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Majel Connery & Felix Fan al Carambolage di Bolzano

Majel Connery & Felix Fan al Carambolage di Bolzano

Courtesy Vic Albani

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The Rivers Are our Brothers
Majel Connery & Felix Fan
Carambolage
Bolzano
13.11.2023

La vocalist, compositrice e tastierista Majel Connery ha portato il proprio lavoro The Rivers Are our Brothers in un circuito italiano prevalentemente volto alla programmazione jazz, tra cui la Casa del Jazz di Roma e il Carambolage di Bolzano. Cosa che da un lato conferma la tendenza e l'urgenza dei musicisti delle generazioni più giovani a mettersi in gioco nei contesti più disparati; dall'altro convalida, se ancora ve ne fosse bisogno, la capacità di quel fenomeno musicale che chiamiamo jazz di conglobare, di assorbire e dare valore ad altre musiche. In questo, trascinando pure le curiosità e le abitudini dell'ascoltatore.

Il tradizionale pubblico del jazz al Piccolo Teatro Carambolage, dove abbiamo seguito l'esibizione del duo di Connery e del violoncellista Felix Fan, ha manifestato molto apprezzamento nei confronti di questa proposta, per certi versi distante dalle consuete tracce. Anche dove c'era improvvisazione, si trattava di un approccio differente da quelli generalmente praticati nel jazz, come la stessa Connery ha voluto sottolineare nel corso del concerto.

Ad esempio, quella stessa parte improvvisata richiamava prassi vicine alla musica colta contemporanea, dal cui contesto ambedue i protagonisti provenivano. Ma pure dal rock di ricerca (o progressive, come dir si voglia) praticato da Connery nelle proprie avventure sonore, aperte a orizzonti molto ampi. In questo caso, la molteplicità della performance era disegnata già dalla sua impostazione, che prevedeva tre momenti distinti: il lungo ciclo di brani collocati sotto il titolo citato sopra, dedicato alla natura e alla responsabilità ecologica; la parte di improvvisazione e infine una frazione conclusiva che riproponeva in chiave molto personale alcuni celebri successi del pop internazionale. Ma pure un estratto del Cello Concerto di György Ligeti.

Tutto quanto era ben controllato, sotto il punto di vista della coerenza, da una cifra stilistica solida, legata in primo luogo all'uso della voce e alla sua elaborazione elettronica. L'operazione di Connery con la voce è elegante e rigorosa: controlla l'emissione e una quantità di sfumature espressive in modo meticoloso, senza mai coprire o camuffare con l'elettronica ciò che deriva dalla fisicità delle tecniche vocali. Ascoltandola, abbiamo avuto l'impressione di una voce che si muove dentro una cattedrale elettronica: idea che ha divertito e stuzzicato la stessa musicista, nelle chiacchiere di fine concerto.

In questo gioco, si è rivelato prezioso e perfettamente sintonizzato il lavoro del violoncello elettrico, che ha ottemperato con densa adesione al difficile compito di interpretare ciò che in precedenza era stato composto per un ensemble elettro-acustico. Il controllo nelle trame che si intrecciano e si fondono col lavoro della vocalist non ostacola una forte partecipazione emotiva, una musicalità di grado elevato del cello. Ciò che Connery presenta in questo ciclo è un dialogo, in cui si dà voce agli elementi della natura: "I Am the Air," "I Am a Mountain," "I Am Snow," e così via.

Si potrebbe chiamare un paesaggio autobiografico, che la vocalist condivide con il pubblico. Nasce infatti dalla sua esperienza di bambina nel Nebraska, a stretto contatto con la natura, dove ogni cosa prendeva le sembianze di essere vivente. La voce si adagia su ampie campiture, si inerpica in impennate turbinose, si trasforma con salti di registro e di espressione. Allo stesso modo, nell'interpretazione delle cover finali, si diverte a trasformare, con il proprio stile che ormai è entrato nelle corde degli ascoltatori, brani come "Sweet Dreams Are Made of This" e "Hide and Seek." E per una volta, il pubblico del Carambolage non ha sentito il bisogno del jazz.

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