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Nozze d'argento per Enten Eller
ByEnten Eller ha un'estetica ben precisa, per cui aggiungere delle voci è un esperimento, un work in progress, con la ghiotta possibilità di avere nuovi colori, ma senza smarrire quell'estetica.
Perché mai tutto questo dispiegamento di forze? Semplice: perché nel 2012 Enten Eller compie venticinque anni, a partire dal suo album d'esordio, Streghe, che risale appunto al 1987. Ripercorrere pur per sommi capi la storia di uno dei più longevi gruppi del jazz italiano in compagnia dei succitati Barbiero e Brunod è stato quasi fisiologico. Ecco cosa ci hanno raccontato.
All About Jazz: Partiamo dalla fine, da questo grande concerto diciamo così "celebrativo": come l'avete concepito, come avete selezionato i pezzi, quanto il gran lavoro di Mandarini ha variato il materiale di partenza?
Maurizio Brunod: La prima cosa da dire è che nei nostri viaggi in auto quando si va in giro a suonare l'idea di riunire Enten Eller con un'orchestra aleggiava già da sei/sette anni. Però per tutta una serie di problemi, dal budget in poi, si è sempre posticipato. Quest'anno invece, con caparbietà, Massimo e Alberto hanno deciso di buttarsi a capofitto nell'operazione, perché ci tenevamo a festeggiare i venticinque anni del gruppo. Per quanto riguarda il materiale, si tratta di brani per lo più di Massimo, qualcosa di mio e un paio di cose di Alberto, in particolare il tema d'avvio del concerto, scritto per l'occasione. Qualche titolo? "Per Emanuela," "Porte basse," "Isengard," "Mostar"...
AAJ: Da frequentatore del repertorio di Enten Eller, tuttavia, mi è parso di rilevare che le parti degli archi, più che arrangiamenti, sono spesso delle aggiunte, musica nuova. E' esatto?
Massimo Barbiero: Sì, è vero, anche perché se tu ascolti i nostri primi lavori, noterai come la scrittura sia preponderante, visto che eravamo meno abili a improvvisare. Con gli anni, la scrittura si è via via sempre più ridotta a vantaggio appunto dell'improvvisazione, che come si dice è una sorta di scrittura in tempo reale. L'orchestra quindiriandando ai viaggi in macchina che rievocava Mauriziodoveva fungere un po' da elemento contrapposto a noi, eseguendo quelle partiture che abbiamo sempre immaginato di scrivere ma che di fatto non abbiamo mai scritto, cioè il frutto delle nostre improvvisazioni, del resto cristallizzatesi nel tempo. Non solo un'altra entità in termini di volumi, quindi.
AAJ: Non a caso, sul palco, c'era una sorta di separazione fisica. Personalmente avrei immaginato per esempio l'orchestra a semicerchio attorno al gruppo.
M.Br.: C'era un problema di spazi: l'orchestra doveva stare tutta assieme, per un'esigenza di compattezza.
AAJ: Andiamo ora alla storia, alle origini, al primo album, Streghe, di cui voi due siete gli unici sopravvissuti.
M.Br.: Io avevo diciannove anni.
M.Ba.: In realtà ne avevi diciotto, visto che l'incisione è dell'anno prima, l'86.
M.Br.: E' vero, non avevo neppure ancora la patente!
AAJ: Vogliamo ricordare gli altri partecipanti?
M.Ba.: C'erano Rocco De Lucia al basso elettrico, Ugo Boscain al piano, Loredana Guarneri al violoncello, Mario Simeoni al flauto e Walter Lonardi al sax. Era un settetto.
M.Br.: Io e Massimo amavamo molto i gruppi degli anni Ottanta del primo Tim Berne, con Hank Roberts, in particolare Fulton Street Maul, che dev'essere proprio dell'86.
AAJ: Comunque uno strumentario molto diverso da quanto è venuto dopo. Come vi siete evoluti, in questo senso?
M.Ba.: Abbiamo fatto un po' di date in Friuli, nell'88, già senza Walter Lonardi, e lì abbiamo conosciuto Giovanni Maier, che era presente a uno dei concerti, è venuto a complimentarsi e ci siamo scambiati i numeri di telefono. Poi se n'è andato il bassista, e con l'irresponsabilità tipica di un gruppo con un'età media poco oltre i vent'anni, considerata la distanza, abbiamo telefonato a Maier.
AAJ: Che non suonava ancora con Rava...
M.Ba.: Ha inciso Cassandra e Antigone, con noi, prima di iniziare con Rava. E il motivo per cui nel successivo Medea torna il basso elettrico, è proprio perché Giovanni suonava talmente tanto con Rava da non essere più gestibile.
AAJ: Ma intanto arriva Alberto Mandarini.
M.Ba.: Sì, nel '94, anche se in realtà ci conoscevamo già dai tempi della CMC. Per l'esattezza Alberto faceva parte del quintetto di Enrico Fazio, e una sera dopo un concerto ci siamo riproposti di fare qualcosa insieme.
AAJ: E così, diciott'anni fa, è nato il gruppo che sopravvive tuttora.
