappa si è semplicemente ribellato a questo sistema venale e artisticamente cinico. Ha speso centinaia di migliaia di dollari per pagarsi le orchestre, adoperandosi per ottenere buone esecuzioni e registrazioni. Ma non c'è stato verso:
Da quando è uscito il disco con la LSO, ho rifiutato almeno quindici richieste da parte di gruppi di musica da camera di varie dimensioni da tutto il mondo. Mi offrivano contanti perché io gli scrivessi della musica. Se fossi stato un compositore alle prime armi, sarei rimasto lusingato della cosa; ma non ne ho più il tempo e mi vengono i brividi a pensare che cosa succederebbe alla mia musica se la suonassero senza che io fossi presente alle prove. Queste commissioni, oltre a complicare le cose, ti vengono offerte con il tacito accordo che tu sarai presente alla prima; dove tutti si attendono che tu stia seduto a far finta che si tratti di una gran bella cosa. Qualcosa del genere mi è accaduto quando Boulez ha diretto la prima dal vivo di Dupree's Paradise, The Perfect Stranger e Naval Aviation in Art?. Non erano state provate abbastanza e io ho odiato quella prima: Boulez dovette praticamente trascinarmi sul palco per l'inchino. Durante il concerto ero stato seduto su una sedia di fianco al palco, da dove riuscivo a vedere il sudore dei musicisti colare sulle loro tempie. Il giorno dopo sarebbero entrati allo studio IRCAM per registrare tutto. (Zappa-Occhiogrosso, L'autobiografia, Milano 1990, p.155-56)
Nel 1982 Zappa si era deciso ad aquistare un Synclavier, apparecchiatura informatica estremamente costosa, ma in fin dei conti, come lui stesso ha osservato, non più del reclutare un'orchestra sinfonica recalcitrante e rinchiuderla in uno studio per incidere un album. Per Zappa il Synclavier rappresentava la possibilità di ascoltare finalmente la propria musica suonare così come era stata concepita e scritta, la liberazione dalla burocrazia, dai contrattempi, dalle ottusità e dai boicottaggi di musicanti affogati nella routine e nell'infingardaggine. Il prezzo artistico però era alto. Per quanto sofisticato il Synclavier, versione tecnologica della marionetta di Heinrich von Kleist, non riesce infatti a celare la disumanizzazione che si accompagna alla sua incorporea perfezione. Senza un filo di retorica, l'Ensemble Modern - gruppo nato dalla volontà di sottrarsi ai ricatti della routine orchestrale imposti da un establishment perverso - ha dunque rappresentato per Zappa la terra promessa, il raggiungimento dell'utopia, la liberazione dalla cella dorata del Synclavier e il riscoprire la bontà dell'uomo, abbandonandovisi con ritrovata euforia. A Don Menn e Matt Groening che lo intervistarono nel 1992, Zappa ha parlato chiaro in merito:
DM: Hai citato di Stockhausen i "dogmi infingardi dell'impossibilità"... FZ: Già. Aveva presentato la partitura del quintetto di fiati Zeitmasse ad alcuni musicisti che appena viste tutte quelle divisioni irregolari dichiararono che il pezzo era ineseguibile. Al che lui rispose che essi avevano creato "the lazy dogmas of impossibility" [...]. Beh, ti voglio dire una cosa: questo Ensemble Modern può sonare quella roba a occhi chiusi. (p. 71) DM: Dimmi del prossimo Festival in Germania. Qualcuno, sere fa, descriveva l'Ensemble Modern come la tua nuova band. FZ: Magari! In realtà, una delle cose che essi evitano con più cura è avere troppo a che fare con un singolo compositore, che un autore possa condizionare la loro capacità di avere un repertorio il più vario possibile. Al contrario di altri ensemble che si legano a un compositore di una certa scuola e poi magari se ne pentono. Io credo che il sistema migliore sia il loro: suonano qualsiasi tipo di musica di compositori diversissimi, hanno un vasto repertorio e un'agenda pienissima di tournées. E penso che farebbero un un errore se si legassero troppo a me. (p. 85) (Don Menn-Matt Groening, The Mother of All Interviews in: A Definitive Tribute to Frank Zappa, "Best of Guitar Player," maggio 1994, pp. 56-87).
