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Living in America: intervista a Simona Premazzi

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Voglio poter mettere la mia individualità nel mio modo di suonare jazz senza decontestualizzarlo dalla realtà culturale da cui deriva.
Da alcuni anni la pianista Simona Premazzi ha deciso di trasferirsi a New York per sfamare la sua curiosità di jazz e di arte. Da quel momento si è inserita nel flusso vitale della Grande Mela - suonando e facendo diverse esperienze - fino a dare alle stampe un paio di album di sicuro valore: Looking for an Exit e il più recente Inside In registrato insieme agli Intruders, il suo attuale gruppo di lavoro con il quale spera di proseguire un discorso di reciproco interesse. Di seguito il racconto di una genesi creativa.

All About Jazz Italia: Con quale motivazione ti sei trasferita a New York nel 2004?

Simona Premazzi: Per migliorare come musicista e artista. Il jazz è una forma d'arte americana, è nato e si è sviluppato in America, in un contesto storico, sociale e culturale che non deve essere dimenticato e dissociato dalla musica e da chi la suona. Ho quindi deciso di trasferirmi a New York per viverne la cultura e cercare di capire i meccanismi che hanno sviluppato questa forma d'arte. Essendo italiana e non americana, è per me un lavoro continuo di ricerca e studio. Voglio poter mettere la mia individualità nel mio modo di suonare jazz senza decontestualizzarlo dalla realtà culturale da cui deriva

AAJ: Che aria si respira negli ambienti jazzistici della Grande Mela?

S.P.: A New York c'è sempre la possibilità di ascoltare buona musica, nei jazz club c'è fermento e varietà stilistica. Dai gruppi Dixieland alle band di boppers accaniti, modern jazz, gruppi di free jazz, funk-jazz, sperimentazione e altro ancora. C'è di tutto e tutto può essere di alta qualità. La stessa sera puoi andare a sentire concerti dai diversi approcci jazzistici e stilistici.

AAJ: Qual è la differenza sostanziale con l'Italia?

S.P.: New York è una città che ha una concentrazione di flusso creativo molto alta. Ci sono molti artisti di tutte le discipline. Questa città è come un fiume, non dorme mai, le cose succedono in fretta, la metropolitana è aperta 24 ore, si cambia casa con frequenza, c'è molta apertura mentale. Molte "cose nuove" partono da qui, un po' in ogni ambito artistico. Onestamente non credo ci sia nessun altro posto al mondo così, che si muova allo stesso ritmo. Oltretutto ci sono molti jazz club e tantissimi musicisti, tutti nella stessa città. In Italia è tutto più sparso e più lento, la mentalità italiana è più chiusa e con una certa pigrizia si tende ad adagiarsi alla comodità e all'abitudine, c'è quindi un'energia più statica. Inoltre, New York è una città americana, dove il jazz è di casa, a differenza dell'Italia o di altri paesi europei che hanno "acquisito" e inglobato questa forma d'arte nella propria cultura.

AAJ: Gli Intruders sono il tuo quartetto stabile. Come si è formato e quali sono le dinamiche espressive di questo gruppo di lavoro?

S.P.: Stacy Dillard (sax) e Ryan Berg (basso) sono tra i primi musicisti che ho conosciuto a New York, e oltre a suonare insieme siamo amici da diversi anni. Ricordo che appena arrivata in città ero riuscita a ottenere un ingaggio regolare suonando ogni domenica mattina, all'ora del brunch, in un ristorante del quartiere Chelsea, ho iniziato lì a suonare regolarmente con Ryan Berg. Nel 2004/2006 Stacy, Ryan e altri musicisti vivevano tutti insieme ad Harlem, a due isolati da casa mia, quindi ci si frequentava spesso. So come la pensano sul fare musica insieme, abbiamo una visione artistico-musicale molto simile. Stacy Dillard è un musicista incredibile, che ho sempre stimato moltissimo. Ero curiosa di vedere cosa saltava fuori combinando la sua creatività con la mia musica. Mi è sembrato una combinazione perfetta fin dal primo concerto. Rudy Royston (batteria) è una conoscenza di più recente data, lo sentii suonare con J.D. Allen quando era appena arrivato in città e gli chiesi di suonare con il mio gruppo. Purtroppo non ho la fortuna di suonare con Rudy spesso perché è sempre molto impegnato, ho quindi iniziato a suonare più regolarmente con Jason Brown, amico e ottimo batterista dalla grande sensibilità musicale. Recentemente il mio quartetto è diventato un quintetto con l'aggiunta di Josh Evans alla tromba. Stacy e Josh hanno diversi approcci ai brani e si creano situazioni inaspettate, ci sono più possibilità e posti dove andare, più spazio, il quintetto è al momento il mio ensemble preferito. Gli Intruders sono un team, una squadra, ognuno ha il proprio ruolo. Nonostante si suonino principalmente le mie composizioni, c'è molta libertà espressiva e spazio all'individualità. È la mia band, certo, e io ne sono il leader, ma la mia musica è intesa come musica di gruppo, è anche per questo motivo che spesso includo in repertorio brani di Ryan, Stacy o Josh. Quando scrivo un pezzo nuovo penso ai miei musicisti, al loro suono, a come affronterebbero il brano. Scrivo appositamente per loro. Registro tutti i concerti degli Intruders e li ascolto, sento quel che succede, osservo le dinamiche del gruppo, per poi lavorarci sopra e migliorare.