M.Ba.: In realtà l'arrivo di Mandarini ha coinciso proprio col momento in cui era tornato il basso elettrico, mentre avevamo rinunciato a pianoforte e sax.
AAJ: Una domanda a Maurizio: quanto era pleonastica la presenza del pianoforte insieme con la chitarra?
M.Br.: Il gruppo era nato così, anche perché io e Ugo eravamo molto amici, ma indubbiamente era difficile non pestarsi i piedi. Tuttavia, come diceva Massimo, i brani di quell'epoca erano veramente molto strutturati, per cui gli arrangiamenti erano stati pensati in modo tale che io svolgessi poco il ruolo armonico a vantaggio di quello solistico, al limite dell'arpeggio, col pianoforte più impegnato semmai sul versante ritmico, oltre che appunto armonico.
M.Ba.: In realtà nella fase preparatoria di Medea Maurizio non ce la faceva più. Il problema, per l'amicizia di cui sopra, era umano più che musicale, anche se in realtà Ugo si è laureato in fisica con lode e bacio accademico, e di mestiere fa quello, per cui non è stato neanche così difficile dirgli che volevamo cambiare.
M.Br.: Oggi mi pare che abiti a Parigi, e pur essendo diplomato in pianoforte suona clarinetti e sassofoni bassi, se non sbaglio.
M.Ba.: Comunque una sera, per un concerto, il bassista elettrico non poteva esserci, per cui abbiamo telefonato a Giovanni Maier, che era a Milano con Nexus e si è reso disponibile. Così abbiamo ripreso con quella che era del resto la nostra scelta reale. Così Giovanni ha suonato per la prima volta con Mandarini. Avevamo registrato la serata a loro insaputa, e riascoltando il nastro abbiamo capito che quello era il gruppo che volevamo.
M.Br.: Sono rimasti i superstiti, fondamentalmente. La scrematura è stata determinata anche da scelte di vita.
M.Ba.: Del resto già in Cassandra, il primo disco che ha inciso con Enten Eller, sembra che Giovanni abbia sempre suonato con noi. C'è stata da subito una grande sintonia, e in effetti devo ammettere che quando ha iniziato a suonare con Rava da una parte eravamo contenti per lui, ma dall'altra ci rendevamo conto che perderlo sarebbe stato gravissimo.
AAJ: E quando Mandarini suonava con Paolo Conte? Sarà stato ancor più difficile. Persino nell'Instabile lo sostituiva Luca Calabrese.
M.Br.: Sì, è stato arduo. C'è da dire che l'attività di Enten Eller non è mai stata fittissima, per cui si è sempre riusciti a trovare una quadra. O quasi sempre: in un paio di casi non c'erano Giovanni e/o Alberto. Per noi era diventato irrinunciabile lavorare sempre con quel nucleo, perché l'estetica era ormai definita, e non sarebbe stata la stessa.
M.Ba.: Per Enten Eller oggi, 2012, sarebbe impensabile suonare senza uno di noi quattro. Già da Auto da fé, secondo disco con Tim Berne dopo Melquiades, abbiamo questo suono, irrinunciabile.
AAJ: Il nome di Tim Berne mi porta a chiedervi dei numerosi ospiti che si sono uniti a voi nel corso degli anni.
M.Br.: Certo, ci sono stati Carlo Actis Dato, in due dischi, Lauro Rossi, Achille Succi, più di recente Javier Girotto... Partiamo dal fatto che il quartetto è un'entità intoccabile, come dicevamo, anche se in realtà abbiamo realizzato un solo disco, Atlantide, esattamente in quartetto. C'è un'estetica ben precisa, per cui l'idea di aggiungere delle voci è sempre stato un esperimento, una sorta di work in progress, senza smarrire quell'estetica, e invece con la ghiotta possibilità di aggiungere dei colori.
AAJ: Focalizziamo un attimo l'attenzione su Tim Berne.
M.Ba.: L'opportunità ci è venuta anche quella volta dal festival di Ivrea, per sperimentare questa collaborazione.
M.Br.: Che poi è proseguita per parecchi concerti, parecchi festival, dandoci anche un po' di notorietà. E' stata un'esperienza stupenda.
M.Ba.: Un particolare: ricordo Alberto Mandarini com'era rimasto colpito dal fatto che, cercando l'intonazione, si era accorto di come fosse Tim a venire verso di lui, cosa che era sempre stato abituato a fare lui, Alberto, per esempio nell'Instabile. Per età, statura artistica e fama di Tim, la cosa l'aveva addirittura commosso. Sono sensazioni particolari che ti danno la misura di quanto una persona possa darti. Così con Javier Girotto: avevamo sentito un sacco di cose sue, però la molla è scattata una sera che Maurizio ha cenato con lui, dopo di che è venuto da me e mi ha detto che sarebbe stato perfetto per noi. D'altronde io continuo a pensare che questo sia l'unico presupposto.