Musicalmente parlando, quello fra Zappa e l'Ensemble Modern è stato, come già abbiamo osservato, il paradigma dell'amore ideale. Lo sentiamo e lo vediamo nella registrazione e nel video di The Yellow Shark; nell'euforia gioiosa di Anything, Anywhere, Anytime, For No Reason At All, documentario televisivo che segue le prove dello spettacolo e testimonia quella straordinaria sintonia fra Zappa e l'Ensemble da cui scaturisce anche Everything Is Healing Nicely, il cd recentemente pubblicato che accoglie registrazioni inedite del 1991 e 1992. Quando l'intero Ensemble lo raggiunse a Los Angeles, nel luglio del 1991, Zappa si rese conto concretamente di avere a che fare con una realtà e con una mentalità musicale completamente diverse. Pochi mesi prima, la vocazione dell'Ensemble Modern a rendere possibile l'impossibile, aveva dato alla luce la strepitosa versione orchestrale di alcuni degli Studies for Player Piano di Conlon Nancarrow. Era un biglietto da visita più che convincente per guadagnare la fiducia di Zappa. Dopo Nancarrow e la sua pianola esoterica, adesso toccava a lui: le sue partiture e le sue creazioni per Synclavier avevano finalmente la possibilità di diventare musica in carne ed ossa, senza venire storpiate. L'Ensemble Modern rimase a Los Angeles per due intere settimane provando ininterrottamente e l'anno dopo accadde lo stesso: altre due settimane, questa volta a Francoforte. Un mese intero per novanta minuti di musica, altrimenti ineseguibile.
L'incontro con l'Ensemble Modern ha avuto un seguito, uscito postumo, con Civilization Phaze III, un vasto polittico nel quale il Synclavier predomina indubbiamente sull'esecuzione dal vivo. Ebbene, se quelle registrazioni, fotografando il momento in cui l'uomo e la macchina si compenetrano l'un l'altro, avevano un che di enigmatico, questo nuovo concerto sembra costituire una tappa ulteriore e decisiva lungo quel percorso così arduo indicato dal compositore che esige dai propri partner un'affidabilità totale e che, in sede di performance, pretende dall'elemento umano una prestazione non inferiore (e - in quanto tale - infinitamente superiore) a quella della macchina. Il ritorno a Zappa da parte dell'Ensemble Modern si incardina su nuove orchestrazioni curate da Ali Askin ed è costellato di sfide mozzafiato che si chiamano The Black Page, Envelopes, Dupree's Paradise. Nel programma incontriamo alcune autentiche scommesse quali Put a Motor in Yourself, Night School, A Pig With Wings, Xmas Values. Si tratta infatti di brani ascoltati finora solo nella versione bionica di CPIII. Per l'occasione Todd Yvega, collaboratore strettissimo di Zappa, li ha trascritti appositamente dal Synclavier e Ali Askin li ha arrangiati per l'Ensemble.
Dagli anni lontani di Hot Rats (1969) ritroviamo poi Peaches en Regalia, il tema che ha plasmato le orecchie di un'intera generazione di ammiratori di Zappa; dalla saga di 200 Motels (1970) riemerge Dental Hygiene Dilemma; mentre da un album cardine e troppo poco considerato come Studio Tan (1978), ecco due pagine d'eccezione: Revised Music for Low Budget Orchestra e, soprattutto The Adventures of Greggery Peccary, irresistibile pièce di matrice radiofonica nella quale si racconta di questo elegante porcellino, che madre natura ha dotato del suo bravo white collar e al quale dobbiamo l'invenzione del calendario. Da un altro album piuttosto misconosciuto come The Man from Utopia (1983) ecco The Dangerous Kitchen, l'esempio forse più singolare e dirompente dello Sprechgesang zappiano, oppure Moggio, gioiellino poco noto, ad alta concentrazione di energia cinetica. Il programma include infine due brani da The Yellow Shark: il solenne Get-Whitey e, grazie a Dio, Amnerika, una pagina che della produzione di Zappa è capolavoro e perfidia somma al tempo stesso, brano che fu estromesso dal cd dello Squalo giallo in quanto l'autore non era soddisfatto della qualità esecutiva raggiunta e che dal 1984 (dall'album Thing Fish, dove se ne ascoltano i primi abbozzi) rappresenta l'icona dello Zappa poeticamente più lirico e compositivamente più raffinato.
Fatalmente, il meccanismo del confronto scatterà quando l'Ensemble Modern attaccherà quei brani che finora avevamo ascoltato o in versione per rock band oppure eseguiti da altre orchestre. È il caso di Envelopes, inciso da Kent Nagano con la London Symphony Orchestra; oppure di due brani quali Dupree's Paradise e Naval Aviation in Art?, entrambi diretti da Boulez con l'Ensemble Intercontemporain nell'album The Perfect Stranger (1984). Si tratta di registrazioni di cui, com'è noto, Zappa non era soddisfatto. Ciononostante, non è proprio il caso di ravvisare alcun intento "riparatore" in questa serata. L'Ensemble Modern si incarica semplicemente di realizzare al meglio e completare i progetti messi in cantiere da un musicista cui il tempo materiale non è bastato. Uno che pensava al tempo come una dimensione circolare, dunque aperta, senza un inizio e una fine. Grazie alla tecnologia del Synclavier, a questo suo equipaggio di fiducia, nonché alla propria meticolosa instancabilità, è come se Zappa fosse ancora al lavoro. L'archivio è tutt'ora pieno di nastri, di files e di partiture: musica che, con calma, aspetta il suo momento.
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