AAJ: Hai in mente di portare il progetto anche in Europa?

S.P.: Certamente, vorrei portare il mio progetto ovunque! Sto organizzando un tour per il prossimo autunno in nord Europa, Italia e ovunque mi si offra l'occasione di andare.

AAJ: L'album Inside In gode di una varietà di approccio formale che immagino derivi da ascolti di diverso genere.

S.P.: Ascolto molta buona musica e generi diversi. Molto jazz, ma anche musica classica, hip hop, funk, RnB, opera, latin jazz, pop. Quando ascolto musica mi sforzo di essere molto disciplinata nel farlo. Voglio mantenere un ascolto attento e un orecchio aperto. Voglio portare rispetto a qualsiasi idea creativa musicale, anche quando mi ritrovo ad ascoltare qualcosa che non mi piace.

AAJ: Come hai scelto gli standard da inserire in scaletta?

S.P.: Gli standard sono "Brazil" di Ary Barroso e "Blue Moon" di Rodgers and Hart. Mi piace riarmonizzare e riarrangiare vecchi standard dalle meloldie molto conosciute, costruire qualcosa di nuovo su una melodia molto famosa. Si può creare un bel contrasto a mio parere, tra la novità dell'arrangiamento e la familiarità della melodia. "Brazil" è un brano che emotivamente associo alla musica brasiliana, al Brasile e all'omonimo film di Terry Gilliam. Ho scelto "Blue Moon" perchè l'arrangiamento coltraniano secondo me funzionava con gli altri brani dell'album.

AAJ: In scaletta ci sono dei brani che si sviluppano attraverso strutture complesse, moduli di situazioni metriche tutt'altro che scontate. Questo tuo modo di scrivere deriva da qualche interesse in particolare?

S.P.: Alcuni dei miei brani hanno moduli metrici o forme poco comuni che ti tengono sempre in punta di piedi, devi sempre stare all'erta quando li suoni. Questi moduli però, in contrasto, racchiudono una ciclicità che lascia molta libertà espressiva. Mi interessa la ricerca di naturalezza nelle forme complesse. Trovare una melodia cantabile per un ostinato ritmico complesso.

AAJ: Come e perché hai deciso di affidare a Baba Israel il rap di "Looking for an Exit"?

S.P.: "Looking for an Exit" è stato per parecchio tempo il mio brano "sigla," lo associo a un momento di cambiamento della mia crescita artistica e personale. Avevo registrato questo brano in trio sul mio primo album e volevo avere una versione anche con gli Intruders su Inside In. Volevo aggiungerci delle parole che riferissero al fare musica insieme, al concetto di band, al condividere l'unicità dell'improvvisazione estemporanea. Ho pensato subito al rap perché secondo me avrebbe funzionato con il groove serrato del pezzo. Ho sentito Baba Israel esibirsi a New York diverse volte e sono sempre stata colpita dal suo talento, è un artista che stimo e mi piacciono le cose che dice quando rappa. L'ho chiamato e gli ho spiegato cosa volevo, a lui è piaciuta l'idea ed è venuto in studio a registrare.

AAJ: Anche tu proponi un personale spoken words in "Your Smell". Un esperimento che vorresti ripetere?

S.P.: "Your Smell" è una poesia musicata, ne ho altre nel mio computer... Sì, continuerò a giocare con questa idea, anche se a piccole dosi e non necessariamente nel mio prossimo album.

AAJ: Hai già qualche altro progetto discografico in cantiere?

S.P.: Il prossimo album sarà probabilmente un live in quintetto con gli Intruders. Inoltre, ho dei pezzi nuovi che vorrei registrare a breve.

Foto di Roberta Setzu (l'ultima).

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