M.Br.: Esattamente io ero a suonare a Musica sulle Bocche, e ho assistito a un concerto di Javier con Aires Tango, che non avevo mai sentito dal vivo ma che è un gruppo che non mi fa impazzire, però Javier è rimasto da solo per cinque minuti su quella piazza, facendo delle cose che mi hanno fatto accapponare la pelle. Con la mia solita faccia tosta, così, sono andato dietro al palco, mi sono presentato e gli ho dato il disco con John Surman, Svartisen, cosa che magari mi ha attirato maggiore attenzione da parte sua. Fatto sta che dopo circa un mese Javier mi ha telefonato per dirmi che il disco gli era piaciuto molto e io ho colto l'occasione per proporgli di intavolare qualcosa insieme.
AAJ: Se posso esprimere un parere, lui e Tim Berne, per certi versi, sono antitetici, perché tanto quanto Tim è concettuale, intenzionale, Girotto è un talento naturale puro, un animale musicale, passatemi l'espressione...
M.Ba.: E in fondo questo non fa che dare valore a Enten Eller, che è in grado di ospitare personalità tanto diverse senza snaturarsi. E ti dirò di più: se ci fossero stati i soldi, in E(x)stinzione li avremmo voluti entrambi.
M.Br.: In realtà Javier era stato invitato, ma purtroppo non poteva. Ciò non toglie che io abbia notato, nonostante la stanchezza per le molte ore di prove e una certa emozione da parte nostra per un progetto così importante, che anche personaggi come Carlo Actis Dato e Giancarlo Schiaffini, che hanno un'età diversa dalla nostra e anche una storia più lunga e più importante, fossero veramente molto concentrati, molto dentro la musica, il che mi ha inorgoglito non poco.
M.Ba.: Del resto Giancarlo aveva già suonato con noi, in diverse occasioni, prima con Rocco De Lucia al basso, nel periodo-ponte verso l'inserimento definitivo di Giovanni Maier, su Medea, in pratica, e anche nel periodo di Tim, al festival di Trento.
M.Br.: Comunque Alberto e Giovanni, in Phantabrass e anche nell'Instabile, avevano continuato a suonare parecchio con Giancarlo, per cui un certo legame è sempre rimasto. E stiamo parlando di uno dei santoni dell'avanguardia italiana.
AAJ: L'inserimento della voce mi pare invece un'esperienza pressoché inedita.
M.Br.: Sì, non c'è mai stata in Enten Eller.
M.Ba.: Solo in un pezzo di Cassandra, non di più.
AAJ: Musicalmente, cos'è che vi lega maggiormente?
M.Br.: A me e Massimo? Intanto siamo amici da una vita, e ci siamo sempre trovati soprattutto per il comune amore per il rock progressivo, in primo luogo Genesis, King Crimson, e poi da lì Weather Report, e poi il jazz. Ma prima di tutto il progressive: la molla è stata quella. Credo che abbiamo ascoltato insieme qualche migliaio di volte dischi come Foxtrot, Selling England by the Pound, The Lamb Lies Down on Broadway. In effetti ancora adesso penso che si senta questa impronta progressive, in Enten Eller.
M.Ba.: Ti racconterò un particolare: io suonavo in un gruppo, tra i diciassette e i diciannove anni (quindi nei primissimi anni Ottanta) che si chiamava Terra di Mezzo. Maurizio, che era poco più di un bambino, era venuto a un nostro concerto, e vedere noi che eravamo più grandi di quattro o cinque anni suonare questa musica evidentemente l'ha colpito, tanto che dopo qualche anno, quando ci siamo conosciuti, ha ricordato il particolare. Questo per dire che ci si conosce da talmente tanto tempo che è difficile dire cosa ci lega, perché un dato percorso l'abbiamo compiuto di fatto insieme.
AAJ: E cos'è, invece, che vi separa? Ci sarà pur qualcosa su cui non siete mai andati d'accordo...
M.Br.: Diciamo che, musicalmente parlando, io sono un po' più aperto. Ascolto anche cose che escono dal jazz o dall'avanguardia in senso lato, mentre Max è sicuramente più radicale di me. Non è un difetto o un pregio: è una semplice constatazione.
M.Ba.: Non mi sento così radicale: l'altro giorno ascoltavo i Matia Bazar, e ho un sacco di dischi di Björk, che amo tantissimo.
M.Br.: Però è vero che spesso trovi da ridire sui miei ascolti. Io sono più aperto verso tutta una costola più pop, tipo i Subsonica, o gruppi del genere. Siamo proprio diversi in questo tipo di approccio.
M.Ba.: Sì, ma non ne farei una questione musicale: semplicemente mi pare che a volte si tenda un po' ad ascoltare quello che ascoltano tutti, a essere un po' troppo ecumenici, come se dovessimo andare tutti d'accordo. Io, se una cosa non mi piace, lo dico, pensando che uno che mi conosce da tanto tempo capisca che il tono in cui magari mi esprimo non è direttamente proporzionale al valore della musica in sé, perché quello che veramente mi disturba è che ci sono un sacco di sedicenti progetti che in realtà di progettuale non hanno un bel niente, per il semplice fatto che non hanno niente da dire.
AAJ: E su questa considerazione, che personalmente sottoscrivo in toto, direi che possiamo chiudere. Grazie.
Foto di Luca D'Agostino - Phocus Agency
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